Il libro “Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza” (La Nave di Teseo, 2021) sembra sia più conosciuto per le polemiche che accompagnano le posizioni di Paola Mastrocola e molto meno per le argomentazioni statistiche di Luca Ricolfi. Vorrei suggerire la rilettura del capitolo 4 liberi da ogni pregiudizio ideologico. Il titolo è “Test dell’ipotesi: sì, l’abbassamento danneggia i ceti popolari”, scritto dal punto di vista dell’analista di dati. È particolarmente attuale anche per la discussione sulla meritocrazia, ora che con il governo Meloni abbiamo perfino un Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Una scuola di cattiva qualità diminuisce le chance di ascesa sociale dei ceti popolari
Con i dati Luca Ricolfi dimostra l’ipotesi che “una scuola di cattiva qualità diminuisce le chance di ascesa sociale dei ceti popolari“. Prima ridefinisce i termini e sostituisce l’espressione più giornalistica “ascensore sociale” con mobilità sociale o fluidità. Poi spiega perché una società aperta o fluida non sia necessariamente a pari opportunità o egualitaria e viceversa. “Sul destino sociale di un ragazzo non influiscono solo l’origine sociale, il contesto economico, la lunghezza degli studi”, spiega Ricolfi, “ma anche altri due elementi cruciali: la qualità dell’istruzione ricevuta e il grado di indulgenza della valutazione”. Come non essere d’accordo?
Le organizzazioni che operano nel sociale, ad esempio, sono da sempre molto attente alla cosiddetta multidimensionalità della povertà educativa. E per quanto riguarda la bassa qualità che riduce le chance di successo e amplifica il vantaggio dei ceti alti nei confronti dei ceti bassi, ispirandomi agli insegnamenti di Tullio De Mauro, preferisco rovesciare il problema, perché sono convinta che inclusione e qualità siano strettamente connesse e direttamente proporzionali.
Le tecnologie come acceleratore sociale
Non possiamo reputare di qualità una scuola che non sia inclusiva e non consideriamo inclusiva una scuola che non sia di qualità per ciascuno e per tutti. In altre parole, ritroviamo il senso dell’Obiettivo 4 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti.
Per raggiungere questo obiettivo in modo più efficace e veloce le nuove tecnologie ci possono dare un aiuto strategico, agendo proprio come un acceleratore sociale.
Ma va chiarito subito un equivoco: quando parliamo di “scuola digitale” o “scuola 4.0” o, in genere, di nuovi ambienti di apprendimento, il riferimento non è a una scuola virtuale; ci riferiamo invece a uno spazio molto concreto, fisico e reale, organizzato in modo più efficace e attrezzato anche con strumenti tecnologici funzionali a una didattica più coinvolgente e personalizzabile in base ai bisogni individuali, sia di studenti fragili che di studenti “meritevoli”.
Il secondo punto da chiarire è che le nuove tecnologie non ci aiutano a sviluppare solo le competenze digitali, ma tutto l’arco delle abilità, cognitive e trasversali, e delle conoscenze, compresi aspetti caratteriali e valori, che ci consentono di vivere pienamente nel nostro tempo e di progettare un futuro migliore e più equo.
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Il modello della Palestra dell’Innovazione
Come Fondazione Mondo Digitale, insieme a diversi partner, abbiamo sperimentato il modello della Palestra dell’Innovazione nelle periferie di alcune grandi città, come Milano, Roma, Bari o Palermo, con progetti strutturati nel tempo e la valutazione di impatto curata da un soggetto esterno. La sola esperienza laboratoriale, animata in uno spazio educativo diverso dalla classe, mette in gioco nuove dinamiche che sono in grado di appassionare anche gli alunni più refrattari a ogni forma di attività formativa, formale e informale. Il racconto di una formatrice aveva suggerito nel blog di progetto il titolo “Con il coding riparte l’ascensore sociale“, che appare come una frase ad effetto, mentre in realtà è un’esperienza molto concreta che abbiamo registrato in più contesti territoriali. A partire dall’esperienza realizzata con OpenSPACE nelle periferie di Bari, Milano, Palermo e Reggio Calabria, il partenariato guidato da ActionAid ha lavorato alla redazione di un documento programmatico per indirizzare nuovi interventi efficaci contro la povertà educativa. Oltre a contenere spunti interessanti per la gestione dell’emergenza sanitaria in ambito scolastico, è uno strumento interessante per riflettere sulle diverse forme di disuguaglianza e di divari, anche territoriali o di genere, che affliggono la scuola italiana.
Le competenze richieste dal cambiamento tecnologico
Completo la mia riflessione sulla scuola digitale come ascensore sociale con il suggerimento di un’altra lettura, il volume “La scuola bloccata” di Andrea Gavosto (Laterza, 2022), che contiene alcuni ragionamenti interessanti sulle competenze richieste dal cambiamento tecnologico. “A fianco delle competenze abituali, la scuola dovrebbe fare uno sforzo perché gli studenti sviluppino creatività, interazioni sociali e capacità di gestire l’incertezza per affrontare il loro futuro: purtroppo, ambiti in cui la nostra scuola non eccelle”. Ma come insegnare? Cosa succede nelle aule scolastiche italiane? Quali sono le strategie didattiche vincenti? Anche in questo volume suggerisco di leggere bene il capitolo 4 dedicato alle “Politiche scolastiche”, dove si argomenta sulla didattica digitale.
“Il digitale, ormai pervasivo, non può rimanere al di fuori della porta della scuola: ma perché vi entri, è necessario che cambi il modo di insegnare”, conclude Gavosto. Qui si gioca una sfida cruciale della scuola italiana, perché, secondo una recente indagine dell’Autorità delle comunicazioni e del Miur, quasi un docente su due fa un uso piuttosto rudimentale delle tecnologie digitali. È evidente che se non miglioriamo le competenze dei docenti, non possiamo aspettarci un miglioramento negli apprendimenti.
“La questione della formazione, soprattutto didattica, è centrale per migliorare la qualità della nostra istruzione: una preparazione di alto livello, costantemente aggiornata, non solo conduce ad apprendimenti più elevati, ma, se accompagnata da opportuni incentivi, dà prestigio alla professione del docente, rendendola attraente nei confronti dei migliori laureati”, sostiene Gavosto.
Conclusioni
Il nodo cruciale è nella formazione in servizio dei docenti, da rendere diffusa, capillare, direi quasi “invadente”. E anche qui la tecnologia ci può aiutare a raggiungere tutti, in ogni luogo e in ogni momento, per rimettere in moto il meccanismo dell’ascensore sociale, a partire da docenti e comunità educante. La scuola è l’unico motore a combustione sostenibile, ma non può limitarsi al riavvio e a lavorare a regime. Ora è tempo di straordinari!
Chissà se un giorno i nostri giovani laureati torneranno a sognare un futuro nella scuola, considerando insegnare il mestiere più bello del mondo, così come ne era convinto il giovane Tullio De Mauro.