Cosa sta facendo concretamente o farà il Governo gialloverde per colmare il digital gap della scuola italiana? Poco o nulla si scorge all’orizzonte oltre al primo ed esiguo stanziamento (35 milioni di euro per il 2019 contro più di 450 milioni del governo Renzi nel biennio 2016-2018) e alle misure annunciate dal sottosegretario Salvatore Giuliano (istituzione di un comitato scientifico del PNSD e la creazione delle “equipe territoriali formative“).
Vogliamo allora porre al Governo quattro domande, nella speranza di avere una risposta celere e esaustiva. Prima però proviamo a fare una panoramica del (desolante) stato della digitalizzazione del Paese, con un occhio particolare, naturalmente, alla scuola.
Il divario digitale italiano rispetto all’Europa
Se si prende in considerazione l’indice complessivo DESI 2018 (Digital Economy and Society Index) mediante il quale la Commissione europea definisce il livello di attuazione dell’Agenda digitale da parte dei singoli paesi membri dell’unione, ci accorgiamo che l’Italia si colloca al venticinquesimo posto su ventotto Stati.
fig. 1 Performace italiane rispetto alle dimensioni studiate dal Desi
Come si può notare dal grafico qui sopra l’Italia è in gravissimo ritardo rispetto alla media europea soprattutto alla formazione del capitale umano e all’uso dei servizi internet. Questi dati non sono astratti ma hanno una ricaduta molto concreta sulla vita di tutti noi soprattutto sul tempo che perdiamo in pratiche burocratiche “analogiche” che potremmo di molto abbreviare attraverso buone soluzioni Web. Il paradosso italiano della pubblica amministrazione è però il seguente – come dimostrano i dati DESI – per i servizi digitali offerti dalle PA e rispetto all’integrazione del Web nella nostra vita privata e quotidiano siamo vicini alla media europea (fig. 1).
ma i cittadini italiani sono quelli che utilizzano di meno i differenti sistemi eGoverment e digitalizzazione dei processi della PA.
Questo dato impressionante si spiega con la scarsa qualità e usabilità del software, in particolare delle interfacce, in dotazione alle pubbliche amministrazioni (Regioni, Comuni, Enti ecc..) si pensi per la scuola al Sistema Informatico dell’Istruzione o per l’Università ai Software (SIDI) o per l’università di vari software offerti dal CINECA al Miur, le home page di riferimento spesso ci riportano ai software degli anni ottanta! E si spiega, anche, con l’astruso e kafkiano iter burocratico che regola il funzionamento di questi già obsoleti e macchinosi software.
Ad esempio, molti registri elettronici – obbligatori nelle scuole – non permettono la portabilità dei dati se il dirigente desidera passare ad altro fornitore, in aperta violazione dei regolamenti sugli open-data e sulla concorrenza. O ancora in molte università italiane sono state digitalizzate, le procedure di rimborso delle missioni e delle trasferte ma poi la pratica va stampata e consegnata firmata, in cartaceo agli uffici (Sic !).
La scuola digitalmente aumentata: poche realtà avanzate
In questo paesaggio con rovine, è ovvio pensare che il processo di “aumento digitale” della scuola e del sistema della formazione potrebbe giocare un ruolo importante, anzi fondamentale, nel miglioramento dell’efficienza del nostro sistema sociale e produttivo perché potrebbe colmare almeno il gap competenze digitali (la scuola) e long life l’Università (l’istruzione superiore e l’università) che l’indice Desi indica come una delle cause più gravi dell’arretratezza italiana rispetto all’Europa.
Ricordiamo che la competenze del capitale umano e il correlato uso dei servizi Internet sono le due componenti più basse dell’indice italiano. Ma anche in questo caso il panorama tratteggiato da Agcom a Febbraio del 2019 nel rapporto Educare digitale. Lo stato di sviluppo della scuola digitale non presenta tinte non meno fosche. La digitalizzazione delle scuole italiane è ancora da completare e il livello di infrastrutturazione digitale del nostro sistema formativo non è affatto uniforme.
I principali nodi da sciogliere
Questa “istantanea” dell’Agcom mette in rilievo anche quali siano i nodi più rilevanti da sciogliere perché le buone politiche, come ad esempio, il Piano Nazionale Scuola Digitale, messe in campo dai governi precedenti a quello verde-giallo possano dare frutti:
- Completare il cablaggio delle scuole: “La digitalizzazione – afferma Agcom – del sistema scolastico si presenta come un processo estremamente complesso e richiede un’attenta pianificazione dal momento che molto dipende dalla realizzazione di adeguate infrastrutture condizione necessaria ma non sufficiente per completare il processo di digitalizzazione delle scuole”. Ancora il 3% delle scuole non presenta alcuna connessione a Internet e nella maggior parte del casi la banda ultra-larga è ancora un sogno per la maggior parte delle scuole italiane.
- Formare metodologicamente i docenti: “Per quanto riguarda gli obiettivi didattici e di performance propri di una scuola digitale i risultati dell’analisi suggeriscono che sarebbe opportuno intensificare le iniziative a sostegno dello sviluppo di competenze e di cultura digitale, in particolare quelle che mirano ad affinare le capacità tecniche di docenti e studenti, quelle volte all’apprendimento e all’approfondimento di nuove metodologie didattiche e pedagogiche, più costruttive e con le quali migliorare i processi di apprendimento, le esperienze e il saper fare”. La percentuale dei docenti che quotidianamente si avvale di strumenti digitali per le proprie lezioni è ancora molto bassa, in media solo il 47% circa ( e ricordiamoci che strumento più diffuso è la LIM … ).
Le azioni del governo fino ad oggi
Ma cosa sta facendo il Governo e in particolare il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca per rimediare a queste carenze: molto poco davvero, come abbiamo segnalato già in un precedente articolo la politica messa in campo dal ministro Bussetti dal sottosegretario Salvatore Giuliano è quella della “dichiarazione” a basso tasso di finanziamento. Sostengono, infatti, in interviste e convegni la necessità dell’innovazione digitale ma sono molto meno chiari e decisamente evasivi sui fondi da stanziare.
Il ministro Bussetti afferma, ad esempio, in un intervista a Tecniche della Scuola: “cambiare impostazione della didattica, usare le nuove tecnologie, insegnare ad avvicinarsi ai social media, puntare sulle materie STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica)”: buoni propositi ma seguiti da una frase preoccupante, “non credo che servano molti investimenti, possiamo usare meglio gli investimenti fatti”. Su queste tematiche, come in tema di finanziamenti dei progetti, Bussetti pare lasciare ampia autonomia alle scuole, ammettendo implicitamente che i finanziamenti del governo per attuare questi propositi non saranno ingenti.
Questa impressione sembra essere anche confermata dell’unico provvedimento finanziato in tema di “Scuola digitale” in questi primi undici mesi di governo sono stati stanziati complessivamente trentacinque milioni di euro per il 2019 contro il più di quattrocentocinquanta milioni del governo Renzi nel biennio 2016-2018. I finanziamento sono legati per la maggior parte a progetti per la realizzazione di Ambienti digitali didattici innovativi (22 milioni di euro), capaci, cioè, di integrare nella didattica l’innovazione metodologica e tecnologica.
Innovare a basso tasso di investimento: questa parrebbe essere la linea del governo giallo-verde. Questo approccio, eufemisticamente minimalista, è confermato anche dalle altre misure del pacchetto: 7,5 milioni per potenziare la formazione delle competenze digitali degli studenti e formazione degli insegnanti sul PNSD.
Perché il Governo non si attiene alla linee di attuazione del PNSD e del Piano Nazionale di Formazione degli insegnanti 2016-2019, sbloccando le poste di bilancio che La buona scuola aveva ipotizzato per il biennio 2019 e 2020, e che riponiamo – “a futura memoria” nello specchietto che segue tratto da PNSD del Ottobre 2015?
Il buio oltre le europee
Ultimamente le “dichiarazioni” a favore della scuola “aumentata” dalle tecnologie del MIUR si sono ulteriormente diradate, probabilmente a causa delle incombenti elezioni regionali ed europee che hanno paralizzato l’azione di un governo a “due teste” i cui vice-premier si azzuffano, in chiave elettorale, su temi sempre molto lontani dalle necessità della Scuola e dell’Università.
Ma cosa sta facendo concretamente o farà oltre al primo ed esiguo stanziamento il Ministero verde-giallo per colmare il digital gap della scuola italiana? Proviamo a ricavarlo dalle parole del sottosegretario Salvatore Giuliano, invero persona competente e, già dirigente innovativo dell’ITIS Majorana di Brindisi. In svariate interviste e in occasione della recente discussione con chi scrive sui fondi del PNSD, Giuliano ha riaffermato a Il Fatto Quotidiano la volontà sua e di Bussetti di procedere con l’innovazione digitale. E’ stata annunciata l’istituzione di un comitato scientifico del PNSD e la creazione delle “equipe territoriali formative“: centoventi docenti, distaccati dal servizio, per costituire una task force con il compito di “formare i colleghi alle nuove metodologie, anche con l’utilizzo delle tecnologie”: in effetti la Legge di bilancio 2019 prevede questo intervento.
Le quattro domande al Governo su Scuola digitale
Non dubito della buona fede di Giuliano e della sua volontà innovatrice ma formulo alcune domande che spero ottengano risposta:
- Quando sarà realizzato il cablaggio in banda ultralarga di tutte le scuole italiane?
- Quando verranno completati i piani di investimento relativi al Piano Nazionale Scuola digitale e al Piano Nazionale di formazione del docenti in materia di tecnologie didattiche di cui abbiamo detto più sopra?
- Basteranno centoventi “docenti/formatori digitali” per completare una riforma che circa 8000 “animatori digitali” e i loro “team dell’innovazione” – figure istituite dal Piano Nazionale Scuola digitale – non sono riusciti ad far decollare ?
- Riusciranno Giuliano e Bussetti rispettivamente del Movimento 5 Stelle e della Lega a trovare un’unità di intenti che lo stesso Governo dei due vice-premier sempre meno dimostra?
Speriamo che queste domande non restino “perdute nel vento” delle promesse elettorali e della ricerca di coperture ai provvedimenti “bandiera” già adottati dai due partiti e concorrenti di Governo.