La resistenza all’innovazione dei modelli didattici nella scuola italiana non scaturisce da scarsa preparazione, ma da una resistenza al cambiamento che gli insegnanti manifestano quasi inconsciamente. Per questo la Scuola digitale deve mettere in atto strategie che aprano a un cambio di mentalità nell’affrontare percorsi più efficaci nell’insegnamento. Approfondiamo lo scenario accendendo un riflettore sulla teoria della “professionista riflessivo“.
Docente, una professione che non si ferma mai. Anche in questa estate si sono moltiplicate le occasioni rivolte agli inseganti su coding, Flipped Classroom, robotica educativa, scrittura creativa, didattica col digitale, progettazione. Alcuni docenti insegnano, ma molti altri continuano ad imparare.
La professione docente ha bisogno di formazione continua, soprattutto in una scuola che sta tentando di raccogliere le sfide del cambiamento, dell’educazione per tutta la vita, delle soft skills da integrare con le competenze disciplinari, della globalizzazione dei saperi prima ancora che delle persone o delle merci. La Strategia di Lisbona ha indicato nel Lifelong Learning lo strumento preferenziale della comunità europea per “raggiungere l’obiettivo di sviluppare una società basata sulla conoscenza, sullo sviluppo economico sostenibile, su nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale, garantendo allo stesso tempo la tutela dell’ambiente”.
Scuola digitale, l'”offerta” di formazione per docenti
Oltre ad eventi e occasioni di apprendimento e formazione in presenza, l’offerta è ampia e prevede corsi erogati soprattutto in modalità e-learning. I social e i gruppi professionali non solo su Facebook hanno dato vita a comunità di pratica virtuali, nelle quali ciascuno ha l’opportunità non solo di osservare le aule dei colleghi operanti in contesti diversi nello spazio e nel tempo, ma anche di proporre e condividere le proprie pratiche, sottoponendosi a processi di osservazione remota da parte degli altri docenti, che suggeriscono, condividono, amplificano e talvolta criticano le esperienze altrui.
Quello che forse rischia di perdersi nel lavoro degli insegnanti è la ricchezza che proviene dalla loro quotidiana costruzione di percorsi didattici di apprendimento, in ambienti complessi, con studenti che manifestano bisogni sempre più personalizzati, con difficoltà legate agli strumenti da utilizzare, alle opportunità tecnologiche, al tempo, al desiderio spesso insoddisfatto di condividere in profondità ciò che si fa e come lo si fa, tra colleghi e tra professionisti, che lavorano e progettano attività tutto l’anno.
In un processo di autovalutazione delle proprie competenze didattiche, pedagogiche, digitali, disciplinari, ogni insegnante sa o dovrebbe sapere sempre in quale punto si trova del proprio percorso. Il momento della formazione iniziale, quella dedicata ai docenti neoassunti, non è più il primo o il solo tassello della costruzione di una competenza professionale perché sappiamo che a quel traguardo si può arrivare dopo tutta una vita trascorsa come precari nella scuola, cioè con una expertise già sviluppata, consolidata e raffinata nel tempo.
Perfino una prassi come l’erogazione del Bonus docenti ha alimentato la necessità di raccontare ciò che si è esperito con gli studenti e i colleghi, gli eventi più significativi del proprio percorso lavorativo, le competenze maturate e messe al servizio della comunità scolastica e la Piattaforma Sofia, che è nata per segnalare le esperienze formative disponibili sul territorio, ha assunto anche il compito di raccogliere un portfolio personale e riconoscibile. Il Piano nazionale di formazione dei docenti avrebbe voluto sviluppare una visione della professionalità degli insegnanti come presupposto di un reale miglioramento della scuola italiana, ma forse questa idea non si è ancora orientata nella direzione desiderata.
Competenze dell’insegnante: come valorizzarle
Come portare in superficie tutte quelle competenze tacite, che ogni professionista esprime in modo naturale nella sua quotidianità lavorativa e come definire che cosa rende un docente “bravo” o “principiante” rispetto a ogni dimensione del suo lavoro? Non si tratta di esplicitare solo alcune competenze, come ad esempio quelle digitali o delle pedagogie legate ad una didattica con le tecnologie: su questi aspetti, ad esempio, abbiamo già i framework del DigComp Edu, che sono precisi e sufficientemente chiari. Sarebbe molto utile per ogni professionista attivare delle buone pratiche, che lo portino a definire le caratteristiche di quel che fa, di come lo fa e in che cosa le sue pratiche professionali lo rendano più esperto o meno esperto in una determinata area delle competenze.
Osservare e interpretare la propria esperienza di adulti è alla base della cosiddetta “teoria trasformativa”, secondo la quale non sarebbe tanto ciò che accade alle persone, quanto il modo in cui interpretano e spiegano ciò che accade loro, a determinarne le azioni, le speranze, il benessere emotivo o le performance.
Gli assunti presenti alla base di questa teoria sono gli stessi scenari costruttivisti, cui ci ispiriamo come docenti quando proponiamo didattiche innovative, centrate sui ragazzi e sulle loro interazioni sociali, sulla co-costruzione della conoscenza, sulla consapevolezza e sulla metacognizione, sulla riorganizzazione dei significati di ciò che si impara. L’elemento veramente significativo di questo processo di autoformazione è il costrutto del “professionista riflessivo” elaborato e descritto da Donald A. Schön negli anni Novanta: “Quando il professionista riflette nel corso dell’azione, egli diventa un ricercatore operante nel contesto della pratica e costruisce una nuova teoria del caso unica. Mentre struttura una situazione problematica conversa con la situazione, senza separare il pensiero dall’azione. Egli ragiona sul problema fino alla decisione che in seguito dovrà trasformare in azione”.
Insomma, un professionista che, mentre lavora o impara, riflette sul come e sul perché lo sta facendo, con una forte intenzionalità orientata a far emergere le proprie personali teorie intorno alle sue azioni. Le proprie convinzioni, gli atteggiamenti, le reazioni emotive formano delle prospettive con cui diamo significato al nostro agire professionale. Il pensiero riflessivo contribuisce a creare un processo profondo di analisi del proprio agire e apre la possibilità di estrapolare giudizi e pregiudizi che rischiano di porre un ostacolo insormontabile a qualsiasi forma di cambiamento si ritenga utile per migliorare l’apprendimento e aumentare l’efficacia del sistema scolastico.
Il docente-ricercatore che si pone nei confronti della sua stessa pratica professionale come un professionista riflessivo, sarebbe una definizione contemporanea del ruolo di educatore, adeguata al momento storico, coerente col processo di innovazione in ambito educativo e sociale.
Bibliografia
Argyris, Schön D. A.(1998), Apprendimento organizzativo. Teorie, metodi e pratiche, Guerini Associati, Milano
Mezirow J. (2016), La teoria dell’apprendimento trasformativo. Imparare a pensare come un adulto, Raffaello Cortina Editore, Milano
Oddone, F. & Firpo, E. (2015). Gli ostacoli all’innovazione didattica e l’attuale profilo professionale docente. TD Tecnologie Didattiche, 23(2), 112-120.
Schön A. (1993), Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica, Dedalo, Bari