In questo articolo proporremo alcune riflessioni sulle condizioni necessarie affinché la formazione effettuata con il PNSD possa trasferirsi nella didattica ordinaria, ed in particolare in quella della scuola secondaria di secondo grado. L’obiettivo del PNSD infatti non può che essere quello di contribuire a fare evolvere la scuola verso una logica di knowledge sharing che mantiene nel tempo la caratteristica di organizzazione che apprende (vedere a riguardo il documento della Banca mondiale Becoming a knowledge-sharing organization).
Ci soffermeremo perciò su scelte che effettuate dal MIUR potrebbero facilitare oppure ostacolare l’avvio di tale processo virtuoso. Con riferimento all’obiettivo di vedere realizzata l’innovazione, rifletteremo sulle specifiche connessioni tra la leva formativa, (diventata strutturale con la legge 107, attivata con il PNSD), il finanziamento della carta del docente e la leva organizzativa da applicare nella governance del sistema affinché l’operazione complessiva abbia un effetto reale nella quotidianità della scuola.
Specificità della scuola secondaria di secondo grado.
Nella scuola secondaria di secondo grado il core business interiorizzato dai Dirigenti scolastici e dagli Insegnanti è fortemente legato al raggiungimento di un buon livello di preparazione degli studenti in vista dell’Esame di stato di fine quinquennio (la ex-maturità).
Enti nazionali come Indire, Invalsi, Confindustria. e sovranazionali Parlamento europeo, OCSE nei loro documenti indicano specifici obiettivi formativi da perseguire in quanto ritenuti prioritari nell’attuale contesto socio-economico. Se si confrontano tali indicazioni con le caratteristiche delle attuali prove scritte d’esame emerge una certa discrasia.
Il documento OCSE sull’innovazione nell’educazione, nella figura 1.6 a pag. 23, elenca le competenze (skill) indispensabili nelle attività innovative (ma: ci sono attività che non necessitano di innovazione?).
Ecco l’elenco delle competenze: Sapere portare nuove idee/soluzioni, essere disponibili a mettere in discussione le proprie idee, sapere presentare proposte/idee in pubblico, sapere cogliere le opportunità, possedere competenze di pensiero analitico, sapere coordinare attività, sapere imparare, sapere mobilitare/valorizzare le capacità di altri, sapere esporre con chiarezza il proprio punto di vista, padroneggiare il proprio ambito di competenza, essere capace di scrivere rapporti e documenti, sapere parlare e scrivere in una lingua straniera, sapere utilizzare il computer e internet, sapere lavorare produttivamente in gruppo, essere capace di gestire efficientemente il tempo, essere produttivi anche sotto stress, sapere negoziare, essere competente anche in campi diversi dal proprio, sapere affermare la propria autorità.
Le competenze che l’OCSE elenca sono quelle cui bisognerebbe dedicarsi nella formazione degli studenti.
Ma non è quello che accade oggi a scuola.
Per questo abbiamo apprezzato l’auspicio della nuova Ministra a cogliere l’opportunità del PNSD per abbandonare una “didattica puramente trasmissiva” e sostituirla con metodologie attive e proposte didattiche innovative che sappiano maggiormente motivare e coinvolgere gli studenti. La Ministra ha anche sostenuto la necessità di “valorizzare il digitale come agente attivo del cambiamento” della didattica al fine di sviluppare abilità e competenze degli studenti (dall’audizione Ministra Fedeli del 26 Gennaio 2017 ).
Fattori che facilitano o ostacolano la formazione
Per passare ora a riflettere intorno ai fattori che facilitano e/o ostacolano la formazione può essere utile anche considerare il documento recentemente pubblicato da Eurydice, The Teaching Profession in Europe. Practices, Perceptions and Policies – La professione docente in Europa Pratiche, percezioni e politiche L’analisi svolta da Euridyce sulla partecipazione alla formazione da parte degli insegnanti indica che: […] La partecipazione può essere influenzata positivamente o negativamente da diversi fattori. Alcuni incentivi come una promozione o bonus sullo stipendio possono favorire la partecipazione allo sviluppo professionale continuo, alla stessa maniera di altre misure come la fruibilità gratuita delle attività di formazione e il congedo di studio remunerato (tali indicazioni in parte già previste dal contratto nazionale di lavoro è stata resa strutturale e permanente con la legge sulla Buona scuola n.d.r.).
Il documento di Euridyce continua affermando: Al contrario, la partecipazione può essere frenata se le attività di sviluppo professionale non sono compatibili con l’orario scolastico o se manca il sostegno da parte del datore di lavoro, nel qual caso le agevolazioni di cui si parlava sopra rischiano di essere inefficaci (il grassetto è nostro n.d.r.).
Se concordiamo sul fatto che il sostegno del datore di lavoro sia elemento imprescindibile per attivare il circolo virtuoso: “formazione-sperimentazione-integrazione dell’innovazione nel curricolo insegnato” ne ricaviamo alcune conseguenze che, per la scuola secondaria di secondo grado, vanno ad impattare con il curricolo previsto nelle Linee guida nazionali e con le caratteristiche dell’esame di stato.
Luisanna Fiorini del Servizio provinciale di valutazione per l’istruzione della Provincia autonoma di Bolzano nel suo articolo Chi sono i “cattivi maestri” nella nuova Scuola, segnalava che nella scuola convivono cattivi maestri che provocano danni e cattivi maestri che creano sviluppo. E’ auspicabile che, grazie alla formazione ottenuta con il PNSD, i docenti “che creano sviluppo” faranno propria l’esigenza di innovare la didattica sia relativamente alle modalità di svolgere le azioni formative optando per modalità come : flipped classroom, debate club, sia relativamente al proporre agli studenti Episodi di Apprendimento Situato, compiti di realtà, Questions socialement vives in attività laboratoriali e di didattica attiva svolte per favorire lo sviluppo delle loro competenze comprese quelle indicate nel Framework Digcomp recentemente aggiornato.
Possiamo ora chiederci: nella scuola secondaria di secondo grado gli insegnanti innovatori saranno sostenuti o abbandonati nel percorso di innovazione intrapreso?
Le modalità con cui vengono definite le prove dell’esame offrono un immediato riscontro della coerenza nella promozione dell’innovazione da parte del Ministero che, come già segnalato nella scuola secondaria di secondo grado per i Dirigenti scolastici e gli Insegnanti, è il core business di tale segmento scolastico.
E’ evidente che se si desidera che anche la scuola secondaria di secondo grado proceda nel solco innovativo sopra delineato sarà necessario renderlo evidente con prove d’esame che puntino a verificare le abilità e le competenze acquisite dagli studenti nel loro percorso scolastico. Un esame di stato che testi le mere conoscenze possedute, know-that anziché know-how, metterà sicuramente in difficoltà proprio quegli insegnanti innovatori che si dovrebbero sostenere se si volesse puntare sull’effetto di trascinamento da loro prodotto per lo sviluppo in senso innovativo della scuola. Nel seguente documento della Banca mondiale il ruolo degli innovatori viene enfatizzato come elemento propulsore del cambiamento […] the knowledge-sharing champions, natural enthusiasts who lead by example and inspire others (vedere pag. 129).
Il problema immediato è infatti, a nostro parere, legato alla definizione delle prove dell’esame di stato. Le attuali Linee guida dei diversi indirizzi della scuola secondaria superiore, seppure migliorabili, sono già aperte alla possibilità di operare in termini innovativi e non sono perciò percepite come intralci immediati sul percorso.
Se le prove dell’esame di stato continueranno a dovere essere identiche in tutto il territorio nazionale ciò comporterà, obtorto collo, la necessità di proporre ancora strumenti di valutazione tradizionali nelle prove d’esame. In questo modo chi, come le avanguardie innovative, si sarà impegnato in sperimentazioni con l’obiettivo di sviluppare percorsi didattici nuovi percepirà i propri sforzi come disconfermati proprio da chi ha attivato e crede nel PNSD. La soluzione non può però essere la scelta draconiana di imporre a tutti un esame di stato fondato su prove di competenza, ma di procedere con prudenza verso l’innovazione collegandosi a quell’innovazione organizzativa che è stata recentemente introdotta nelle scuole. Ci riferiamo qui al circolo virtuoso di miglioramento organizzativo e di miglioramento dell’efficacia che si sta perseguendo con il percorso: “Rapporto di Autovalutazione – piano di miglioramento – Piano Triennale dell’Offerta Formativa”. Questa nuova procedura organizzativa pensata per potenziare l’autonomia delle scuole, attribuendo loro responsabilità nelle scelte ha determinato, o sta determinando, una diversificazione di percorsi formativi che non possono, e a nostro avviso non devono, essere “depotenziati” da un esame di stato definito centralmente a livello nazionale.
Forse è tempo di abbandonare il mito del “valore legale del titolo di studio” e accettare una diversificazione tra le scuole consentendo così l’emersione delle eccellenze che porterebbero ad un benefico effetto trainante in tutto il sistema.
Ovviamente la garanzia di un livello medio di qualità del sistema andrebbe comunque presidiata. Con un meccanismo di valutazione esterna a più livelli esso potrebbe essere costantemente monitorato. Facciamo qui riferimento al Sistema Nazionale di Valutazione che con il test Invalsi, prossimamente effettuato anche a fine secondaria superiore, garantirebbe che le scuole vengano proattivamente, costantemente stimolate al miglioramento. Ulteriore impulso verrebbe sicuramente anche dalle visite periodiche alle scuole a cura dei Nuclei Esterni di Valutazione (NEV) del Sistema Nazionale di valutazione e dagli stessi Dirigenti scolastici periodicamente valutati dai Nuclei di Valutazione previsti dalla Direttiva 36/16 si veda a questo proposito: PNSD, due leve per attuarlo meglio: formazione e organizzazione.