L’istruzione e livelli occupazionali migliori proteggono le famiglie dalla povertà: la scuola offre, insomma, un “fattore protettivo” decisivo e non solo in termini di futura occupazione.
Questo assunto è confermato dai dati di diversi rapporti. Ma la scuola va messa in sicurezza attraverso politiche economiche adeguate.
Il futuro della scuola nel PNRR: progetti e condizioni per l’innovazione
L’Atlante dell’infanzia a rischio di Save The Children
A novembre dello scorso anno, Save the Children ha pubblicato l’Atlante dell’infanzia a rischio 2021 dal titolo “Il futuro è già qui. Il mondo dei bambini di domani”.
L’Atlante fotografa la condizione dei minori in Italia e propone come chiave di lettura quattro sfide, relative alla natalità, alle disuguaglianze, all’ambiente e all’approccio con la scienza.
Il futuro raccontato in questa mappatura risulta compromesso dalle crisi che si sono sovrapposte (economica, climatica, educativa) e da scarsi investimenti della politica sull’infanzia.
I dati che escono fuori dai vari report raccontano un’Italia con un milione e trecentomila minori in povertà assoluta e la percentuale di neeT più alta d’Europa, cioè quei giovani che non studiano, non lavorano e non sono neanche dentro percorsi formativi. Uno dei rischi per loro, soprattutto per i più fragili in contesti di disagio economico e sociale, è di diventare preda delle mafie o di altre associazioni criminali.
La riflessione porta a pensare che l’educazione diventi centrale per la ripresa del Paese e che investire in una scuola di qualità significhi offrire l’opportunità e la possibilità di una ascesa sociale.
Il rapporto Istat “La povertà in epoca di pandemia”
Nel report dell’Istat pubblicato a giugno 2021 si registra che la diffusione della povertà diminuisce al crescere del titolo di studio. Se la persona di riferimento ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore l’incidenza è pari al 4,4% mentre si attesta al 10,9% se ha al massimo la licenza di scuola media (entrambe le modalità in crescita rispetto al 2019). Particolarmente colpite nel confronto con il 2019 le famiglie con persona di riferimento occupata (l’incidenza passa dal 5,5% al 7,3%), sia dipendente sia indipendente: per le famiglie con persona di riferimento inquadrata nei livelli più bassi l’incidenza passa dal 10,2% al 13,2%, fra i lavoratori in proprio dal 5,2% al 7,6%.
Il rapporto sulla mobilità sociale del World Economic Forum
Il World Economic Forum (WeF) nel 2020 ha dedicato un rapporto alla mobilità sociale: l’Italia è risultata 34° in classifica, agli ultimi posti tra i Paesi industrializzati, molto indietro rispetto alla maggior parte degli Stati europei. Nel rapporto si registra nel nostro Paese anche la scarsa inclusione sociale nella scuola, cioè quella che l’istituto Invalsi rileva come elevata variabilità tra scuole: in pratica, in molte aree del paese, la scuola invece di mescolare gli alunni provenienti da classi sociali diverse tende a segregare e ghettizzare gli studenti. Sappiamo, invece, che proprio la qualità di un sistema educativo inclusivo può far funzionare l’ascensore sociale. Se questo non avviene si può innescare una pericolosa circolarità tra disagi socioeconomici, povertà educative e deficit di opportunità future.
Il Global risks report 2021
Nel Global risks report 2021 invece si elencano i rischi sugli effetti a breve, medio e lungo termine del Covid-19: la pandemia rischia innanzi tutto di ampliare le disparità d’accesso alle tecnologie e alle competenze digitali, che potrebbero “mettere in discussione la coesione sociale”. A pagarne gli effetti saranno “in particolare i giovani di tutto il mondo, perché si trovano ad affrontare la seconda crisi globale della loro generazione, che li potrebbe escludere dalle opportunità del prossimo decennio”.
La scuola, le tecnologie, l’educazione: qui e in altri report e narrazioni sul post-pandemia sembrano essere questi i fattori che potrebbero proteggere i giovani dalla povertà, dalla crisi, dall’abbandono scolastico.
Nel PNRR la scuola per l’Italia di domani
Il 30 novembre 2021 il ministro Bianchi ha presentato le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per la scuola: oltre cinque miliardi (5,2 miliardi) per la realizzazione e messa in sicurezza di asili nido e scuole per l’infanzia, per la costruzione di scuole innovative, per l’incremento di mense e palestre, per la riqualificazione del patrimonio edilizio scolastico. I fondi complessivi previsti nel PNRR per il sistema di istruzione sono in tutto 17,59 miliardi. Il 40% dei fondi messi a bando sarà destinato al Mezzogiorno per le mense scolastiche per il tempo pieno, i servizi educativi per l’infanzia, le palestre, le scuole nuove ed efficienti.
Il PNRR Istruzione si chiamerà “Futura, la scuola per l’Italia di domani” e prevede interventi di edilizia scolastica e anche la sostituzione di vecchi edifici scolastici con nuovi fabbricati: “scuole innovative dal punto di vista architettonico e strutturale, altamente sostenibili e con il massimo dell’efficienza energetica, inclusive e in grado di garantire una didattica basata su metodologie innovative e su una piena fruibilità degli ambienti didattici” si legge sul sito del Miur.
Ma le tecnologie senza gli insegnanti servono a poco
Scuola, tecnologie, educazione: ma dove sono gli insegnanti? Avere scuole innovative non vuole dire solo efficienza energetica e architetture contemporanee, ma docenti che sappiano che cosa farci in quegli spazi. La pandemia ci ha insegnato che non basta avere le tecnologie per realizzare una didattica di qualità, ma c’è bisogno anche di progettazione e di empatia, di struttura e di motivazione, sia degli insegnanti che degli studenti. La relazione educativa ha bisogno di competenza, di spazio e di tempo, di attenzione e di cura. Aspettiamo di sapere quali politiche economiche si intendano investire per nutrire il motore della scuola e permettere una organizzazione, che non sia in perenne affanno e che si basi sempre e solo sulla buona volontà di chi dentro ci lavora, dai dirigenti scolastici agli insegnanti.