Il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) ha dato vita a un grande fermento, permettendo a molti docenti di entrare in contatto con un mondo che, ai più, era sconosciuto. Ha addestrato a nuovi modi di utilizzare le tecnologie, ha aperto le porte alla condivisione e alla collaborazione, ha permesso di incontrarsi, di dibattere, di comprendere che comunicazione e informazione si avvalgono di altri canali, diversi da quelli cui si era abituati.
Ma, se è vero che c’è stata una sorta di presa di coscienza nel campo delle tecnologie, è anche vero che questa non è stata sufficiente a spingere significativamente la scuola ad una vera trasformazione della governance.
Fermarsi per cambiare
E allora, forse è il caso di fermarsi per cambiare.
Sembra un paradosso ma, in questo momento, appare anche l’unica soluzione percorribile per una vera innovazione: fermarsi a riflettere, capire dove siamo arrivati, dove vogliamo andare, cosa possiamo fare.
Fermarsi.
Per poi riprendere il cammino con maggiore consapevolezza per scegliere la strada migliore, che ci porti verso un significativo cambiamento della scuola.
Un’innovazione solo di facciata
Pur mettendosi in gioco, i docenti si sono sentiti spesso inadeguati, non sono riusciti a comprendere quali fossero le linee da seguire perché la loro azione didattica producesse risultati. Si sono trovati immersi in un contesto ancora molto confuso, che appariva e appare tuttora ancorato alla tradizione, mentre l’innovazione sembra essere solo una facciata, una patina esteriore che si concretizza in arredi colorati, in aule digitalizzate, in saltuari momenti di interazione con gli alunni. Per poi tornare alla routine delle lezioni, ormai cristallizzate da decenni, per lo più frontali alle interrogazioni, alle verifiche, ai programmi e alle valutazioni delle sole conoscenze, molto spesso mnemoniche e ripetitive.
Viene spontaneo chiedersi adesso che cosa sia mancato perché il PNSD decollasse e si concretizzasse in vera innovazione. Alcune ragioni, che abbiamo provato a individuare, consistono nella mancanza di chiare indicazioni sia per i Dirigenti Scolastici sia per i docenti, ma soprattutto nella ancora superficiale consapevolezza del cambiamento radicale dei ragazzi.
Si è percepito, perché per certi aspetti è palese, il disagio dei nostri studenti; se ne sono colti e analizzati gli effetti: noia, assenza di interazione, apatia, ansia, difficoltà ad apprendere, a leggere e scrivere adeguatamente, a raggiungere gli obiettivi minimi per una adeguata scolarizzazione, così come tradizionalmente la scuola ha sempre richiesto, a interloquire correttamente, ad argomentare con lessico specifico, a sviluppare senso critico, a percepire l’altro come qualcuno da rispettare.
Ragazzi sempre più lontani dalle pareti delle aule scolastiche, immersi in un mondo immateriale. Si è cercato di decodificare questi comportamenti, in parte se ne sono identificate anche le cause, senza però riuscire a definire le strategie per affrontare radicalmente il problema, per gestirlo e per risolverlo. Non si riesce a comprendere quanto e in che modo questo “altro mondo”, il mondo della rete, parallelo a quello reale, abbia profondamente modificato le modalità di apprendimento e di comunicazione e quali siano le potenzialità e i rischi che lo caratterizzano.
La scuola ha perso il ruolo di protagonista della trasformazione
In questo processo, la scuola è rimasta molto spesso a guardare, travolta da una piena che non è riuscita né a prevedere né, una volta in atto, a governare, a controllare ma, soprattutto, a canalizzare perché questa potenza divenisse un’occasione di vera trasformazione.
E alla fine ne ha perso il controllo ed è stata in buona parte sopraffatta.
Un esito, ancora poco tempo fa, imprevedibile e impensabile, che di fatto relega la scuola a un ruolo non più di protagonista. Un risultato che non può permettersi, di fronte al quale alta si leva una richiesta di aiuto da parte di studenti e famiglie, che come educatori dobbiamo ascoltare ed affrontare. Per farlo, dobbiamo però anche comprendere che il passaggio al e dal digitale è ormai imprescindibile: il digitale esiste, non può essere negato, è presente nelle nostre vite ed è pervasivo. E altrettanto evidenti sono i cambiamenti che ha apportato nella vita delle nuove generazioni.
Fermarsi per comprendere
Per tutti questi motivi crediamo che ci si debba fermare.
Fermarsi per comprendere, confrontare studi e ricerche e farsene promotori. Così come ha fatto Impara Digitale, che si è rivolta al CNIS (Associazione per il Coordinamento Nazionale degli Insegnanti Specializzati e la ricerca sulle situazioni di Handicap) e alla Professoressa Lucangeli, dell’Università di Padova, per avere supporto e realizzare una ricerca, Digitale si digitale no, che, attraverso monitoraggi condotti su 1349 bambini delle primarie, analizzasse come cambiano i processi di apprendimento con il digitale e consegnasse dati certi, scientificamente validati su cui poter studiare e riflettere.
Mappare le più innovative metodologie didattiche, essere addestrati all’uso di app e di software non è più sufficiente. Non possiamo continuare a cercare soluzioni provvisorie per affrontare problemi strutturali, che invece ne richiedono di media e lunga programmazione. E per far questo è indispensabile che siano i docenti a cogliere l’urgenza di dibattere, farsi ascoltare, di riacquistare un ruolo che sta svanendo sempre più. I dati della ricerca, messi a disposizione di tutti, possono essere un buon supporto da cui iniziare, ma certamente non sono sufficienti.
Devono essere i docenti e i dirigenti i protagonisti di questo cambiamento prendendone in mano la gestione perché possiedono, nell’ambito dell’autonomia, gli strumenti per affrontarlo.
Gli Stati Generali della scuola digitale
A queste esigenze cerca di rispondere anche il format degli Stati Generali della scuola digitale e degli eventi (Meetschool) di cui ImparaDigitale si sta facendo promotore in Italia: una serie di appuntamenti in cui tutta la comunità scolastica, supportata da esperti, si incontra in tavoli di lavoro, gestiti sia dai docenti che dagli studenti, per dibattere e riflettere, per conoscersi e sentirsi meno soli, non per apprendere o insegnare l’’utilizzo del digitale, ma per educare ed educarci, per crescere nella consapevolezza e comprendere a fondo il problema che abbiamo di fronte e cercare di individuare efficaci soluzioni condivise.
Se davvero le istituzioni vogliono il bene della scuola, delle giovani generazioni, devono ascoltare la voce della base, non possono più ignorarla.