Premetto che il tema dell’inserimento delle tecnologie e dei linguaggi digitali a scuola è di straordinaria importanza e complessità e credo che non possa esaurirsi all’interno di un dibattito dialettico sia pur stimolante tra me ed il professor Calvani. In più i nostri tempi di risposta, la necessità di rimanere entro quantità di battute definite, portano inevitabilmente ad alcune semplificazioni che rischiano di non rendere un buon servizio al lettore. Detto ciò, in attesa di avere un contesto di discussione più adatto, mi permetto di cogliere alcuni spunti e precisare il mio pensiero.
La scuola nell’era “di mezzo”
Vorrei prima di tutto ricordare ai lettori che siamo in un'”era di mezzo”. La scuola è certamente in una fase di transizione: modelli strumenti, gli stessi studenti sono in rapida evoluzione. Ne consegue che convivono realtà dai profili molto diversi e che, a volte, ci sono rapide fughe in avanti, come pure rallentamenti e soste. E’ normale: l’evoluzione nel suo percorso è al tempo stesso rivoluzione e involuzione.
Il problema dell’immissione delle tecnologie a scuola
Ma veniamo al recente articolo del professor Calvani, in risposta a mie considerazioni sul tema delle tecnologie a scuola e i nuovi conservatori. Calvani scrive che “non stiamo parlando della questione del potenziamento delle infrastrutture tecnologiche per le scuole né del fatto che gli alunni debbano possedere conoscenze e competenze tecnologiche adeguate (competenze digitali), tutti aspetti la cui importanza nessuno mette in discussione ma che vanno trattati a parte; il problema concerne l’immissione diffusa delle tecnologie ICT nella scuola”. Ma quindi come potrebbero gli studenti possedere conoscenze e competenze digitali senza avere a disposizione per le attività didattiche le tecnologie? Se, come leggiamo nel decalogo di Calvani i ragazzi non dovrebbero portare neanche il proprio device a scuola mi chiedo: come potrebbero sviluppare quelle competenze considerate così importanti? Guardando la lavagna? Usando solo quaderni e libri di testo?
Tecnologie a scuola, siamo sicuri che siano utili? Dubbi e problemi
Dal piano LIM a scuole 2.0
Il problema sembra di capire concerne quindi “l’immissione diffusa delle ICT” nelle scuole da parte del MIUR. Parliamo quindi investimenti pubblici troppo elevati (?). Quando ho ricoperto la carica di Capo Dipartimento del MIUR mi sono reso colpevole di aver lanciato il piano LIM e poi quello delle cl@assi 2.0 ed ancora quello delle scuole 2.0. Una responsabilità che mi prendo tutta. Piani che hanno avviato quel potenziamento infrastrutturale di cui le nostre scuole avevano ed hanno tutt’ora bisogno, peraltro in linea con quanto fatto da tutti gli stati occidentali. Quando col ministro Profumo varammo i programmi cl@ssi 2.0 e scuole 2.0 ci ponemmo anche il problema di far verificare l’iniziativa italiana ed impegnammo l’OCSE in questa valutazione esterna del nostro programma.
Scuola senza tecnologie, le opportunità che si perdono
Il rapporto a cura di F.Avvisati, S. Hennessy, R.B.Kozma e S.Vincent Lancrin (Review of the Italian Strategy for Digital Schools) evidenziò come il piano andasse nella giusta direzione a supporto dell’innovazione del modello scolastico e della didattica. Senza però un’accelerazione decisa ed un piano di investimenti molto più ampio avrebbe impiegato quasi vent’anni a raggiungere un adeguato livello di “diffusione”, cosa che invece mi pare preoccupi al contrario e non poco l’associazione presieduta dal professor Calvani. Personalmente sono invece preoccupato del contrario.
Credo che senza un’adeguata diffusione e disponibilità di tecnologie nella scuola, questa non sia in grado di cogliere le opportunità che questi strumenti e i linguaggi digitali offrono agli studenti ed agli insegnanti.
Le tecnologie possono cambiare la scuola?
Qualche anno fa una commissione bipartisan del Congresso americano alla quale parteciparono molti esperti delle più famose università, si pose questa domanda: possono le tecnologie cambiare la scuola? La risposta fu: certamente si, se la scuola saprà cogliere e sfruttarne adeguatamente le potenzialità. Indire a sua volta tre anni fa ha cercato di capire i risultati che le scuole, che avevano introdotto in modo “diffuso” le tecnologie, stavano ottenendo.
Il primo problema fu proprio quello di individuare un numero significativo di scuole dove tutti i ragazzi avevano un device personale a disposizione, dove fosse presente una connessione alla rete adeguata ad un uso didattico, dove esistesse una infrastruttura adeguata (evidentemente questa alluvione tecnologica era ed è ancora lontana) e soprattutto dove questa infrastruttura era usata in modo funzionale a trasformare complessivamente e significativamente la didattica.
Tecnologie e trasformazione della didattica
La tecnologia all’interno di un modello scolastico tradizionale ha effetti limitati o non ha effetti del tutto. Quindi sono state analizzate scuole dove la tecnologia era così diffusa da poter essere al centro di un utilizzo quotidiano e non rimanere chiusa in qualche laboratorio. Quando e dove le tecnologie rappresentano un fattore, sia pure determinante, ma inserite all’interno di un processo di trasformazione complessivo della didattica, solo in questo caso possono determinare cambiamenti significativi. Questa era la nostra tesi di partenza. Per questo abbiamo potuto esaminare solo 11 scuole distribuite su tutto il territorio nazionale utilizzando i dati disponibili sui risultati degli apprendimenti dell’Invalsi oltre che i dati del MIUR su tutta una serie di indicatori. Credo, infatti, che non si possano ridurre ai soli risultati degli apprendimenti gli effetti delle tecnologie a scuola.
Gli effetti delle tecnologie e le variabili in gioco
Comunque i risultati dei test Invalsi delle scuole esaminate, sia in matematica che in italiano, erano tutti superiori a quelli delle scuole con lo stesso livello di ESCS della provincia. L’abbandono scolastico in queste scuole si era ridotto drasticamente ed in alcune di esse si era azzerato del tutto. Erano perfino diminuite le assenze degli studenti oltre che i trasferimenti degli insegnanti. Ma non semplifichiamo: in Indire siamo pienamente consapevoli che si tratta di dati positivi ma descrittivi e che non possono essere usati in modo deterministico circa l’effetto delle tecnologie. Le variabili in gioco in un ambiente sociale complesso come la scuola, sono numerose e non si può registrare un effetto positivo o negativo e ricondurlo poi ad una sola di queste. Cosa che credo però si dovrebbe fare sempre quando si esamina la scuola.
La centralità delle metodologie
La necessità di semplificare concetti, cui facevo cenno, credo sia la ragione che porta il professor Calvani a disegnare uno scenario in cui: ”da una parte ci sarebbero i “nemici” della tecnologia (che sono anche i “conservatori”), dall’altra gli “amici” (gli innovatori, quelli dai quali dipenderebbe il futuro della scuola). Nella concezione dicotomica di Biondi la tecnologia avrebbe il privilegio esclusivo dell’innovazione”.
Non so se questo partito degli amici delle “tecnologie a prescindere” esista davvero, mi pare piuttosto una tesi di comodo, ma certamente pensavo non si potesse dedurne la mia appartenenza da quello che ho scritto con chiarezza nel testo e che per semplicità riporto: “Certo è che oggi nessuna LIM o tablet può cambiare la scuola e che “la scuola digitale” non esiste o meglio non deve esistere, come ho scritto più volte”. E’ ovvio che l’innovazione non dipenda da questa o quella tecnologia e che le metodologie siano determinanti. “Ma – come scrivevo – nello stesso tempo, per fare la differenza, anche le metodologie hanno bisogno di sfruttare le opportunità che oggi offrono le ‘tecnologie’”.
L’importanza del potenziamento infrastrutturale
Oppure dobbiamo continuare a sfruttare le sole tecnologie di cui la scuola dispone: lavagne di ardesia, gessetti, mappe geografiche e poco altro? Non credo. Lo stesso Calvani parla dell’importanza del potenziamento infrastrutturale delle nostre scuole. Proprio perché conosco la storia scientifica del professor Calvani mi sono meravigliato e non poco di quel suo decalogo e mi sono sentito in dovere di rispondere. Credo che le questioni debbano essere dibattute in altre sedi e che si debbano evitare le semplificazioni e gli slogan che portano inevitabilmente a prendere posizioni facilmente equivocabili. Perché ad esempio qualcuno dovrebbe pensare che più tecnologie si inseriscono nella scuola e più aumentano gli apprendimenti? Vorrei capire davvero da cosa si deduce questa posizione. Personalmente non l’ho mai pensato né scritto, ma non ho mai neppure sentito nessuno affermarlo. Non voglio impegnare in questo dibattito l’Istituto che presiedo e che conta su oltre settanta ricercatori che hanno una loro autonomia scientifica. Non credo però che tutto questo unilaterale e acritico innamoramento per le tecnologie, possa dedursi dalle iniziative che Indire ha avviato a supporto dei processi di innovazione del modello scolastico.
Le Avanguardie educative
Le Avanguardie educative, che oggi contano più di 700 scuole, si basano su 15 idee e come tutti i movimenti su un manifesto condiviso. Solo una o due delle 15 idee è centrata in modo specifico sull’uso delle tecnologie. Poi, naturalmente, anche una metodologia come il debate richiede agli studenti di documentarsi e credo lo facciano usando più spesso la rete che l’enciclopedia o il libro di testo, magari cercando di verificare le informazioni e l’attendibilità delle fonti che incontrano in internet.
Le stampanti 3D nella scuola dell’infanzia
Anche nella fascia d’età sulla quale Calvani richiama l’attenzione è bene evitare generalizzazioni, semplificazioni e facili conclusioni. Indire ha inserito le stampanti 3d nelle scuole dell’infanzia e queste tecnologie sono state funzionali ad un percorso di lavoro che mirava a coinvolgere i bambini in attività di sviluppo delle competenze logiche, di miglioramento delle capacità di lateralizzazione, di ragionamento verbale. Nel caso specifico tutta l’attività ha avuto un monitoraggio esterno e i risultati sono stati pubblicati. Si tratta probabilmente di poca cosa, ma il progetto continua, si allargherà alla scuola primaria e continuerà ad avere sempre una rigorosa valutazione esterna sui risultati.
I risultati ottenuti in rapida sintesi sono in linea con la letteratura per quanto riguarda il QI totale (Canivez, Wattkins, 1998; Ryan, Glass, Bartels, 2010) non mostrando differenze significative nel post test. Appaiono invece significative le differenze nei QI verbale, in senso positivo, e nel QI di Performance, in senso negativo; tuttavia questi scostamenti sono costanti sia per il gruppo sperimentale che in quello di controllo, il che fa pensare o ad un bias nella somministrazione del test o ad effetti dovuti ad altri fattori, quali ad esempio i contesti delle scuole o elementi del curricolo che esulano dalla stampante 3D. La somministrazione del test ha permesso ai ricercatori di avere un primo approccio alla valutazione cognitiva in contesti educativi che integrano strumenti tecnologici nella didattica. E’ uno dei primi studi in Italia che approfondisce questi temi in un contesto di utilizzo delle stampanti 3D nella scuola.
Tecnologie e replica di vecchi modelli
In conclusione, vorrei riprendere un’ultima affermazione di Calvani che invece condivido almeno in generale: “Tutte le volte che si introducono le tecnologie nell’apprendimento scolastico senza aver del tutto chiari gli obiettivi da raggiungere, il perché e come queste fornirebbero un valore aggiunto, come si possano contenere i fattori di sovraccarico che esse inevitabilmente comportano, si va incontro a clamorosi fallimenti”.
A sostegno di questa affermazione vorrei ricordare un episodio significativo: tanti anni fa, quando si realizzavano le prime LAN (reti locali che collegavano fisicamente tanti personal computer tra loro) un ingegnere dimostrava le potenzialità di questa rete. Sul monitor dell’insegnante apparivano tutte le postazioni degli allievi. Con orgoglio l’ingegnere spiegava che se si illuminava l’ultimo banco a destra significava che Giuseppe chiedeva di parlare. A quel punto un insegnante esclamò: ma Giuseppe non poteva alzare la mano se voleva parlare! Applicare le tecnologie per fare le stesse cose e replicare semplicemente lo stesso modello non solo non serve a nulla ma genera un inutile sovraccarico.
Tecnologie a scuola, una trasformazione in divenire
La domanda che però mi viene da porre è: perché Calvani pensa che l’inserimento delle tecnologie avvenga senza “aver del tutto chiari gli obiettivi da raggiungere, il perché etc..”? Inviterei invece a fare più attenzione a quanto sta avvenendo nelle scuole ed avere maggiore considerazione dell’intelligenza e della consapevolezza delle migliaia di insegnanti che cercano ogni giorno di catturare l’attenzione dei loro studenti e di motivarli allo studio. Un grande laboratorio che offre, ma solo a chi lo vuole analizzare, molti spunti di riflessione e di analisi. E’ proprio qui che chiedo ogni giorno ai ricercatori di INDIRE di impegnarsi e di fare ricerca; le tecnologie sono una delle opportunità che abbiamo e che dobbiamo usare valutandone rigorosamente i risultati ed evitando però anche di immaginare questo o quel partito. Consapevoli, come dicevo all’inizio di questo breve intervento, che siamo in una fase di trasformazione profonda che ha pochi anni di vita, con tutto quello che ciò comporta.