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Scuola e psichiatria, sovrapponibili nel bisogno di digitale: proposte per vincere le resistenze

Oltre al mondo scolastico, anche quello della salute mentale ha subito una brusca accelerata verso l’apertura agli strumenti della tecnologia digitale durante la pandemia. Ma ci sono ancora molte resistenze interne al cambiamento da parte di entrambi i settori. Alcune proposte per cambiare le cose in modo sistemico

Pubblicato il 23 Mar 2023

Simona Mazza

Tecnico della riabilitazione psichiatrica - Centro di Salute Mentale Nardò – DSM ASL Lecce

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Da moltissimi anni ormai la ricerca sull’apprendimento e sulle competenze per l’era digitale ha cercato di definire politiche a livello europeo basate su evidenze scientifiche in materia di gestione del potenziale delle tecnologie digitali. Questo al fine di portare innovazione nell’istruzione e nei metodi di formazione, a far fronte all’aumento delle nuove capacità e competenze digitali necessarie per l’occupazione, la crescita personale e l’inclusione sociale.

Come devono cambiare Scuola e Psichiatria nell’era digitale: il fil rouge è la creatività

Il potenziale della tecnologia per migliorare didattica e apprendimento

Non vi è più dubbio che il potenziale della tecnologia che ci circonda può essere un fattore ambientale chiave per l’efficacia degli apprendimenti e per il conseguimento delle competenze di vita e di cittadinanza. Le tecnologie consentono di poter accrescere la cooperazione e le relazioni fra studenti, fra docenti e fra studenti e docenti, di personalizzare e rendere flessibili le modalità di apprendimento, di gestire una gamma ampia di fonti, dati e informazioni on line, di acquisire competenze orientate al futuro, fondamentali per la cittadinanza e il lavoro, di attivare strumenti di verifica e di feedback degli apprendimenti avanzati, di rafforzare i rapporti con le famiglie e i partenariati a livello locale e globale.

La consapevolezza dell’importanza delle potenzialità degli strumenti digitali si è talmente accresciuta nella scuola e nella società da portare la Commissione europea a pubblicare nel 2013 un quadro di riferimento europeo per le competenze digitali dei cittadini – il DigComp, aggiornato nelle attuali versioni dei DigComp 2.1 e DigComp 2.2. L’ultima versione del Quadro, reso necessario per tenere conto sia delle tecnologie emergenti, come l’Intelligenza Artificiale, sia di fenomeni quali lo smart working che richiede nuove competenze digitali, contiene le linee guida per l’Educazione Digitale adottate da vari Paesi, tra cui l’Italia, come proprio quadro di riferimento per i curricula digitali.

DigComp 2.2: cosa cambia nel nuovo quadro delle competenze digitali per i cittadini

La trasformazione digitale dell’istruzione e dell’apprendimento e la modifica dei requisiti sulle capacità e le competenze hanno posto l’accento inoltre sulla necessità di un quadro di riferimento delle competenze digitali per gli educatori/Docenti (DigCompEdu) e per enti deputati all’istruzione (DigCompOrg).

I più recenti dati relativi allo sviluppo delle competenze e delle tecnologie digitali nel sistema educativo in Italia, pur denotando il permanere di molti profili di criticità, confermano il significativo impegno profuso nell’attuazione di misure dirette a promuovere lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti italiani.

Nel Piano d’azione per l’istruzione digitale 2021/27 della Commissione sono state individuate due priorità strategiche che riguardano la scuola: la promozione dello sviluppo di un ecosistema europeo dell’istruzione digitale ed il potenziamento delle competenze digitali (intese come conoscenze, abilità e attitudini) di tutti gli studenti per la trasformazione digitale.

Una sfida finora raccolta da tutti i Paesi dell’Unione europea, Italia inclusa, che hanno avviato una raccolta di dati, azioni programmatiche e lavorato per la valorizzazione del digitale e per la costruzione di una visione innovativa della scuola aprendosi all’accoglienza di nuovi percorsi e paradigmi educativi.

L’Osservatorio per la scuola digitale fornisce, inoltre, un valido aiuto nel fotografare lo stato dell’arte della digitalizzazione scolastica italiana.

Il Piano nazionale per la scuola digitale (PNSD)

Sebbene il processo di digitalizzazione della didattica e dell’organizzazione scolastica abbia avuto un significativo impulso circa 15 anni fa con l’attuazione delle prime misure di trasformazione digitale che introdussero le lavagne interattive multimediali, le dotazioni informatiche per la sperimentazione della didattica in classi pilota, la creazione di reti WiFi nelle scuole, l’avvio di percorsi di formazione per docenti, è con l’approvazione del Piano nazionale per la scuola digitale (PNSD) e la sinergia con i fondi strutturali europei del Programma operativo nazionale 2014-2020, che la transizione digitale della scuola italiana ha conosciuto una forte accelerazione e diffusione in tutte le scuole. Con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza e dei fondi strutturali europei della programmazione 2021-2027 (compresi quelli dell’iniziativa REACT-EU in corso di attuazione) questo processo conosce oggi un completamento e, al tempo stesso, un nuovo, forte impulso, sia per la rilevanza degli investimenti sia per l’approccio sistemico delle azioni. Nelle scuole oggi si ripensano spazi, strumenti digitali e metodologie didattiche per la trasformazione degli ambienti di apprendimento. Tali prassi, a volte però, si scontrano con “antiche resistenze” che da sempre il mondo della scuola italiana oppone di fronte a innovazioni così profonde per superare le quali bisognerebbe ripensare il sistema di reclutamento e formazione della classe docente.

L’apertura alle tecnologie nel mondo della salute mentale

Parallelamente al mondo scolastico, anche quello della salute mentale ha subito una brusca accelerata verso l’apertura agli strumenti della tecnologia digitale in tempi più recenti e, precisamente, durante la Pandemia da Covid -19. Paola Calò, Direttore della UOC Centro Salute Mentale Campi S.na e Referente per il Settore Studio-Ricerca- Formazione del Dipartimento di Salute Mentale della Asl Lecce osserva come la digitalizzazione in campo medico sia partita dall’erogazione delle terapie in remoto, anche in salute mentale, per poi essere traslata alla didattica e alla formazione in generale, e successivamente allo smart – working.

In una prima fase, i bisogni di salute della popolazione hanno traferito nella modalità in remoto l’organizzazione delle attività erogate dai servizi sanitari, per adattarsi alle regole del distanziamento sociale e della permanenza presso il proprio domicilio quali misure necessarie per frenare il contagio da Covid-19. Attualmente, l’aumento crescente di richieste di trattamento in salute mentale, in particolare da parte delle fasce di popolazione più fragili (rispetto al periodo pre-pandemico, gli adolescenti presi in carico per problemi di salute mentale sarebbero aumentati, secondo alcune stime, di oltre il 30%, per attacchi di panico, ansia e depressione, disturbi alimentari), richiede trattamenti in linea con gli indirizzi scientifici più avanzati, ma anche flessibili e adatti al linguaggio della popolazione target.

I servizi di telepsichiatria e telementalhealth

In salute mentale, dopo una prima fase di utilizzo delle piattaforme già disponibili, i servizi telematici sono stati fortemente implementati, e differenziati nell’offerta, attraverso la diffusione di siti web e app regolamentati da specifiche linee guida che ne consentono attualmente l’erogazione in maniera sicura, con attenzione agli aspetti clinici e pratici, ma anche a quelli legali e alla privacy.

Nonostante alcune iniziali perplessità e dubbi da parte dei clinici e dei pazienti, che sembravano privilegiare il contatto vis a. vis, studi recenti indicano che i servizi di telepsichiatria e telementalhealth sono comparabili, dal punto di vista dell’accettabilità e dell’efficacia, con gli interventi tradizionali erogati di persona: d’altronde le prestazioni psicologiche, riabilitative e cliniche in psichiatria, nella maggior parte dei casi, non richiedono una strumentazione clinica sofisticata, per cui ben si adattano alla modalità on-line.

Telepsichiatria e teleriabilitazione per interventi adatti alle esigenze dei ragazzi

Per i team che lavorano con i giovani all’esordio di un disturbo, lo sforzo umano deve essere teso a osservare, ascoltare, recuperare delle chiavi di lettura su come il disturbo influisca su quell’assetto individuale, attraverso una alleanza terapeutica che consenta di sintonizzarsi con la persona. Con personale motivato, flessibile, coinvolgente, che mantenga un atteggiamento ottimista e uno sguardo alle possibilità future.

La telepsichiatria, e in particolare la teleriabilitazione, consente di rimettere al centro della agenda sociale il tema dei giovani, e contestualizzarlo nel nostro tempo, attraverso interventi adattati e personalizzati all’utenza, appetibili e accattivanti, che possono anche costituire, se applicati inizialmente e come modalità di “aggancio”, un volano per interventi via via più complessi e attuabili anche in presenza.

Garantendo ai giovani nativi digitali (e dunque naturalmente predisposti) informazione, supporto, crescita dell’autonomia, privacy, trattamenti dedicati, attuabili in modalità asincrona, nei luoghi loro più congeniali, permettendo dunque, infine, una migliore aderenza alle cure; il ruolo dell’operatore sanitario diviene quindi più ampio e, nell’ottica della complessità, più incisivo.

Superare le resistenze interne al cambiamento, nella scuola come nella psichiatria

E’ interessante osservare come la conclusione a cui si giunge confrontando due realtà “diverse” (?) come la Scuola e la Psichiatria sia poi la medesima: “molto rimane ancora da fare e le principali resistenze vengono proprio dagli operatori del settore piuttosto che dai giovani fruitori di questi servizi; operatori la cui esperienza di utilizzo del mezzo informatico influenza in gran parte l’efficacia delle prestazioni erogate e da qui la necessità profonda di ripensare il sistema di reclutamento e formazione del personale coinvolto”.

L’evoluzione verso un nuovo paradigma di cura

L’interesse per le terapie digitali, prosegue Calò, non deve limitarsi all’aspetto dell’innovazione tecnologica, ma a quello della concezione delle stesse come strumento per l’evoluzione verso un nuovo paradigma di cura. La sfida, che vale per la scuola ma anche per la salute mentale, è quella di non trasferire semplicemente nella modalità in remoto le prestazioni in presenza (con le stesse caratteristiche, tempi, frequenza, setting), ma immaginare modi innovativi di erogare terapie che agiscono sui comportamenti, sui pensieri e sugli stili di vita, ovvero alcuni dei più importanti determinanti della salute.

In Italia, nonostante l’aumento di richieste, fondi, strutture e personale hanno subito una flessione. I servizi di salute mentale da almeno dieci anni subiscono un progressivo depauperamento relativamente alle risorse destinate, di pari passo al definanziamento dell’intera sanità pubblica. Il parametro del 5% da destinare alla salute mentale, rispetto all’intera spesa per il SSN, fissato venti anni fa, nel 2020 si è assestato al 2,75%. In Unione Europea è stato fissato l’obiettivo del 10%. Con la scarsità di investimenti va di pari passo la fuga del personale, in quanto il SSN non è più attrattivo per i giovani che si laureano in professioni sanitarie, dato lo shortage e le opportunità che offre il privato. Nel momento in cui l’Italia, anche alla luce del PNRR, intende gettare le basi per la salute del futuro è importante ampliare la gamma di soluzioni terapeutiche messe a disposizione, sia per gli operatori sanitari che per gli utenti, con l’adozione delle terapie digitali.

Parallelamente all’adeguamento alle norme della privacy e agli standard di sicurezza informatica della telepsichiatria e telementalhealth, anche per la sensibilità dei temi trattati, le terapie on-line necessitano di essere validate dal punto di vista degli outcome clinici e di costo-efficacia.

Risorse e fondi scarsi, per la scuola come per la salute mentale

Trattamento dei dati personali, voti, scrutini, esami di Stato, questionari per attività di ricerca, inserimento professionale, telecamere; rette e servizi mensa; recite e gite scolastiche; cellulari e tablet; temi in classe, lezioni registrate, fenomeni di cyberbullismo o il sexting – incalza Maria Grazia Attanasi, Dirigente Scolastica del Liceo scientifico e linguistico “G.C. Vanini” di Casarano (LE) – tutto parla di privacy anche nella scuola, problema che porta ciascun componente della comunità, qualsiasi sia il suo ruolo all’interno di essa, al rispetto di norme comunitarie e nazionali stringenti.

Tristemente analoga a quella sanitaria è anche la scarsità delle risorse economiche investite nel campo dell’istruzione – investimento del 3,8% del Prodotto interno lordo contro la media del 4,5% dei Paesi avanzati. Ora è in vista il mitico Pnrr con 20 miliardi a disposizione, ma non possiamo fare a meno di considerare la nostra documentata difficoltà di spesa dei fondi comunitari che vanno inevitabilmente perduti.

Gli insegnanti sono anziani, età media 53 anni, la più elevata d’Europa: dato che da solo dimostra il baratro di incomunicabilità anche antropologico tra professori e alunni.

C’è poi il nodo delle differenze tra un Nord che si allinea alle migliori realtà europee e un Sud con livelli paragonabili a quelli turchi o greci. Una ingiustizia intollerabile perché nessuno sceglie dove nascere. In quanto alle disparità di genere, stereotipi familiari e sociali allontanano ancora le studentesse dalle competenze scientifiche proprio mentre il mondo del lavoro produce posti proprio nell’universo Steam (Science, Technology, Engineering, Art, Mathematics).

Alcune proposte da realizzare a livello sistemico

Inevitabile lo scoramento di fronte a questa realtà ma, se volessimo mettere sul piatto alcuni suggerimenti operativi, dovremmo partire con alcune proposte da realizzare a livello sistemico.

Rivedere il sistema di accesso all’insegnamento

La prima dovrebbe affrontare il problema di rivedere il sistema di accesso all’insegnamento. Dall’analisi di una recente ricerca (Osservazioni in classe), frutto di attività di osservazione Invalsi condotta in collaborazione con la Fondazione Agnelli, emerge che non sono pochi gli insegnanti italiani che nel lavoro quotidiano in aula dimostrano ottime capacità didattiche. Una percentuale fra il 23 e il 30% degli insegnanti del primo ciclo (primarie e secondarie di primo grado), infatti, riesce a offrire in modo assai efficace alle proprie classi spiegazioni strutturate e proposte di attività, favorendo gli apprendimenti, l’elaborazione attiva e consapevole dei saperi, l’autonomia. Tuttavia, ciò ancora non basta, perché a dispetto di una retorica spesso di segno contrario, gli insegnanti non sono tutti uguali. Il 17% svolge le proprie attività in classe in modo del tutto inadeguato; il rimanente 60% si colloca in una modalità intermedia. Molto negativi inoltre sono i dati relativi alla capacità degli insegnanti di personalizzare le pratiche di insegnamento prestando attenzione alle differenze tra studenti e sostenendo i loro bisogni emotivi: l’80% dei docenti osservati non compie alcuno sforzo per adattare le attività in classe alle diverse esigenze degli studenti.

Solo in Italia si pensa che per insegnare basta avere la laurea e che sia superflua la richiesta di esperienza e studio su come far apprendere una materia. In tutti gli altri paesi, per accedere a alla professione di insegnante, è necessario fare pratica e studiare le metodologie. In Italia esiste la convinzione che se una persona può insegnare allora è anche in grado di farlo. Non è affatto così.

Quindi, se si vuole fare davvero un salto di qualità negli apprendimenti degli studenti del nostro Paese – in ogni grado scolastico – è necessario, come scelta prioritaria, compiere uno sforzo energico per migliorare le capacità didattiche del maggior numero possibile di docenti, portando a livelli elevati sia quanti oggi non vanno oltre una decorosa sufficienza sia i futuri neoassunti. Rinnovare i sistemi di reclutamento, garantire la possibilità di carriera diversificata dei docenti con differenti opportunità retributive. Attrarre i migliori laureati a fare gli insegnanti, professione oggi non ambita e perseguita da chi non ha i migliori voti di laurea con alte retribuzioni, alto prestigio sociale garantendo sviluppi salariali e di carriera. Tutti questi sono ingredienti per attrarre i migliori laureati come succede nei paesi scandinavi. Fare l’insegnante dovrebbe essere come fare il medico, professione che richiede grande preparazione, adeguata retribuzione e risposte ai propri risultati.

Investire in innovazione didattica

Esiste, credo, la quasi unanime opinione fra gli esperti che la didattica tradizionale trasmissiva sia la peggiore forma di insegnamento, nel senso che non produce un efficace apprendimento concettuale che consenta allo studente di imparare ad applicare le nozioni apprese in ambiti diversi (acquisendo capacità di astrazione), o anche più semplicemente di ritenere mnemonicamente le informazioni acquisite (la lezione di storia appresa dal professore in cattedra, ripetuta a casa, e rigurgitata a memoria la settimana successiva si dimentica dopo tre mesi). Più efficaci risultano invece tecniche dove lo studente partecipa attivamente all’apprendimento, con modalità che lo coinvolgono direttamente attraverso dimostrazioni, discussioni, lavori di gruppo in una scala di qualità che vede al suo apice l’insegnamento ai propri pari come lo strumento più efficace.

Riformare i cicli scolastici

Riformare i cicli scolastici, è l’altra necessità impellente della scuola italiana modificando l’attuale sistema basato sui tre cicli (primaria, secondaria di primo e secondo grado) Sarebbe opportuno creare un percorso unico dai 6 ai 13 anni, come in molti paesi europei. Limitare inoltre la frammentazione in troppe discipline definendo un insieme di discipline comuni a tutti i cicli per l’intero percorso scolastico e introducendo gradualmente discipline opzionali a partire dalla scuola media. La scuola dev’essere inoltre estesa al pomeriggio per sviluppare competenze anche soft. Ogni ora passata a scuola si traduce in crescita degli apprendimenti, ce lo dicono le ricerche.

L’importanza (sottovalutata) dei sistemi di orientamento

Altro tema importante da qualificare è quello dei sistemi di orientamento. La scuola italiana, in generale non fornisce abbastanza elementi per una decisione consapevole soprattutto nel passaggio dalla scuola media al superiore. E per orientamento non si deve intendere solo l’insieme di informazioni relative alle possibili scelte ma una verifica delle attitudini, della motivazione, uno sviluppo della didattica dell’orientamento che passi attraverso le discipline.

Prevedere infine una costante valutazione dell’operato delle scuole, che andrebbe pubblicizzato in modo trasparente per migliorare la consapevolezza dell’opinione pubblica e le scelte dei genitori.

Il disallineamento tra le competenze fornite dalla scuola e richieste dal mercato del lavoro

Ancora, la Dott.ssa Calò pone l’accento su come il disallineamento tra le competenze fornite dalla scuola e richieste dal mercato del lavoro si conferma uno dei nodi più seri per la ripartenza economica del Paese e abbia le sue ripercussioni anche in Salute Mentale e, più in dettaglio, nel campo della riabilitazione psicosociale, dove un’informazione adeguata sui possibili esiti lavorativi e retributivi dei diversi percorsi/tirocini professionalizzanti deve essere esigibile, e rivolta in particolare ai giovani per i quali l’esordio psicopatologico ha rappresentato una battuta d’arresto nella traiettoria di vita o una caduta nel funzionamento lavorativo e sociale. Il percorso formativo e riabilitativo e formativo deve essere pensato non solo per accompagnare nell’attività quotidiana, ma anche fornire alcune competenze tecniche oggi indispensabili per l’ingresso nel mercato del lavoro. Per questo il sostegno al lavoro deve essere preceduto da uno individualizzato, rivolto a ottenere obiettivi formativi. Coloro che ne usufruiscono devono essere incoraggiati non solo a intraprendere o mantenere l’iscrizione a un programma di istruzione o formazione professionale di loro scelta, ma anche ad acquisire delle competenze informatiche basilari, indispensabili al giorno d’oggi per il mercato del lavoro. Anche in questo caso l’erogazione del supporto allo studio attraverso i canali digitali facilita l’accessibilità degli interventi e garantisce la possibilità di disseminazione degli stessi, consentendo una migliore organizzazione e il rafforzamento degli interventi in alcune aree periferiche.

La formazione deve essere compatibile con i valori, le abilità e i bisogni di apprendimento di coloro che vi accedono. In alcuni Paesi, i servizi per la salute mentale dei giovani hanno un profilo non stigmatizzante, e sono collocati in luoghi altri rispetto a quelli riservati alla salute mentale e alla salute in generale, quali palestre, centri di aggregazione, luoghi di incontro.

Se ci fossero ancora dubbi su quanto la Scuola e la Salute Mentale percorrano in Italia, in questo particolare momento storico probabilmente più che in altri, tragitti sovrapponibili è la Prof.ssa Attanasi ad implementare, confermandolo, quest’ultimo concetto specificando che secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), l’Italia è uno dei Paesi europei con la quota più elevata di lavoratori con competenze al di sotto o al di sopra di quelle richieste per la posizione occupata.

È noto oramai che non c’è un solo un fattore a determinare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, ma più situazioni che aumentano il disequilibrio.

La definizione stessa di skill mismatch pone l’accento appunto sulla questione delle competenze (skill), annoso problema della scuola italiana che predilige invece un tradizionale trasferimento frontale di conoscenze, spesso fermandosi a questo. La competenza invece, rappresentando la capacità di unire conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e metodologiche e utilizzarle nello studio, nel lavoro e nello sviluppo personale, presuppone che la scuola metta in atto complesse strategie, mezzi, strumenti, risorse umane e materiali, visioni e prospettive che spesso non ha.

L’influenza dei luoghi, degli spazi e degli ambienti nel processo di apprendimento

La storia della pedagogia e della ricerca educativa ha offerto rilevanti contributi sull’influenza dei luoghi, degli spazi e degli ambienti nel processo di apprendimento. La ricerca internazionale più recente ha posto particolare attenzione su quali siano i processi di preparazione necessari per la transizione verso i nuovi spazi, i tipi di pratiche didattiche innovative che possono essere abilitate da questi spazi (apprendimento attivo, collaborativo, interazioni sociali, etc.), le culture organizzative, la leadership, il ruolo dei docenti alla base del loro più efficace utilizzo, il design degli spazi e degli arredi, le tecnologie migliori per abilitare gli ambienti all’apprendimento, le relazioni tra spazio interno ed esterno e tra ambienti digitali e fisici.

La letteratura è corposa.

L’UNESCO ha dedicato una specifica attenzione al concetto di “ambiente di apprendimento intelligente; Il Consiglio di Europa ha sottolineato la necessità di costruire e migliorare le strutture educative che siano sensibili ai bambini, alle disabilità e al genere e che forniscano ambienti di apprendimento sicuri, non violenti, inclusivi ed efficaci per tutti; l’European Schoolnet ha ispirato modelli di ambienti fisici all’interno dell’iniziativa “Future Classroom Lab”.

Molti sono gli studi che hanno sottolineato il ruolo centrale della relazione fra spazio, pedagogia e tecnologia come supporto alle attività di apprendimento per promuovere una maggiore efficienza ed efficacia nel raggiungimento dei risultati di apprendimento desiderati, anche favorendo una più forte interattività in classe.

Il ruolo dei dirigenti scolastici

Fondamentale è il ruolo dei dirigenti scolastici e di gruppi di progettazione che in questi giorni sono impegnati a ridisegnare i layout delle scuole rinnovate dai fondi PNRR e nell’introdurre il cambiamento nell’ambiente esistente per consentire ai docenti di organizzare il loro insegnamento in modo diverso, prototipare e sperimentare nuove disposizioni spaziali della classe e nuove metodologie didattiche, guidando il processo di trasformazione e attivando risorse interne di supporto e di accompagnamento.

Per realizzare ambienti fisici di apprendimento innovativi, oltre allo spazio fisico, è necessario disporre di arredi e di tecnologie a un livello più avanzato rispetto a quelli base di cui oggi già dispongono le scuole.

A un livello intermedio gli ambienti delle scuole dovrebbero essere caratterizzati da arredi mobili, modulari e scrivibili, che permettano un maggior grado di flessibilità per consentire una rapida riconfigurazione dell’aula nella quale dovrebbero essere presenti monitor interattivi intelligenti, dispositivi digitali per gli studenti con connessione wifi, piattaforme cloud. Ad un livello più avanzato gli arredi dovrebbero diventare trasformabili e riposti fino a liberare l’ambiente, gli spazi dovrebbero essere articolati per zone di apprendimento, con tecnologie che favoriscono l’esperienza immersiva, più superfici di proiezione, un forte collegamento con gli ambienti virtuali, la possibile fruizione a distanza di tutte le attività didattiche, una connettività completa alla rete.

Su tutto questo si sta lavorando in ogni scuola italiana, dalle scuole dell’infanzia fino alle scuole di secondaria superiore. La direzione data è quella sviluppata da studi internazionali e nazionali tra i quali quelli messi a disposizione da INDIRE, gruppo di ricerca che si è occupato di architetture scolastiche, nel volume “Fare didattica in spazi flessibili. Progettare, organizzare e utilizzare gli ambienti di apprendimento a scuola” (Giunti, 2019). Indire fornisce interessanti spunti di riflessione sul rapporto fra pedagogia e architettura e propone nel contempo soluzioni ed esempi concreti per riorganizzare gli ambienti scolastici anche senza grossi interventi strutturali e contando sulle risorse disponibili. L’intento è quello di supportare processi di progettazione o riorganizzazione degli ambienti di apprendimento e sostenere un’idea di benessere scolastico che richiama i moderni standard di comfort e abitabilità.

Conclusioni

Le domande su cui c’interroghiamo oggi sono molto spesso affrontate in un’ottica che vede contrapposte due diverse realtà – Scuola e Salute Mentale o differenti generazioni: si continua a parlare di gap, di pre e post digitalizzazione quando invece dovremmo cominciare a ragionare nell’ottica di divario inteso come entità del ritardo accumulato da una generazione che stenta a trovare la via e non come metro di paragone con lo standard di vita di tempi differenti.

Inoltre, se ci soffermassimo su quest’ultima espressione (“tempi differenti”) potremmo chiederci cosa è, poi, così diverso?

Si evince come la moderna innovazione e i processi che si attuano per realizzarla, affondino le radici in un ben più remoto “pensiero creativo” quasi come a “chiudere un cerchio” – a sottolineare che cambiano le modalità, gli strumenti, i tempi e gli spazi ma determinati archetipi mentali sono trasversali e universali.

Sarebbe utile, oltre che rassicurante per i più restii a promuovere i cambiamenti in atto, imparare dall’antica tradizione bonsai che ben si presta come moderna metafora dei giovani d’oggi e dell’atteggiamento che potremmo assumere nei loro confronti.

Questa tradizione non trova il proprio significato solo nell’estetica, ma soprattutto nell’esercizio spirituale che comporta.

Secondo i principi Zen, la ricerca dell’armonia tra uomo e natura si traduce in una combinazione tra il mondo interiore ed esteriore, al fine di controllare e indirizzare coscientemente le forze della natura. In questa visione i bonsai riflettono l’unione della natura con l’arte anche se la creatività viene inquadrata in spazi ben definiti e deve essere incanalata nei diversi stili esistenti. Un aspetto molto interessante da ricordare è che il bonsai è un’opera d’arte mai finita e in continua evoluzione: la pianta cresce e si modifica nel tempo e necessita, quindi, di un’attenzione costante.

La stessa costante attenzione che gli operatori di settori cruciali per il futuro dei giovani, come il mondo della Scuola e della Salute Mentale, così come puntualmente illustrato dalle professioniste coinvolte in quest’articolo, dovrebbero porre anche su loro stessi e i cambiamenti in atto perché – a dirla con le parole di Tiziano Terzani – “Solo una grande rivoluzione interiore può cambiare le cose, visto che tutte le rivoluzioni fatte fuori non han cambiato granché”.

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