scuola e lavoro

Scuola dei talenti o agenzia interinale? Il bivio della filiera tecnico-professionale



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La riforma Valditara della filiera tecnico-professionale trasforma radicalmente la scuola italiana, riducendo di un anno il percorso e rafforzando il legame con le aziende. Una svolta che privilegia l’addestramento professionale sulla formazione completa, rischiando di subordinare l’istruzione alle esigenze del mercato del lavoro

Pubblicato il 25 ott 2024

Massimiliano De Conca

insegnante e segretario generale FLC CGIL Lombardia



scuola professionalizzante (1)

A differenza dei suoi predecessori, il ministro Giuseppe Valditara non ha intenzione di varare, almeno per ora, una riforma del sistema scolastico in senso complessivo come era successo con Maria Letizia Moratti o con la “Buona Scuola” del duo Gelmini-Renzi.

Anche se il piano di ristrutturazione della Scuola è ben chiaro dalla lettura dei due saggi a sua firma, quello programmatico È l’Italia che vogliamo (Piemme 2022)e La scuola dei talenti (Piemme 2024), il Valditara-pensiero si sta sviluppando attraverso una serie di provvedimenti apparentemente slegati fra di loro, ma a loro modo radicali: dalla revisione del voto in condotta, al docente tutor e docente educatore, al liceo quadriennale Made in Italy.

In ultimo è in cantiere anche la riscrittura delle Indicazioni nazionali (ferme al testo del 2011, ministro Francesco Profumo), affidata al duo Loredana Perla / Ernesto Galli Della Loggia, che andrà a toccare il piano ordinamentale sull’asse Patria-orientamento-talenti-merito.

La legge sulla “filiera tecnico-professionale”

Sicuramente la legge sulla “filiera tecnico-professionale” è un cavallo di questo ministero, connesso fortemente con l’idea che la scuola deve esaltare i talenti, che non devono essere per forza tesi allo studio, ma orientati al lavoro. Di qui l’idea di puntare sull’orientamento scolastico, rafforzare le figure di docenti tutor e orientatori col compito di valorizzare proprio quei talenti che spesso la scuola sembra sacrificare perché, apparentemente, poco pratica, poco vicina al concreto mondo del lavoro. Da qui l’idea di una mini-riforma del sistema tecnico professionale varando (8 agosto 2024) una riforma che ripensa l’intero sistema, d’ora in poi aziendalisticamente riportato alla “filiera” (la semantica non è neutra!) e collegato in modo molto forte al mercato del lavoro.

Ridurre la distanza fra dispersione scolastica ed impiego

Sorvolando sul problema di metodo (lo scorso 8 dicembre 2023 è stato emanato un decreto ministeriale, nonostante il parere negativo del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione), il progetto ha mostrato un iniziale scarso appeal per le tante incognite che restano ancora irrisolte e per il portato pedagogico-culturale altamente discutibile. L’idea di fondo è quella di ridurre la distanza fra dispersione scolastica ed impiego, costruendo dei percorsi più rapidi (un anno in meno di scuola superiore) di accesso al lavoro, che ci si sforza a dire “lavoro qualificato”.

Una forte vocazione alla professionalizzazione degli studenti

Nel merito, si tratta di un percorso che riduce di un anno il canonico percorso scolastico di 5 (primaria) + 3 (medie) + 5 (superiori). “Perché ce lo chiede l’Europa?” Non è proprio così, dal momento che il tema dovrebbe essere il percorso nella sua interezza, non soltanto l’ultimo segmento: non sempre infatti c’è una corrispondenza fra i gradi/ordini dei sistemi scolastici stranieri, semmai ci si avvicina di più al famigerato “doppio canale” tedesco che prevede un forte anticipo dell’orientamento a favore di percorsi scolastici pre-costituiti in base al successo scolastico. Con buona pace delle “intelligenze multiple” e di tutte le teorie pedagogiche sui tempi e contesti di apprendimento: si trattano gli studenti come dei prodotti anodini di processi, senza considerare cioè che le variabili della curiosità umana e dei “talenti” sono molteplici.

Si punta invece su una forte vocazione alla professionalizzazione degli studenti.

Una scuola ancillare al mondo del lavoro

La stortura di fondo non sta nella prosecuzione degli studi negli ITS, possibilità già contemplata oggi, nonostante non sia chiara in Italia la collocazione del titolo finale conseguito dal percorso degli ITS nel panorama della formazione terziaria (non sono una laurea triennale, non sono un corso di specializzazione …), ma nella riduzione ingiustificata di un anno e nel rafforzamento delle attività di PCTO (percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento) in stretto raccordo con le aziende.

L’ultimo segmento di istruzione e formazione è demandato non più a docenti, ma ad esperti di aziende: quindi si perde definitivamente ogni tipo di aggancio pedagogico per entrare più o meno gradualmente nel mercato del lavoro. La Scuola intera, il servizio scolastico, diventa ancillare rispetto al mondo del lavoro.

Studenti addestrati a diventare ingranaggi

Potrebbe sembrare un giusto mezzo per ridurre la disoccupazione, sfornare direttamente dei lavoratori, ma rischia di avere un impatto culturale devastante, in termini civici e costituzionali: la Scuola non forma cittadini con competenze da sfruttare nel mondo del lavoro, ma addirittura lavoratori. Senza contare l’impatto classista che distingue i percorsi scolastici fra chi può proseguire per una piena formazione universitaria e chi, privo di mezzi (non trascurabile il taglio di mezzo miliardo ai fondi degli atenei avvenuti in quest’ultimo anno, nonché le riduzioni del welfare studentesco e l’aumento invece del caro affitti nelle città universitarie) si incanala direttamente in un percorso di formazione ed istruzione.

Studenti addestrati a diventare ingranaggi: pedagogicamente e didatticamente la riduzione di un anno è, infatti, pensata a discapito di materie generalistiche (come italiano, storia…), il che vuol dire che si limitano le competenze generali degli studenti.

Questa operazione di professionalizzazione del percorso scolastico fin dai primi anni delle superiori è pensata in raccordo con le imprese del territorio attraverso il cosiddetto “campus”, una specie di “punto organizzato”, che di fatto si sovrapporrà al ruolo degli organi collegiali, col rischio che molti curricoli siano piegati alle esigenze attuali del singolo territorio, quindi un’operazione a corto respiro che prepara gli studenti al mondo del lavoro di oggi, ma non fornisce robuste competenze per il mondo del lavoro di domani, cosa che effettivamente dovrebbe fare la scuola.

Gli istituti tecnici e professionali si trasformano in percorsi preparatori orientati solo ed esclusivamente all’occupabilità nel presente. La formazione scolastica diventa un addestramento di ragazze e ragazzi alle esigenze produttive delle imprese in un determinato territorio. A questo si aggiunga il rischio di auspicabile innovazione tecnologica che potrebbe mettere fuori gioco questi stessi studenti di fronte a possibili trasformazioni degli assetti produttivi. “Una cosa è favorire il percorso biennale degli ITS e introdurre degli elementi legati alle esigenze del mondo del lavoro di quel territorio, ma nel caso della filiera formativa tecnologico-professionale siamo in una fase anticipata che si colloca comunque all’interno di un quadro di riferimento legato all’obbligo formativo e di istruzione. In questo modo viene snaturato anche il ruolo e la funzione del percorso di istruzione statale.” (Gianna Fracassi, segretaria generale della FLC CGIL)

Una realizzazione plastica di autonomia differenziata

In una chiave più ampia è una realizzazione plastica di autonomia differenziata, dal momento che le possibilità saranno molto più invitanti in regioni avanzate o particolarmente produttive rispetto ad altre regioni dove il mercato del lavoro è più povero. E resta evidente la subordinazione al mercato del lavoro, alle esigenze espresse dallo specifico territorio.

Del resto questo lo si rileva già dal testo delle bozze di intesa del 2017, fra le quali spicca quella della Regione Lombardia dove si legge (artt. 3) : “Fermo restando la disciplina in materia di riconoscimento dei titoli di istruzione tecnica superiore e nel rispetto della competenza statale al rilascio dei relativi titoli, alla Regione è attribuita, fatto salvo quanto previsto dalle regole di gestione finanziaria e contabile, la competenza a definire l’organizzazione delle fondazioni ITS per lo sviluppo delle relazioni fra autonomie scolastiche e formative, istituzioni universitarie e sistema delle imprese […] alla Regione è attribuita la competenza a programmare, d’intesa con le Università, l’attivazione di un’offerta integrativa di percorsi universitari per favorire lo sviluppo tecnologico, economico e sociale del territorio, nel pieno rispetto dei requisiti di sostenibilità dei corsi di studio universitari e della disciplina giuridica sui docenti universitari.

La sperimentazione LabLab in Lombardia

La conseguenza è attualità: in Lombardia è già partita una sperimentazione LabLab che rischia di trasformare le Scuole in agenzie interinali: ai docenti il compito di compilare paginate di profili degli studenti, da interfacciare con le richieste delle aziende. Gli studenti, superando il filtro dei docenti e quindi eludendo ogni intendo pedagogico dell’orientamento, possono fissare individualmente incontri con le aziende, catapultandosi direttamente all’interno del mondo del lavoro. Si tratta di una vera e propria attività di avviamento al lavoro.

Culturalmente non siamo tanto lontani dall’idea di Scuola tratteggiata dal predecessore di Giuseppe Valditara, ovvero il ministro Patrizio Bianchi, l’ultimo della tormentata XVIII legislatura, che nel suo libello programmatico (La scuola nello specchio, Il Mulino 2020) esaltava -in perfetta consonanza con l’allora Presidente del Consiglio, Mario Draghi- la formazione tecnica e professionale e gli ITS.

Scuola e progresso collettivo: il ruolo della politica

Di fondo c’è l’idea che il nostro Paese dovrebbe avere sia della Scuola sia, di conseguenza, della società: su questo punto, ovvero se la Scuola deve essere una palestra sociale e civile oppure l’anticamera dell’avviamento al lavoro, è necessario fare chiarezza oltre ogni ideologia. Nessuno nega lo stretto legame che deve esserci fra le istituzioni scolastiche e il mondo esterno, ma limitare la formazione degli alunni ai dettami di una cultura neoliberale che vuole nel lavoro (e quindi la produttività) l’obiettivo ultimo della propria realizzazione sociale significa privare il nostro futuro di una visione più ampia della società, in cui il benessere dovrebbe essere per tutti e non per alcuni grazie al sacrificio di molti.

Ecco, la sfida della politica oggi è definire, in una prospettiva democratica, quali cittadini vogliamo avere: e la Scuola in questo deve svolgere un ruolo centrale in una visione di progresso collettivo.

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