Il tempo che i bambini, sempre più precocemente, passano utilizzando device tecnologici è un tempo non-costruttivo, non-creativo. E’ un tempo fatto principalmente di attività passive, in cui il bambino non mette in moto il suo potenziale creativo e immaginativo, ma semplicemente risponde a degli input provenienti da uno strumento che qualcun’altro ha pensato per lui.
Occorre invertire la rotta e cambiare, anche fin dalla primissima infanzia – l’approccio con cui si avvicinano i bambini alle nuove tecnologie, anche – ma non solo – per prepararli ai cambiamenti del mondo del lavoro, che richiede competenze sempre più trasversali.
Coding e pensiero computazionale
Con questi obiettivi in mente, nei mesi scorsi la sezione “Montessori” della Scuola d’infanzia “Cappuccetto Rosso” di Lecce, gestita dalla ORSA Coop. Soc., insieme a tutte le altre del nostro Comune, ha partecipato ad un programma di formazione su “Coding e pensiero computazionale” organizzato dal Comune di Lecce in forma gratuita, per tutte le scuole comunali della città.
Un’iniziativa non solo innovativa, ma che dimostra la vicinanza di un’Istituzione alle tematiche più ‘calde’ del giorno d’oggi: “L’innovazione tecnologica come si inserisce in maniera costruttiva e creativa nel processo educativo dei nuovi piccoli cittadini?”. I bambini di oggi stanno crescendo in un mondo sempre più pervaso dalla tecnologia e il dibattito su “bambini e nuove tecnologie” continua ad essere sempre più estremizzato tra favorevoli e proibizionisti.
Questo percorso di formazione è stato affidato, tramite bando pubblico, nelle mani di Boboto, Società B Corp leccese, che da sempre è promotrice di attività nel campo educativo, dell’inclusione e dell’innovazione sociale.
Dopo aver partecipato a questa formazione, la scuola ha deciso di intraprendere, con Boboto, un percorso di coding e robotica educativa all’interno dell’orario curriculare.
Un’obiezione potrebbe sicuramente essere: qual è la necessità di avvicinare i bambini ad attività con strumenti tecnologici innovativi, non sono ancora troppo piccoli? La risposta, purtroppo, è no. Le statistiche ci parlano costantemente di bambini, sempre più piccoli, che passano diverse ore al giorno sui nuovi dispositivi tecnologici. E i numeri continuano ad essere in crescita.
Quattro domande per una grande sfida
Ci troviamo, quindi, di fronte ad una grande sfida, che può essere riassunta in quattro domande davvero impegnative:
- Come possiamo approcciare e approcciarci alle tecnologie in modo che costituiscano l’occasione per innovare la qualità culturale e sociale dei processi di apprendimento di adulti e bambini?
- Come si modifica il modo in cui ci relazioniamo con il mondo, cioè le modalità con cui apprendiamo, e come tutto questo influenza le nostre esperienze educative?
- Come possiamo approcciare e approcciarci alle tecnologie in modo che costituiscano l’occasione per innovare la qualità culturale e sociale dei processi di apprendimento di adulti e bambini?
- In che modo il digitale entra a far parte di atti conoscitivi complessi e condivisi, e come possiamo far sì che in questi rimangano connessi tra loro elementi di autonomia, responsabilità e libertà?”[1]
Secondo un report del World Economic Forum del 2018, il futuro del lavoro cambierà moltissimo, poiché l’automazione e l’Intelligenza Artificiale renderanno obsoleti molti lavori manuali e ripetitivi. Ai bambini, oggi, dovrebbero essere insegnate “competenze trasversali” come il pensiero indipendente, i valori e il lavoro di squadra. Pertanto, il panorama del mondo del lavoro sarà determinato soprattutto dalla capacità di evolversi dell’educazione che si svolgerà all’interno delle aule scolastiche.
Le competenze richieste del prossimo futuro, le cosiddette “soft skills”, vedono ai primi tre posti: la capacità di problem solving, il pensiero critico e indipendente, la creatività.
Ma può essere solo il cambiamento delle competenze del lavoro richieste a spingere l’educazione all’approccio dei bambini ai nuovi strumenti tecnologici? No, non può essere solo questo.
Bambini e tecnologie, come cambiare approccio con coding e robotica
I bambini percepiscono il loro ambiente non come noi adulti, che siamo capaci di distinguere il mondo della nostra infanzia da quello attuale, molto più digitale. I bambini non considerano il digitale come qualcosa di distaccato dal loro ambiente, ma lo percepiscono come parte di questo, anzi, permeato dal digitale come dall’analogico, dove è presente uno smartphone, ma anche una penna, come due realtà assolutamente interconnesse tra loro.
Per provare, quindi, a dare delle risposte alle nostre domande iniziali, è necessario proporre ai bambini, contesti in cui possano “relazionarsi agli strumenti tecnologici in maniera complessa, condividendo ipotesi di ricerca, elaborazioni, costruzioni comuni e dando vita a un ambiente nel quale possano generarsi importanti processi relazionali, cognitivi ed emotivi sempre sostenuti dall’adulto”[2].
Bisogna “evitare una pratica della tecnologia anestetica e funzionalista, rendendone invece visibili le potenzialità ecologiche e generative: gli strumenti si sono mescolati ad altri linguaggi, caratterizzandosi come elementi che contribuiscono alla connessione e alla creazione di nuovi saperi”[3].
Come si può, quindi, proporre ai bambini una diversa relazione con i nuovi strumenti tecnologici per far sì che la loro attività non sia più passiva, ma attiva e creativa?
La creazione del laboratorio di coding e robotica educativa ha avuto come punto di partenza il confronto tra Boboto e le educatrici della scuola, per poter sviluppare un’attività trasversale a più ambiti d’apprendimento e che supportasse il lavoro che i bambini già svolgevano in classe. Questo perché non è possibile pensare di svolgere una medesima attività, con i medesimi criteri, in classi diverse: cambiano i contesti, i vissuti, le competenze, e ogni cosa va ripensata sul gruppo di bambini che ci troviamo davanti.
Boboto ha due main projects molto interessanti, entrambi legati al processo di innovazione tecnologica ma con un forte legame nella pedagogia del passato, la quale ritrova grandi riconoscimenti nelle ricerche neuroscientifiche più all’avanguardia:
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La conoscenza dei cinque sensi
Il principio su cui si basano principalmente questo tipo di attività di Boboto, per la scuola dell’infanzia, è cercare di utilizzare i nuovi strumenti anche per concretizzare concetti astratti del sapere e quindi difficilmente comprensibili per bambini in una fascia d’età dove il pensiero astrattivo non è ancora presente.
Il percorso sviluppato ha visto come tema principale la conoscenza dei 5 sensi, ma non semplicemente riguardo a cosa sono i cinque sensi, ma piuttosto la possibilità di prendere consapevolezza di un percorso che accade nel nostro corpo in grado di mettere in comunicazione ciò che vediamo, con ciò che non vediamo (esempio: stimolo tatto – mano visibile/emisfero celebrale non visibile).
L’attività prevedeva una prima parte in cui i bambini, attraverso la manipolazione del materiale Montessori, stimolavano i loro sensi. E poi le domande: “ma dove vanno a finire queste nostre sensazioni? E come è possibile che riusciamo a distinguere il freddo dal caldo? Il blu dal rosso? Il leggero e il pesante?”.
Coding e robotica per il problem solving e la risoluzione creativa dei problemi
A questo punto si è inserita l’attività di coding e robotica. Abbiamo preparato un’installazione a terra con una grande rappresentazione di un volto dove era possibile distinguere un cranio con dentro un cervello, dove erano segnalate esattamente le parti del cervello dove vengono codificati gli stimoli ricevuti dai nostri sensi.
Ognuna di queste piccole parti celebrali era collegata ad un percorso a scacchiera, nello stesso colore, dove alla fine si trovava l’organo di tatto corrispondente. Lo scopo era quello di guidare un piccolo robot programmabile, attraverso questo percorso ad ostacoli, dall’organo di tatto alla sua parte celebrale corrispondente. L’attività, con la guida dell’adulto che sollecitava alla riflessione sull’agire dei bambini, ha permesso loro, non solo di scoprire in maniera tangibile e giocosa dove vanno a finire le nostre percezioni sensoriali, ma anche di approcciarsi in maniera attiva ad un artefatto tecnologico, capendo che dietro ogni strumento digitale, c’è sempre la mente dell’uomo: è sempre l’uomo che comanda la macchina. La mente immagina, sperimenta e crea un nuovo strumento utile alla vita dell’uomo. L’attività ha permesso ai bambini di attivare un processo di problem solving e risoluzione creativa dei problemi, potenziando il loro pensiero computazionale e, cosa non meno importante, lavorando in gruppo imparando a confrontarsi.
L’attività di coding è la base della programmazione informatica, materia STEAM verso la quale si orienta fortemente il futuro del lavoro, ma che rimarrebbe assolutamente attività sterile, a questa età, se non intrecciata con i gli altri “100 linguaggi” del bambino. Oltretutto, troppo spesso, si ritiene erroneamente che lo sviluppo del pensiero computazionale sia strettamente legato ad uno strumento informatico, quando invece questo è un processo mentale che utilizziamo ogni giorno, senza però rendercene conto. Dovremmo sempre tener presente che lo strumento deve restare tale, e l’impatto negativo che ne può pervenire dal suo utilizzo, non è nello strumento stesso, ma nell’uso che se ne fa. Uno scalpello potrebbe essere un’arma letale, ma allo stesso tempo un oggetto in grado di produrre meravigliose opere d’arte, tutto sta nell’intelligenza e nelle mani di chi lo propone o lo usa.
E’ ormai indispensabile “trovare spazi di elaborazione nella quotidianità didattica, favorendo un approccio critico e attivo. Pur non configurandosi come elementi «insostituibili» alla riflessione comune, i device si sono configurati quali contesti motivanti, favorenti l’emergere di interrogativi e di una dimensione elaborativa di gruppo”.[4]
- Alessandra Raffone (2018), “La città educante. Metodologie e tecnologie innovative a servizio delle Smart Communities”, Liguori Editore. ↑
- Ibidem ↑
- Ibidem ↑
- Ibidem. ↑