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Scuola digitale: tutti i ritardi che mettono a rischio il PNRR



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La gestione dell’attuazione delle misure del PNRR è l’emblema di una governance che tende a procrastinare, più che a incanalare risorse ed energie verso una trasformazione concreta del sistema della scuola e dell’Università Italiana. È indispensabile, quindi, che venga ripristinata la priorità delle innovazioni educative e tecnologiche nel quadro strategico nazionale. Vediamo problemi e paradossi

Pubblicato il 26 set 2023

Paolo Ferri

Professore Ordinario di Tecnologie della formazione, Università degli Studi Milano-Bicocca



Scuola digitale

La destra di governo sembra aver bagnato le polveri dell’innovazione tecnologica nella scuola e nell’università. Più di un anno fa quando è stato varato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza le tecnologie didattiche erano state messe centro della Missione 4 Istruzione e ricerca, finalizzata a innovare la scuola e l’università italiana attraverso uno stanziamento di 30 miliardi di euro.

La destra di governo e il PNRR: quetare e sopire

Oggi questo slancio appare decisamente attenuato quando non del tutto esaurito. Analizziamo, allora, i principali provvedimenti previsti dal PNRR in tema di innovazione digitale del sistema formativo per constatare come il governo di centro destra abbiamo già rallentato molto la loro attuazione.

Il Piano Scuola 4.0, è l’unico in corso di piena attuazione, poiché stato varato a Settembre 2022 dal Governo Draghi, appena prima della crisi dell’esecutivo. Scuola 4.0 prevede un finanziamento di 2,1 miliardi di euro per la trasformazione di 100.000 classi in ambienti di apprendimento innovativi. Si stanno realizzando in questo modo,nuove aule “digitali” e “device” digitali verranno messi a disposizione degli studenti e degli insegnanti.

Sempre a settembre del 2022, erano state predisposte dall’allora ministro Bianchi altre tre misure finanziate dal PNRR che dovevano accompagnare e sostenere il processo di innovazione del sistema formativo italiano e che analizzeremo in seguito:

  • la formazione sulle competenze digitali per gli insegnanti: 1,2 miliardi di stanziamento (Decreto Ministeriale 65/23 linea di investimento 3.1 “Nuove competenze e nuovi linguaggi);
  • la istituzione di tre Teaching and Learning Center, per migliorare le competenze di insegnamento (comprese le competenze digitali) dei docenti nelle università e degli insegnanti nelle scuole. Inoltre, l’istituzione di tre Digital Education Hub (Decreto Ministeriale n. ​118 del 02-03-2023) per migliorare la capacità del sistema di istruzione superiore di offrire formazione digitale a studenti e lavoratori. Si tratta di uno stanziamento 500 milioni che fa parte dell’ Investimento 3.4: Didattica e competenze universitarie avanzate del PNRR;
  • L’istituzione, infine, di una Scuola di Alta formazione e formazione continua per dirigenti scolastici, insegnanti e personale ATA che avrebbe dovuto stabilire le linee di indirizzo e coordinare la formazione degli insegnati. All’interno della scuola dovrebbe collocarsi il polo di coordinamento sull’educazione digitale promosso dal Ministero dell’istruzione. Si tratta di uno stanziamento 34 milioni di euro (Decreto legge n. 36, del 30 aprile 2022, ha introdotto il Capo IV-bis al Decreto legislativo n. 59 del 2017 (articoli 16-bis e 16-ter).

Ora tutte queste misure dovevano essere adottate entro il 2022, in modo da agire in sinergia e permettere una reale innovazione del sistema formativo italiano. Come abbiamo notato più sopra, la caduta del governo Draghi ha bloccato il loro l’iter di approvazione e si sono dovuti attendere più di sei mesi perché venissero rimesse in agenda dal governo Meloni, con conseguenze spesso, come vedremo, paradossali. Non possiamo sapere se questi ritardi dipendano da volontà politica, da disorganizzazione o da altre cause. Quello che è chiaro come analizzando i singoli provvedimenti, molti interventi pensati per essere attuati nel 2022 sono slittati di molti mesi.

La formazione degli insegnanti sulla Didattica digitale integrata, sul CLIL e i percorsi orientativi sulle STEM per gli studenti

Nel maggio del 2023, con molti mesi di ritardo sul timing di Draghi, il Ministro dell’Istruzione e del merito Valditara ha varato i decreti sulla formazione degli insegnanti per la “didattica digitalmente integrata” e le metodologie CLIL, insieme a quelli sulla formazione STEM per studentesse e studenti.

Si tratta di uno stanziamento ingente – quattrocentocinquanta milioni di euro – finalizzato alla realizzazione di almeno 20.000 percorsi formativi per il personale scolastico (dirigenti scolastici, direttori dei servizi generali e amministrativi, personale ATA, docenti, personale educativo).

Le tematiche sono scontornate dai framework europei DigComp 2.2 e DigCompEdu, il decreto alloca già le risorse sulle singole scuole, facendo intendere che saranno i dirigenti a rivolgersi al “mercato” per decidere a quali istituzioni formative accreditate appoggiarsi e quali tematiche privilegiare, ma su questo è necessario attendere ancora le circolari applicative. La formazione non è stata ancora erogata, ma nel frattempo le scuole si sono trovate nella necessità di realizzare i progetti per le risorse ingenti – 2,1 miliardi per device e software – le risorse del Piano Scuola 4.0.

Le scuole hanno sviluppato i progetti, senza poter contare, però, sulla formazione necessaria per attuarli. Il rischio concreto è quello di disperdere in mille rivoli cioè in acquisti di hardware, device e software poco ponderati la grandissima quantità di denaro messa a disposizione dal piano Next Generation Eu. Anche i percorsi formativi futuri corrono il rischio della frammentazione e scarsa organicità dal momento che ogni singola scuola e quindi ogni dirigente dovrà rivolgersi a differenti istituzioni, università o società di formazione.

Gli “Enti accreditati” per la formazione degli insegnanti, all’interno della Banca Dati Sofia (il gestionale che permette ai docenti di inscriversi alla formazione) sono quasi 600, oltre alle Università, e molti di questi non garantiscono certamente la qualità e l’efficacia della formazione. I criteri dell’accreditamento sono spesso formali e ad esempio tutte le Università Telematiche sono presenti. È accreditata una serie Associazioni ed Istituiti di formazione sui quali nutriamo forti dubbi rispetto alla qualità dell’offerta, per usare un eufemismo …. Lo stesso ragionamento vale per la formazione CLIL (150 milioni di euro).

Un discorso simile riguarda la formazione STEM per le studentesse e gli studenti (Decreto Ministeriale 65/23 linea di investimento 3.1 “Nuove competenze e nuovi linguaggi,). In primo luogo, non è chiaro chi dovrebbe predisporre i percorsi di orientamento e formazione. In questo caso non solo mancano le “circolari attuative”, ma trattandosi di percorsi agli studenti non è chiaro se saranno gli stessi docenti delle scuole a predisporsi oppure se verranno predisposti selezionando altri enti erogatori. Più in generale non c’è chiarezza su come gli interventi si coordineranno con le linee guida definite dalla Scuola di Alta formazione degli insegnanti che doveva definire ex-ante il quadro degli obiettivi formativi e la cornice epistemologica e metodologica della formazione e di cui parleremo di seguito.

La Scuola di Alta formazione

La Scuola di Alta formazione per docenti, personale ATA e dirigenti, è stata istituita nel maggio del 2022 con un decreto di Bianchi la legge 36/22, nell’ambito del decreto sulla formazione iniziale dei docenti – del quale non ci occuperemo in questo articolo ma anch’esso in ritardo di circa un anno.

Anche qui il Governo Meloni ha dato attuazione ai provvedimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con ritardo ed in modo poco coordinato. Nel caso della Scuola questo atteggiamento governativo è anche più paradossale perché la misura originaria del PNRR avrebbe dovuto permettere alla Scuola dare coordinamento e armonizzare, con linee guida specifiche, l’attuale sistema frammentato dei percorsi formativi attraverso mediante una strategia nazionale consolidata (PNRR Missione 4, componente 1, riforma 2.2). La Scuola nelle intenzioni di Bianchi e Draghi avrebbe dovuto essere attiva al 2022 con seguenti compiti:

  • Promuovere e armonizzare la formazione continua dei docenti di ruolo, mantenendo coerenza con la formazione iniziale;
  • Sovraintendere e orientare le attività formative di tutti gli attori del mondo scolastico, garantendo standard elevati e uniformità in tutto il paese;
  • Svolgere compiti legati alla formazione continua degli insegnanti.

L’istituzione è poi articolata in vari organi: il Presidente, il Comitato d’indirizzo e il Comitato scientifico internazionale. Ha la responsabilità delle attività didattiche e scientifiche e sviluppa le strategie formative della Scuola, coadiuvato dal Comitato d’indirizzo.

Ora le procedure e i bandi per nominare i primi due organi della scuola si sono concluse solo ad agosto 2023, come la nomina il 28 giugno del pedagogista Professor Giuseppe Bertagna alla presidenza e quelle successive, ad agosto, nel comitato scientifico del Professor Maurizio Sibilio, esperto di didattica dell’Università di Salerno; della Presidente di INDIRE Cristina Grieco (compente di diritto); del Dott. Roberto Ricci, Presidente di Invalsi – (componente di diritto); e della dott.ssa Elena Centemero Dirigente Scolastico e politica di lungo corso di Forza Italia.

Mentre ancora poco si sa del comitato scientifico internazionale. Quest’ultimo, secondo il decreto, è composto da un massimo di sette membri ed è stato voluto dal precedente governo per adeguare la formazione del personale didattico alle migliori pratiche internazionali e alle necessità del sistema educativo nazionale. È chiaro, visti i ritardi, che il Ministro Valditara non pare molto interessato ad accelerare la coordinata attuazione delle Misure del PNRR sulla scuola e la formazione alle tecnologie degli insegnati. Ma se il MIM piange il MUR non ride certo.

Digital Educational Hub e Teaching and learning center: l’innovazione digitale nell’Università stenta a decollare

In particolare, la Ministra Bernini dopo un lungo periodo di silenzio e con quasi un anno di ritardo sul cronoprogramma del PNRR e sulle aspettative del sistema universitario ha ripreso in mano i dossier sui Digital Education Hub. Bernini su questa misura PNRR ha stanziato solo un quinto 60 milioni, dei 130 annunciati dal precedente governo, e non sono ancora stati definiti i termini del bando competitivo che dovrà permettere l’operatività questi network di università. I Digital Education Hub hanno l’obiettivo di “migliorare la capacità del sistema di istruzione superiore di offrire istruzione digitale a studenti e lavoratori universitari” (PNRR, p 191).

Questa misura è stata concepita per rafforzare ed espandere l’offerta di programmi digitali nelle istituzioni di istruzione superiore, sostenendo non solo studenti universitari ma anche professionisti e imprese con percorsi on-line di formazione continua. Il loro ruolo è quello di facilitare l’implementazione di programmi didattici digitali interuniversitari, incoraggiando lo scambio di insegnamenti tra università e stimolando lo sviluppo di progetti che impiegano tecnologie digitali innovative. Si tratta di una possibile risposta “pubblica” alla crescita spesso ai confini della legalità della crescita delle Università telematiche che tra l’Anno Accademico 2020-2021 e quello 2021-2022 hanno – secondo il Rapporto Anvur 2023 più che raddoppiato il numero dei corsi di laurea magistrali e triennale e raddoppiato il numero degli iscritti. “Le università telematiche hanno visti crescere – tra 2011 e 2021 – gli iscritti di 180 mila unità (erano circa 44 mila nell’a.a. 2011/12 e si attestano a circa 224 mila nell’A.A. 2021/22 erano 114.000 nel 2020/21).

I Digital Educational Hub, infatti, costituirebbero tre network territoriali di Università pubbliche con il compito di individuare e i nuovi fabbisogni formativi e nuove forme di digitali di formazione terziaria. Nelle intenzioni degli estensori del PNNR dovrebbero promuovere nuovi metodi di apprendimento, già ampiamente diffusi negli altri paesi sviluppati, come i Massive Open Online Courses (MOOCs) e le micro-credenziali, rispondendo in modo più adeguato e dinamico alle richieste del mercato del lavoro contemporaneo, (studenti fuori sede e lavoratori precari). Le collaborazioni con imprese, fondazioni e associazioni permetterebbero di sviluppare percorsi formativi più coerenti e allineati con le esigenze di competenze attuali.

Per far questo dovrebbero mettere a sistema e incrementare le risorse digitali già presenti in molti centri eLearning degli Atenei italiani, Learning Management System, applicazioni di videoconferenza, e gli strumenti di interazione sincrona e risposta attiva, oltre che quelli di realtà aumenta e virtuale, e ai software anche basati sull’AI per generare contenuti, materiali e strumenti di apprendimento. Quanto il governo Meloni e il ministro Bernini condividano questa linea innovativa rispetto agli Atenei pubblici è ancora tutto da dimostrare visto che la forza politica da cui proviene Bernini, ha sempre sostenuto e spinto le ragioni spesso quasi sempre non condivisibili degli Atenei telematici.

Quanto poi ai Teaching and Learning Center che dovrebbero sempre nell’ambito delle riforme PNRR “per migliorare le competenze di insegnamento (comprese le competenze digitali) dei docenti nelle università e degli insegnanti nelle scuole” (PNRR, p.190) e quindi sempre rispetto alle competenze digitali costituire il punto di riferimento del miglioramento delle competenze di insegnamento sia nell’università che nella scuola. I centri dovrebbero cooperare con le scuole dei territori per promuovere modelli innovazione metodologica e tecnologica (ad esempio la metodologia del Problem Based Learning, o Inquiry Based Learning ecc.) così come la formazione continua degli insegnati si attende ancora il decreto istitutivo della Misure del PNRR.

Conclusioni


La gestione dell’attuazione delle misure del PNRR rappresenta l’emblema di una governance che tende a procrastinare, più che a incanalare risorse ed energie verso una trasformazione concreta del sistema della scuola e dell’Università Italiana. La centralità che il PNRR di Draghi, attribuiva all’innovazione e alla digitalizzazione, pilastri della stesura del documento, sembra essere incappata in un paradosso, dove gli impegni assunti risultano ridimensionati e le prospettive di sviluppo soffocate.

Questo rallentamento non solo compromette la trasformazione digitale del sistema educativo italiano, ma potrebbe anche avere ripercussioni negative sullo sviluppo delle competenze digitali degli studenti e degli insegnanti o oltre che su quelle dei cittadini e conseguentemente delle imprese. Le molteplici iniziative e finanziamenti previsti, come il Piano Scuola 4.0 e la formazione al digitale per gli insegnanti hanno subito ritardi significativi, minando la loro concreta realizzazione. Le complicazioni burocratiche, i ritardi nei bandi e nei finanziamenti, unitamente a una apparente mancanza di interesse politico, stanno contribuendo a creare un quadro di incertezza e inefficienza. È indispensabile, quindi, che venga ripristinata la priorità delle innovazioni educative e tecnologiche nel quadro strategico nazionale, al fine di garantire un’istruzione di qualità e adeguata alle sfide del futuro, in grado di preparare adeguatamente le nuove generazioni al mondo del lavoro e alla società digitale.

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