La creatività digitale che sta alla base della costruzione di video, mappe, pagine web da parte dei docenti, non serve solo a fare DaD o DDI, ma costituisce anche motivo di divertimento e quindi di piacere e di gratificazione per gli insegnanti. Lo si percepisce dalla quantità tutorial in rete e dall’orgoglio che i docenti provano nel condividere i propri lavori digitali sui social.
Insomma, anche i docenti vogliono divertirsi! Non solo spiegare, interrogare, risolvere problemi di relazione in classe, affrontare i colloqui a volte impegnativi con le famiglie preoccupate e la burocrazia scolastica.
“Teachers just wanna have fun”?
Perdersi nelle app che consentono di realizzare prodotti digitali quasi professionali, coinvolgersi nei gruppi di lavoro dei propri studenti che si incontrano e lavorano in rete ammirando la loro creatività, intelligenza, impegno, allestire la classe digitale “proprio come piace a me”, incontrarsi con i colleghi attraverso il computer e magari parlare di cose importanti mentre sulla tastiera passa il gatto di casa, poter fare domande e ricevere risposte in tempo reale da tanti colleghi sconosciuti nei social… gratifica, supporta la produzione di idee, accresce il senso di auto-efficacia e fa sperimentare sensazioni che attengono a un ben preciso universo di esperienza: il gioco.
“Teachers just wanna have fun”? Dire ad alta voce che i docenti traggono piacere dallo sfidarsi in attività innovative non è poi così provocatorio. In effetti perché non abbattere il tabù e ammettere che anche gli insegnanti vorrebbero solo divertirsi? Il lavoro non deve essere sacrificio, abnegazione. Il lavoro, per portare davvero a compimento l’essenza dell’essere umano, deve essere libero e creativo, insomma, deve essere gioco.
Affermare questo potremmo dire che è togliere il velo da una realtà effettiva; è forse un ri-narrare l’esperienza di formazione secondo l’accezione che di questa espressione si dà in ambito psicanalitico (un’altra provocazione?): l’analista ri-narra la vita del paziente in un modo alternativo a quello del soggetto in terapia, perché possa reinqudrare il passato e viverlo sotto un’altra luce. Allo stesso modo vogliamo proporre una narrazione dell’esperienza faticosa e impegnativa della DaD (e oggi della DDI) secondo la metafora del gioco, di modo che l’impegno diventi una challenge, una sfida, e le lezioni si trasformino in divertimento. È bene puntualizzare che anche il divertirsi ha delle regole, se non vogliamo dare l’idea di superficialità e se non vogliamo che alla fine rimanga la sensazione di “aver perso tempo” … e, per questo, al termine dell’articolo, diremo di alcuni elementi che guidino gli insegnanti a divertirsi, sì, ma sempre nella direzione di un mondo migliore (non è questa la sfida pedagogica che si affronta ogni giorno di scuola???)!
Il questionario
Per verificare l’ipotesi che “anche gli insegnanti vogliono divertirsi” (e che si divertono), abbiamo posto alcuni quesiti ai docenti per analizzare se effettivamente stessero sperimentando una condizione simile al gioco con un questionario su alcuni gruppi di Facebook frequentati da docenti appassionati di uso delle tecnologie per la didattica: i risultati che seguono hanno un valore qualitativo (47 risposte e stiamo continuando a raccogliere dati), ma viste le caratteristiche delle persone che hanno risposto, possiamo dire che i dati raccolti siano un buon indizio per argomentare il “piacere” e lo stato di “rapimento ludico” sperimentato dai docenti che si sono appassionati nella costruzione e realizzazione della DaD e DDI.
Il gioco è sfida con sé stessi; è motivante per raggiungere obiettivi che diventano via via più complessi e sfidanti. Questa sensazione di sfida e motivazione, è quella che provano i docenti impegnati a preparare un videotutorial, una registrazione, una pagina multimediale, giochi didattici online? Sembra di sì leggendo le risposte dei docenti al questionario sottoposto (figura 1)
Figura 1 – La sfida
I riconoscimenti
Nei giochi ci sono riconoscimenti chiari che attestano il raggiungimento di un obiettivo. Se il feedback è assente o invisibile questo aspetto diminuisce l’efficacia del gioco stesso. I docenti forse non vivono del tutto come “gioco” l’attività di produzione di artefatti digitali per la didattica, perché, spesso, a fronte degli sforzi, a fronte del feedback costituito dal vedere il proprio artefatto pronto per essere condiviso sulla piattaforma e-learning, sul proprio canale YouTube, non ci sono tangibili riconoscimenti dal contesto organizzativo di riferimento (figura 2). Forse basterebbe un repository condiviso fra docenti, una menzione in collegio docenti, un valorizzare in qualche modo (aspettiamo idee dai Dirigenti scolastici!) gli sforzi e i prodotti realizzati.
Figura 2 – Mancanza di riconoscimento
Il coinvolgimento profondo
Giocare significa coinvolgimento profondo: si perde il senso del tempo, si sperimentano momenti di grande soddisfazione al raggiungimento di un obiettivo. Csikszentmihaly definisce tale esperienza ottimale “flusso”, “flow”. Si tratta di una condizione vissuta da chi è totalmente assorbito in un’attività piacevole e stimolante, come può essere il videogame. È uno stato esistenziale capace di farci immergere interamente nel presente e di aiutarci a essere più creativi, produttivi e quindi felici. Con il giusto bilanciamento di fatica e fattibilità – sostiene l’autore – è possibile sperimentare uno stato temporale alterato: il tempo corre velocemente perché siamo totalmente assorbiti dal momento. Questo è quanto accade alla maggior parte dei docenti che hanno risposto al questionario (figura 3).
Figura 3 – Flow
Ne risulta la sensazione di essere in grado di raggiungere gli obiettivi preposti, di avere pieno controllo delle proprie azioni, offrendoci così lo sprone per “fare ancora e di più”: e questo corollario è confermato dall’esperienza condivisa dai docenti intervistati (figura 4)
Figura 4 – Raggiungere obiettivi come elemento motivante
La soddisfazione
Il game designer Daniel Cook individua proprio nella soddisfazione sperimentata dal giocatore che raggiunge una certa abilità il fattore motivante dei videogiochi e secondo il neuroscienziato Edward Vessel giocare rappresenta una intensa esperienza estetica per il gamer, un’esperienza capace di strappare espressioni di soddisfazione (“ah!”), perché un concetto o un messaggio sono stati completamente interpretati e compresi. In concomitanza ad essi si assiste a un rilascio di sostanze chimiche nel nostro cervello e nel nostro corpo che ci permettono di provare una profonda sensazione di piacere ed euforia. In breve, capire fa stare bene. Più profondo è il concetto, meglio stiamo quando finalmente la nostra mente riesce a comprenderlo. Gli umani sono “infovori” e ogni nuova conoscenza diventa motivo di gratificazione. È per questo motivo che quando il gamer avanza nel gioco, guadagnando, livello dopo livello, varie abilità, sperimenta quell’eudaimonia, fine della Virtù per ogni greco.
Da dove viene questa soddisfazione? Sì, dal raggiungere obiettivi, ma anche forse dalla vividezza degli artefatti digitali dall’“eye-catching look” (luminosi, colorati, saturi, animati e sonori) e dall’interattività che abbiamo con il mezzo digitale, come sostiene Steuer nel suo definire il concetto di “telepresenza”: chi non si è mai perso (ad esempio) nella costruzione di un sito, di un blog? La figura 5 mostra cosa ne pensano i docenti intervistati.
Figura 5 – Artefatti didattici digitali e soddisfazione
E la soddisfazione e il piacere che si ricavano dal gioco sembrano essere amplificati in modo proporzionale alla criticità del “contesto-altro dal gioco”. È quanto sostiene una ricerca condotta in Cina durante il lockdown: pare che le persone vivano una più intensa esperienza ottimale se associata alla consapevolezza che la situazione esterna sia molto deprivante (Sweeny e colleghi). Pertanto, nella tensione generata sia dalla pandemia sia dalla responsabilità a scuola, lavorare alla realizzazione di artefatti digitali – capaci di “gamificare” le attività lavorative – potrebbe davvero essere la soluzione vincente.
L’organizzazione degli strumenti digitali
Il docente che accumula app, software, strumenti digitali per la didattica li vive con la soddisfazione del collezionista, nello stesso modo in cui i premi dei videogiochi vanno a soddisfare il bisogno di collezionismo. Collezionare trofei o abilità rispecchia, dunque, un chiaro bisogno di possesso e di perfezionismo (li ho presi tutti!); è quella scarica di dopamina che deriva dal mettere l’ok in prossimità di un obiettivo finalmente portato a termine. Oltretutto, il modo in cui il docente organizza gli strumenti digitali in bookmark o con altri metodi, perché possa facilmente recuperarli, fa parte delle strategie DigCompEdu e della creatività dell’insegnante medesimo, che sa cooptare la funzione di un software per altre finalità. Per esempio gli strumenti di mappe possono diventare, all’occorrenza, repository di “mai più senza”, oppure il blog, che, grazie ai tag, sa organizzare con raziocinio le app via via recensite dal docente. E “collezionisti” delle proprie produzioni risultano i docenti intervistati (figura 6).
Figura 6 – Il docente collezionista digitale
Insegnamento, digitale, socialità
Gioco è socialità. Come si vede dalla figura 7, i docenti traggono soddisfazione dalla reciproca condivisione dei propri artefatti digitali. La socialità fa parte delle motivazioni primarie dell’essere umano, come sottolinea anche Abram Maslow nella nota scala dei bisogni. Attraverso i videogame, con le loro piattaforme multiplayer e i forum che radunano tutti gli appassionati, e anche sul lavoro, la condivisione di interessi comuni favorisce il bisogno essenziale di sentirsi parte di un gruppo, antidoto all’anomia e “ricetta per nutrire” l’identità sociale, grazie alla quale l’Io raggiunge pienezza. È per questo che il docente che crea i suoi materiali digitali trae estremo piacere anche dal confronto con i colleghi sia del gruppo classe sia dei gruppi social. Questo aspetto rappresenta un ulteriore motivo di stimolo per l’insegnamento mediato dalle tecnologie digitali.
Figura 7 – Socialità come gratificazione
E se davvero paragoniamo la didattica digitale a un gioco, che tipo di gioco sarebbe? Di strategia!
Figura 8 – La didattica digitale come un gioco di…
Qualcuno potrà obiettare che i docenti che si divertono possono non offrire la prestazione di qualità che ci si aspetta da loro, essendo persi nelle pieghe del ludico: così non è se i docenti hanno una solida impalcatura metodologica e pedagogica nell’affrontare la divertente e soddisfacente didattica digitale.
Per imparare a giocare alla didattica in modo consistente e responsabile devono loro per primi essere guidati a sperimentare una situazione di apprendimento, ma costellata di tutti gli elementi del gioco.
*Chi scrive è coinvolto nel team del Master Universitario EPICT che nell’edizione di quest’anno utilizzerà proprio la gamification per guidare i corsisti nel loro percorso di apprendimento. Il master offrirà sia solidità contenutistica, grazie ai docenti universitari e ai Formatori dell’Associazione EPICT e di Scuola di Robotica, il syllabus dei Moduli della Certificazione EPICT farà il resto: il syllabus – organizzato secondo un’attenta successione di moduli (tutti da collezionare!) guida il docente in formazione a costruire quelle solide competenze digitali e pedagogiche per riprodurre con i propri alunni il gioco che è in lui!