Nell’epoca degli hater e delle fake news, il “saper essere” in rete è una prerogativa necessaria per tutti e, ancor di più, deve essere imprescindibile per coloro i quali ricoprono una carica pubblica. Ecco perché il 6 settembre scorso un gruppo di accademici e studiosi nel campo dell’educazione ai media ha lanciato una petizione diretta al Presidente della Repubblica e ai membri del governo: la “Petizione per l’uso responsabile dei social da parte della classe politica”, nella quale si esortano i politici a prendere “impegno formale di uso responsabile dei media, in primis da parte dei membri del governo”.
Il ritorno dell’educazione civica a scuola
La petizione si collega perfettamente alla novità con la quale è iniziato il nuovo anno scolastico: l’introduzione della nuova disciplina Educazione Civica, sancita dalla legge 92 del 20/8/2019.
Sulla nuova legge vi sono ancora molte perplessità e questioni aperte, relative alla sua applicabilità immediata, alla prevista valutazione con voto ma anche alla constatazione che si tratti di (quasi) tutti argomenti già trattati abitualmente nelle aule scolastiche di ogni ordine e grado.
Ciò che interessa qui sottolineare tuttavia è che, tra i temi specifici indicati nella legge come “contenuti” dell’educazione civica (art. 3 comma 2), figura proprio anche l’educazione alla cittadinanza digitale.
Parallelamente, tra i temi trasversali previsti dal comma 3, troviamo il rispetto delle persone, degli animali e della natura.
L’articolo 5 si occupa di precisare ulteriormente le “abilità e conoscenze digitali essenziali, da sviluppare con gradualità tenendo conto dell’età degli alunni e degli studenti”, tra i quali sono indicati praticamente tutti i temi portanti dell’educazione ai media e dell’information literacy, ben sviluppati negli anni dalle diverse iniziative tese a definire quadri di riferimento per le competenze digitali, sfociate nel ben noto e ampiamente condiviso framework europeo DigComp.
Gli obiettivi della cittadinanza digitale
Troviamo quindi obiettivi di alto livello quali, a titolo di esempio: “analizzare, confrontare e valutare criticamente la credibilità e l’affidabilità delle fonti”, “interagire … e individuare i mezzi e le forme di comunicazione digitali appropriati”, “informarsi e partecipare al dibattito pubblico attraverso l’utilizzo di servizi digitali”, “conoscere le norme comportamentali da osservare nell’ambito dell’utilizzo delle tecnologie digitali e dell’interazione in ambienti digitali”, “essere consapevoli della diversità culturale e generazionale”, “essere in grado di evitare … rischi per la salute e minacce al proprio benessere fisico e psicologico” “essere consapevoli di come le tecnologie digitali possono influire sul benessere psicofisico e sull’inclusione sociale”.
Una lunga serie di finalità che si riconducono alla dimensione “etica” (secondo la tripartizione proposta da Calvani, Fini e Ranieri tra il 2009 e 2010), all’area di competenza “Sicurezza” del DigComp (che include una voce “Proteggere la salute e il benessere”), al progetto Benessere digitale” di Marco Gui e colleghi dell’Università di Milano Bicocca ma anche al Sillabo di educazione civica digitale proposto dal MIUR nel 2018 e disponibile sul sito Generazioni Connesse.
Come si insegna a saper stare in rete?
Sono questioni che attengono dunque il “saper essere” in rete. Emerge in questa novità il riconoscimento del legame strettissimo tra il digitale e la cittadinanza attiva e consapevole. La società onlife descritta da Luciano Floridi (2017), nella quale la vita online e quella ‘reale’ tendono a confondersi in un continuum sempre più complesso, richiede ai cittadini attuali (e soprattutto, a quelli futuri!) il possesso di un bagaglio di competenze del tutto peculiari, nella loro trasversalità.
Quello che salta agli occhi di tutti, però, è la contraddizione tra nobili intenti e pratiche quotidiane dei cittadini, ma anche e soprattutto della classe politica. La stessa che ha previsto queste condivisibili novità educative.
Come si “insegna” infatti, a “stare bene in rete”? Ad utilizzare, ad esempio, un linguaggio corretto e rispettoso degli altri? Ad evitare la diffusione di notizie false?
Sicuramente con la conoscenza delle dinamiche del web, di protocolli e buone pratiche, ma soprattutto con l’esempio.
È probabilmente questo il punto di innesco della petizione, nella quale si suggeriscono anche due linee d’azione pratiche:
- che il giuramento prestato da ministri e sottosegretari sulla Costituzione impegni anche a stabilire un “rapporto con la comunicazione digitale che sia di esempio per i cittadini” e
- che venga preso un impegno pubblico, ad esempio sottoscrivendo una delle iniziative più conosciute sul tema della “buona” comunicazione digitale: il Manifesto della Comunicazione non Ostile che rappresenta una sorta di “decalogo” per costruire rapporti rispettosi e civili in rete (valga come esempio il punto 8: Le idee si possono discutere. Le persone si devono rispettare).
Sarebbe un compito ben arduo per la scuola, che pure negli anni non ha mai smesso di lavorare attorno alle competenze trasversali di cittadinanza, se ciò che sarà implementato nelle classi a seguito della legge sull’educazione civica non fosse sistematicamente sostenuto da esempi provenienti da coloro che hanno, a tutti i livelli, responsabilità politiche e, per questo, godono di ampia visibilità.
In ogni caso, tra pochi giorni, in attesa di capire meglio cosa fare con l’Educazione Civica, le pareti di tutte le aule delle scuole secondarie di primo grado dell’Istituto Comprensivo di Sarzana (SP), che dirigo dall’anno scorso, saranno arricchite da due grandi poster plastificati: i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 e il Manifesto della Comunicazione non ostile.
Chiediamo alle persone “in alto” di impegnarsi nel dare il buon esempio, ma partiamo “dal basso” nel promuovere e diffondere obiettivi e comportamenti virtuosi, in rete e non.