il dilemma

Scuola digitale, sperimentazione eterna: perché non riusciamo a fare di più

Dal primo piano nazionale di informatica del 1985 all’ultimo piano nazionale scuola digitate, molto è stato fatto per diffondere la cultura digitale nelle scuole, ma i risultati sono ancora disomogenei e le iniziative intraprese raramente sono riuscite a consolidare i risultati ottenuti. Ecco come evitare l’implosione

Pubblicato il 27 Giu 2018

Giovanni Dursi

docente di Filosofia e Scienze umane - Formatore

scuola digitale

L’ampiezza, la velocità e la pervasività dello sviluppo dell’Information and Communication Technology non corrispondono ai parametri del procedere innovativo del sistema d’istruzione, educazione e formazione italiano, non collimano con la logica della “critical mass” [2].

La Legge n° 59 del 15 marzo 1997, art. 21 e il relativo D.P.R. 8 Marzo 1999 n. 275 che la regolamenta hanno gradualmente osato mandare avanti una pianificazione del rinnovamento delle scuole; esse, infatti, hanno acquisito piena autonomia organizzativa, didattica, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, ma, forse inevitabilmente, risultando nel primo ventennio del XXI secolo – per quanto attiene all’impatto ed implementazione dell’ICT- non in grado di coinvolgere in modo omogeneo e tempestivo tutte le componenti strutturali e di servizio istituzionali, considerabili ancora come un “sistema di incoerenze” [3].

Il primo Piano Nazionale di Informatica (1985)

Nell’ultimo ventennio del XX secolo, l’allora Ministero della Pubblica Istruzione, recependo gli incalzanti input del sistema imprenditoriale produttivo di beni e servizi e dell’Unione europea, ha incominciato ad assegnare risorse finanziare alle scuole per ideare un’organizzazione del servizio pubblico d’istruzione dotato di idonei impianti tecnologici a supporto della didattica inter-transdisciplinare. Il primo Piano Nazionale di Informatica è del 1985; implica metodicamente la scuola secondaria di II grado; il curricolo più efficace, al termine di questa stagione pionieristica, sarà quello del Liceo delle Scienze sociali che prevedeva, insieme alle co-docenze, l’insegnamento dei Linguaggi multimediali e non verbali già nel primo biennio. In altri indirizzi di studio, importanza decisiva assumeva l’insegnamento dell’Informatica collegata alla didattica della Matematica e della Fisica, mediante attività d’aggiornamento ricorrente degli insegnanti (Biondi, 2007; Bonaiuti, Calvani, Menichetti & Vivanet, 2017). L’esperienza iniziale del PNI è stata successivamente integrata nel 1991 con opportuni interessamenti dell’area linguistico-letteraria (MPI, 1991).

Diffusione della multimedialità e formazione dei docenti

A causa dell’evoluzione permanente del campo riferibile all’Information and Communication Technologies e della considerazione crescente che acquisiva la dimensione tecnico-digitale della condivisione delle conoscenze (knowledge society), l’intera Pubblica Amministrazione è stata investita negli anni successivi da sollecitazione alla “dematerializzazione” delle prassi; in particolare, il comparto Istruzione viene interessato da altre due interventi di carattere sistemico: il Programma di Sviluppo delle Tecnologie didattiche del 1995 e del 1997 (MPI, 1995; 1997) e il Piano nazionale per la formazione dei docenti sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ForTic) del 2002 (MPI, 2002). Con la prima azione si puntava a diffondere l’uso della multimedialità e della rete in tutti i gradi scolastici (compresa la scuola dell’infanzia), con la seconda, gli insegnanti, a ogni livello, sono stati coinvolti in percorsi formativi sulle ICT nell’implementazione didattica inter-transdisciplinare.

Il Piano Nazionale per la Scuola Digitale

Nel 2008, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca elabora e propone un’azione di sistema: il Piano Nazionale per la Scuola Digitale (PNSD). La programmazione di strategie di digitalizzazione, inserita nel Piano triennale dell’Offerta Formativa (PtOF), permette di contribuire alla promozione del processo di innovazione del sistema scolastico previsto dal Piano Nazionale per la Scuola Digitale (PNSD). L’innovazione digitale della scuola sembra meglio rispondere ai bisogni legati ai mutamenti sociali ed economici della realtà contemporanea a cui da sempre prestano grande attenzione le subculture politiche presenti tradizionalmente nel Paese.

Al Documento d’indirizzo del MIUR e ai relativi investimenti finanziari hanno fatto seguito iniziative nelle quali gli studenti sono guidati nell’utilizzo di ambienti e strumenti digitali in modo consapevole. Docenti opportunamente formati iniziano ad agire come facilitatori di percorsi didattici innovativi consentendo la fruizione critica e l’elaborazione creativa di nuovi contenuti culturali. In particolare, va segnalato che l’attuale generazione di studenti, cosiddetti nativi-digitali [4], ha progressivamente acquisito abilità tecnologiche, generative di predisposizioni agli apprendimenti, nelle buone prassi di esperienze scolastiche pilota le quali non hanno reso affatto superfluo il metodo di organizzazione concettuale che i Docenti hanno fornito indipendentemente dalla tipologia di strumenti utilizzati. Per attuare compiutamente il PNSD è però necessario concertare all’interno di tutte le comunità scolastiche territorialmente configurate una serie di ulteriori iniziative nelle quali gli strumenti e i contenuti digitali siano immersivamente, routinariamente e quotidianamente condivisi.

Le azioni da reiterare coinvolgendo tutte le risorse umane devono essere finalizzate al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

  • potenziamento generalizzato degli strumenti digitali;
  • didattica laboratoriale e costruzione di ambienti per l’apprendimento innovativi con il protagonismo di tutte le discipline curricolari;
  • Blended Learning Activity Planning;
  • completa digitalizzazione amministrativa e didattica con diminuzione dei processi che utilizzano il supporto cartaceo;
  • servizi digitali per la comunicazione scuola-famiglia e scuola-studenti;
  • funzioni comunicative connesse al Registro Elettronico.

Le competenze (di docenti e studenti) e il lavoro

In secondo luogo, va incentivato lo sviluppo di specifiche competenze (alfabetizzazione digitale di massa nel “trattare” contenuti digitali), vanno definite capillarmente le competenze digitali che ogni studente deve sviluppare anche sulla base di indicazioni internazionali, vanno rafforzate le competenze digitali di tutti i docenti ed incrementato l’utilizzo di contenuti in formato digitale. Non può essere trascurata, altresì, la valorizzazione del legame tra competenze digitali e prospettive applicative nei vari ambiti del lavoro. Per quanto attiene al processo di formazione, all’acquisizione ed all’aggiornamento continuo del “fare digitale” competenze digitali, va affiancata l’incentivazione dell’utilizzo di tecnologie per una didattica innovativa e coinvolgente, non disgiunta alla crescita dell’autonomia delle persone e della capacità di “pensiero critico”.

Per raggiungere gli obiettivi descritti, non è sufficiente la presenza dell’animatore digitale, a fianco del Dirigente Scolastico e del Team per l’innovazione, pur in un clima di collaborazione con le figure di sistema e gli operatori tecnici ed in grado di promuovere iniziative riferite a tre ambiti:

La formazione interna

  • analizzare i bisogni relativi alle competenze digitali per avviare un percorso formativo e di aggiornamento;
  • promuovere l’informazione sull’innovazione didattica;
  • stimolare lo scambio professionale e la raccolta di percorsi didattici digitali di valore;
  • promuovere l’utilizzo di testi digitali;
  • organizzare la formazione sull’uso di una piattaforma digitale per favorire la continuità didattica per gli studenti in mobilità;
  • promuovere l’uso delle tecnologie digitali come mezzo per potenziare l’apprendimento;
  • informare costantemente la comunità scolastica sugli interventi di accompagnamento e aggiornamento del MIUR nell’ambito del PNSD;
  • dare impulso agli interventi di alta formazione digitale attivati dal MIUR nell’ambito del PNSD anche all’estero;
  • favorire lo sviluppo del pensiero computazionale fin dalla scuola primaria;
  • incoraggiare l’aggiornamento dell’insegnamento di Tecnologia alla scuola secondaria di primo grado includendo nel curricolo tecniche e applicazioni digitali),

Il coinvolgimento della comunità scolastica

  • collaborare con le figure di sistema e con gli operatori tecnici;
  • implementare i servizi digitali per la comunicazione scuola-famiglia e scuola-studenti;
  • utilizzare strumenti digitali per il monitoraggio sistematico dei risultati degli studenti;
  • avviare la pianificazione e la programmazione di attività formative sulla Media Education;
  • dotare la scuola di una Policy di e-safety, costruita in modo partecipato coinvolgendo l’intera comunità scolastica;
  • realizzare ambienti di apprendimento comuni in cui la tecnologia sia utile a sviluppare competenze, a promuovere la collaborazione per risolvere problemi e realizzare progetti;
  • aprire la scuola al territorio accogliendone fabbisogni formativi e di integrazione sociale orientati alla “cittadinanza digitale”).

Le soluzioni innovative

  • analizzare i bisogni in termini di strumenti tecnologici in dotazione;
  • selezionare e promuovere l’utilizzo di siti, software, applicazioni e Cloud didattici
  • organizzare un laboratorio di coding per gli studenti
  • attivare una piattaforma digitale per la condivisione di materiali al fine di garantire la continuità didattica per gli studenti in mobilità
  • potenziare le iniziative digitali per l’effettiva inclusione
  • promuovere, in accordo con le famiglie e gli enti locali, l’utilizzo di dispositivi digitali personali durante l’attività didattica, modalità Bring Your Own Device).

Rilanciare le potenzialità del PNSD

La potenzialità del PNSD – attualmente in “mezzo al guado” – è enorme e va rilanciata; nel 2012 e nel 2015 e ha consentito il finanziamento e la realizzazione di diversi progetti, tra cui Cl@ssi 2.0 e Scuol@ 2.0, attraverso i quali si è tentato di potenziare l’uso quotidiano della tecnologia (LIM, tablet, e-books, etc.), e “Editoria digitale”, per l’utilizzo di risorse didattiche in formato digitale invece che cartaceo (MIUR, 2017). L’impegno si è orientato soprattutto verso l‘educazione ai diversi linguaggi multimediali sia come sviluppo di una conoscenza critica, sia di abilità concettuali essenziali. La figura dell‘Animatore Digitale, prevista dalla legge 107/2015, in collaborazione con il Team per l’innovazione digitale, le Funzioni Strumentali per le nuove tecnologie, in sinergia con lo staff della scuola, hanno contribuito alla diffusione della cultura digitale rivolta sia agli studenti, sia al corpo docente, al fine di favorire il processo di diffusione di politiche legate all‘innovazione didattica, tramite azioni di accompagnamento e di sostegno al Piano Nazionale Scuola Digitale rappresentate dalle opportunità offerte dagli Avvisi P.O.N. 2014-2020, ma non sono più sufficienti a generare l’incremento qualitativo tipico della “critical mass”.

Il Piano Nazionale Scuola Digitale dovrà emanciparsi da sé stesso e liberare latenti potenzialità per il conseguimento comunitario e qualitativamente diffuso di livelli standard in ambiti quali:

  • competenze digitali degli studenti;
  • potenziamento degli strumenti didattici e laboratoriali necessari a migliorare la formazione e i processi di innovazione dell’istituzione scolastica;
  • adozione di strumenti organizzativi e tecnologici per favorire la governance, la trasparenza e la condivisione di dati;
  • formazione dei docenti per l‘innovazione didattica e lo sviluppo della cultura digitale;
  • formazione del personale amministrativo e tecnico per l‘innovazione digitale nell‘amministrazione; del potenziamento delle infrastrutture di rete;
  • valorizzazione delle migliori esperienze nazionali;
  • definizione dei criteri per l‘eventuale adozione dei testi didattici in formato digitale e per la diffusione di materiali didattici anche prodotti autonomamente.

Le criticità

Secondo Marco Perini e Giuseppe Tacconi [5] nella prima fase del PNSD (2008-2011) si mirava a favorire situazioni di eccellenza, che potessero stimolare altri docenti e istituzioni scolastiche a innovare; nella seconda fase (2012-2014) si è tentato di consolidare le buone pratiche emerse, attraverso piani di formazione dedicati. Nella sua versione più recente (2015) il PNSD sembra invece aver spostato il suo focus sullo sviluppo di competenze digitali da parte degli studenti (Bonaiuti et al., 2017). Anche nella recente riforma “La buona scuola” (L. n. 107/2015) e nei suoi decreti attuativi (MIUR, 2017) i riferimenti al sopracitato piano sono molteplici. Gli studi che hanno esaminato gli interventi ministeriali dell’ultimo decennio hanno fatto emergere alcuni dubbi rispetto agli sforzi sostenuti per la loro realizzazione. Nello specifico, la “Review of the Italian digital strategy for digital schools” (Avvisati, Hennessy, Kozma & Vicent-Lancrin, 2013) mette in luce le seguenti criticità:

  • il coinvolgimento discontinuo dei docenti nei progetti;
  • lo scarso impiego di fondi, che ha impedito di dar luogo a un cambiamento di portata sistemica;
  • la mancata previsione di un’adeguata formazione per gli docenti;
  • il mancato riconoscimento economico dell’impegno dei docenti coinvolti nei progetti.

Rimane inoltre l’esigenza di integrare l’uso delle tecnologie nella didattica di tutte le discipline, in particolare in quelle di area culturale (Moricca, 2016). Ulteriori criticità sono:

  • la mancanza di un’appropriata progettazione didattica,
  • l’inefficienza delle infrastrutture tecniche (in particolare, la mancanza di una connettività InterNET performante),
  • l’obsolescenza dei device a disposizione di scuole e docenti,
  • la resistenza degli insegnanti a cambiare le loro pratiche
  • la sovrastima delle potenzialità delle ICT per l’educazione (Pellerey, 2015; Ranieri, 2011).

Innovazione e approcci didattici

Non si può però affermare che l’impegno di istituzioni e docenti sia andato a vuoto. L’attuazione dei diversi piani ha stimolato infatti molte iniziative lodevoli, consentendo l’avvio di sperimentazioni e la condivisione di pratiche didattiche innovative. Sembra però che le iniziative promosse nell’arco di quasi quarant’anni solo raramente siano riuscite ad andare oltre la fase sperimentale consolidando i risultati ottenuti. Si ripropone una tendenza, già rilevata nella storia delle educational technologies (Spector & Ren, 2015), secondo la quale queste innovazioni sarebbero state spesso introdotte nei contesti educativi senza modificare gli approcci didattici e metterne in discussione gli obiettivi didattici ed educativi.

Come invertire la rotta

Parallelamente alla scuola generalista, anche il contesto dell’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), la cui struttura è sempre stata connessa al mondo del lavoro e ha sempre fatto i conti con le tecnologie nell’area professionalizzante, ha preso parte a questo processo di innovazione, attraverso diverse iniziative che hanno puntato a promuovere l’uso delle ICT a sostegno della didattica.

Il processo di innovazione educativa ha coinvolto persone (docenti, studenti, genitori e dirigenti) per cambiare le proprie pratiche e routine, sulla base di un’infrastruttura tecnologica e organizzativa efficiente, ma è indispensabile considerare attentamente l’iter delle realizzazioni in corso che, volendo evitarne l’implosione, implica inevitabilmente l’attivazione di processi per il monitoraggio e la revisione di risultati, strumenti e risorse. Occorrerà, quindi, individuare momenti istituzionali all’interno della comunità scolastica per la condivisione e la riflessione critica dei dati raccolti, valorizzando le esperienze fin qui effettuate ed i protagonisti e “testimoni” del processo di mutazione socioculturale oltreché tecnica che si sta manifestando, generando capacità di gestione in autonomia nei suoi diversi aspetti: pedagogico, tecnologico, organizzativo.

__________________________________________________

  1. A titolo esemplificativo, si ricordano il microprocessore 80486 (un 80386 al quale viene affiancato, in un unico chip, il coprocessore 80387, dato che integra al suo interno molte di quelle parti che erano considerate moduli aggiuntivi nei microprocessori precedenti; moduli come il coprocessore matematico, appunto, o come la memoria cache; la velocità interna di elaborazione è di 66 Mhz) del 1989 e il processore Pentium (presenza di registri a 64 bit, dalla capacità di eseguire più di una istruzione per clock, dalla notevole presenza del coprocessore matematico; il processore, cinque volte più potente di un 486 a 25 MHz, incorpora una tecnologia che permette di miniaturizzare in un solo chip ben 3,1 milioni di transistor, rispetto al milione utilizzato nel 486.; nel 1994 viene introdotto il Pentium a 90 MHz, che funziona a 3,3 volt anziché a cinque tipici delle CPU 80×86; l’anno successivo escono processore con frequenze a clock 75, 90 e 100 Mhz; a distanza di poco tempo, le CPU arrivano ad una capacità di elaborazione a 120 e 133 MHz, mentre nel 1996 escono i modelli a 150, 166 e 200 MHz. ) del 1993.
  2. Si ritiene che un cambiamento sociale sia possibile solo dopo che una quantità “critica” di supporto (conoscenze condivise, pratiche d’uso diffuse, ed omologhe) popolare sia assicurato.
  3. Romei Piero, Autonomia e progettualità. La scuola come laboratorio di gestione della complessità sociale, La Nuova Italia, Firenze, 1995 – Romei Piero, Fare l’insegnante nella scuola dell’autonomia , Carocci Faber, 2005 – Romei Piero, Guarire dal “mal di scuola”. Motivazione e costruzione di senso nella scuola dell’autonomia, RCS – La Nuova Italia, Firenze, 1999 – Romei Piero, La scuola come organizzazione. Testo e casi, F. Angeli, Milano, 1986 – Romei Piero, L’autonomia delle scuole. Istruzioni realistiche per un uso non banale, Casa Editrice Risa, Roma, 2001.
  4. Digital Natives, Digital Immigrants, By Marc Prensky From On the Horizon (MCB University Press, Vol. 9 No. 5, October 2001.
  5. Marco Perini e Giuseppe Tacconi dell’Università degli studi di Verona, ICT integration in teaching practice: can we go beyond the experimentation, Form@re – Open Journal per la formazione in rete , 2017.

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