Alla vigilia della formazione del nuovo governo, mentre molti interrogativi sulle scelte per il futuro del Paese attendono risposta, la scuola si augura una guida politica che non ne faccia ancora una volta terreno di scontro di poteri o oggetto di tagli lineari, ma che piuttosto la ponga senza incertezze al centro di azioni di sviluppo, con investimenti che diano continuità ai processi di miglioramento avviati, correggendo il tiro laddove possono essere sicuramente meglio focalizzati e ulteriormente definiti.
Competenze digitali, ancora lontani dagli obiettivi del PNSD
Tra le linee di sviluppo in corso, quella relativa al Piano Nazionale Scuola Digitale avviato nel settembre 2015 è sicuramente una di quelle irrinunciabili, perché essenziale per l’ammodernamento del sistema d’istruzione e per la creazione di una cultura digitale che deve progressivamente permeare tutte le attività educative, sociali e produttive del nostro Paese. È universalmente riconosciuto che il successo formativo dei nostri ragazzi non può prescindere dall’acquisizione di competenze digitali almeno di base, che non vanno confuse con la mera capacità d’uso elementare e quotidiano degli strumenti tecnologici di più ampia diffusione, cui i ragazzi provvedono autonomamente con naturalezza, e dunque la scuola non può sottrarsi ad un adeguamento strutturale (spazi, connettività, arredi, device), organizzativo e metodologico.
Molto è stato fatto in circa due anni e mezzo di attività, realizzate sulla spinta delle azioni previste dal PNSD ed anche grazie alle risorse messe in campo dal Piano Nazionale di Formazione, ma siamo ancora ben lontani dagli obiettivi dichiarati dall’ambizioso e sfidante progetto di cambiamento e dall’auspicata trasformazione sistemica della scuola in dimensione digitale.
PNSD, i difetti da correggere
Un primo difetto da correggere è immediatamente rintracciabile nella debolezza della governance complessiva del Piano: basti pensare che non è stata realizzata dall’Amministrazione una rilevazione accurata della situazione di partenza delle scuole rispetto alla connettività, alle dotazioni tecnologiche e alle prassi metodologiche della didattica; non è stato attivato un monitoraggio costante che non fosse meramente burocratico e di rendicontazione amministrativa chiesta alle scuole, ma che si configurasse come periodico stato di avanzamento a fini di messa a punto del Piano ed eventuale correzione in itinere; per non dire della mancanza di rendicontazione economica trasparente anche in termini del ritorno dell’investimento rispetto allo spostamento di indicatori prefissati di qualità realizzativa.
Va detto che come Anp, in collaborazione con Link Campus University e Università Roma 3 avevamo inteso supplire al vuoto informativo iniziale tramite l’indagine esplorativa sui docenti delle scuole di ogni ordine e grado condotta da gennaio a marzo del 2016, di cui avevamo dato i primi esiti in un evento pubblico alla presenza della Ministra Fedeli lo scorso anno e il cui report completo di approfondimento, “Le sfide della scuola nell’era digitale. Una ricerca sociologica sulle competenze dei docenti”, Eurilink University Press, è stato pubblicato e presentato nei giorni scorsi a Roma con un approfondito dibattito. Quella ricerca ci restituisce lo stato dell’arte circa la strumentazione tecnologica disponibile nelle scuole all’avvio del PNSD e circa l’effettivo utilizzo delle tecnologie digitali nella didattica, di cui erano note molte esperienze ma non una ricognizione complessiva. All’epoca di avvio del nostro lavoro il solo dato disponibile era fornito dal report dell’Osservatorio Tecnologico MIUR 2014/2015, strumento che dopo la nostra rilevazione è stato riorganizzato e riattivato nella primavera 2017 per una comunicazione pubblica molto parziale resa in occasione della festa di luglio del PNSD. Solo a seguito di una richiesta di accesso civico di Agi, poi, abbiamo avuto notizia di forti criticità realizzative.
Il digitale nella scuola ancora usato poco e male
A oltre due anni dall’avvio del PNSD si ha, dunque una sensazione – confermata da molti attori coinvolti – di ridotta efficacia: logica di finanziamento meramente distributiva, assenza di monitoraggio continuo dei processi fatta eccezione per il controllo di regolarità amministrativo a fini di rendicontazione finanziaria, assenza di valutazione di efficacia dei processi, emissione di bandi senza pianificazione temporale complessiva ed eccesso di burocratizzazione. Ciò nonostante, è progressivamente crescente il numero di esperienze virtuose condotte nelle scuole, testimonianza di una grande creatività, che tuttavia resta di nicchia (sia all’interno di singola scuola che a livello di intero sistema nazionale). Si osserva anche una trasformazione progressiva dei modelli organizzativi e didattici: il digitale utilizzato essenzialmente come accesso a contenuti (cercati o prodotti) e non tanto come mezzo per la costruzione di relazioni e interazioni significative (tra i saperi, tra gli individui e i saperi, tra gli individui, degli individui con la propria identità in trasformazione tramite un processo riflessivo).
Il quadro che emerge disegna una professionalità docente ancora fortemente analogica, che vede il digitale come valida alternativa al fare consolidato, che ne riconosce la forza nel favorire il passaggio dalla didattica come trasmissione di conoscenza alla didattica come comprensione della realtà, ma fatica ad incorporarlo sia nella relazione che nell’attività professionale in senso stretto.
Insegnanti innovatori ci sono, ma manca la governance
Gli insegnanti decisamente innovatori, poi, denunciano di frequente il mancato riconoscimento in termini stabili del proprio impegno nell’arricchimento del profilo professionale da parte dell’istituzione cui appartengono. Anche quelli che si sono spesi con entusiasmo nei ruoli di Animatore digitale o Team digitale subiscono la delusione che deriva dalla mancanza di una governance chiara del cambiamento.
La questione di rilievo che emerge è la ineludibile necessità di una significativa rivisitazione delle politiche di gestione del personale, fondamentali anche come leve di trasformazione in senso digitale della didattica e più in generale per il miglioramento della qualità del sistema scuola: selezione attitudinale e per competenze del personale, istituzione di un sistema di carriere e di “quadri” professionali che diano vita ad un middle management riconosciuto e stabile, formazione continua obbligatoria di qualità, politiche retributive che valorizzino e premino i docenti.
L’innovazione, anche quella della scuola digitale, è una questione di policy che non può essere banalmente scaricata come responsabilità sui singoli docenti o sui gruppi/collegi, né ridotta ad una mera questione tecnologica: sarà opportuno che finalmente una politica coraggiosa porti il Paese in modo trasversale e condiviso a decidere quale modello di docente e quale sistema scolastico vogliamo, e per quale futuro per lo studente, smettendo di riversare sulla scuola riforme e controriforme mai portate a termine.