il dibattito

Tecnologie in classe, uno schema per capire l’impatto sulla didattica

La domanda non dovrebbe essere se sono necessarie le ict in classe, ma come possiamo rendere le esperienze con le Ict diffuse, replicabili e consolidate

Pubblicato il 17 Nov 2017

Gabriele Benassi

già Consulente della vice ministra Anna Ascani, Servizio Marconi TSI USR ER, Equipe formativa nazionale

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Sarebbe interessante uno studio dei titoli e dei contenuti di molti articoli di riviste e giornali online e in edicola per tracciare in modo oggettivo le tendenze. Così, ad istinto, la vulgata più diffusa tende alla polarizzazione fra bene e male, fra passato e futuro, fra contenuto e competenza. Si passa dalle tecnologie che distruggono gli apprendimenti alle tecnologie che li rendono semplici e a portata di mano, dalla scuola di “quando eravamo giovani era tutta un’altra cosa”, per citare Vasco, alla scuola dei “senza” e dei “con” , dei metodi tecnologici con il marchio doc. Nei mesi recenti si è passati poi dall’esaltazione spettacolare del piano nazionale scuola digitale alla sua definitiva sepoltura.

A chi giova questa polarizzazione? questa mancanza di senso della realtà? questo sguardo sul particolare che vuole con prepotenza diventare assoluto e inconfutabile? Sinceramente, da docente impegnato quotidianamente nell’insegnamento e nella formazione ai colleghi sulla didattica con le nuove tecnologie, di questa schizofrenia mi sono stancato e vivo con molto disincanto l’approccio a queste notizie, qualunque significato portino. Sono stanco degli annunci spettacolari e retorici, sono stanco delle retroguardie arroccate su concetti superati e ancora massicciamente presenti nelle nostre scuole.

L’insegnamento è un’esperienza complessa condizionata da fattori culturali, sociali, relazionali, morali, economici; necessita di una gamma di metodologie didattiche integrabili fra loro, di strategie relazionali, di competenze didattiche disciplinari/trasversali e di uno sguardo di fiducia. Nel dibattito in corso, da un lato assistiamo ad una semplificazione dei processi che rischia la banalizzazione, dall’altro ad una valorizzazione di retroguardie pedagogiche fondate su affermazioni spesso di comodo. Il problema è che questa polarizzazione sta creando un clima ed uno sfondo artificiali che non si conciliano con la pianificazione e lo sviluppo di una didattica efficace. Richiamando ancora una volta il buon senso e la misura, proviamo a ragionare sulle esperienze in corso.

Partiamo dal presupposto che le tecnologie non migliorino necessariamente l’apprendimento, in particolare se utilizzate senza una progettualità metodologica. Tenendo in considerazione le competenze, gli strumenti e il tipo di attività da sviluppare è possibile tracciare uno schema esemplificativo sul ruolo delle tic nella didattica. Prendendo ad esempio un modello1relativo all’educazione linguistica ma che potrebbe essere allargato a qualsiasi altro campo disciplinare, elaborato dal professor Matteo Viale:

  1. Le Ict non influenzano né l’organizzazione dei task né le abilità linguistiche messe in gioco, incrementando la motivazione all’apprendimento. Per esempio la costruzione di mappe concettuali e mentali, cartelloni, giochi didattici, quiz, sondaggi attraverso varie applicazioni o software. Sono tutte attività possibili in analogico e in digitale e non mutano né le consegne né modificano le abilità
  2. Le Ict influenzano l’organizzazione dei task ma non le abilità linguistiche messe in gioco, incrementando la motivazione all’apprendimento. Per esempio la costruzione di mappe con realtà aumentata, esercizi di geolocalizzazione, costruzione di fumetti, di podcast. Le tecnologie facilitano e velocizzano questi processi di costruzione, mantenendo inalterate le competenze messe in gioco. Sono tutte attività che influenzano l’organizzazione degli strumenti ma non le abilità linguistiche.
  3. Le Ict influenzano le abilità linguistiche messe in gioco, pur non modificando l’organizzazione dei task, incrementando la motivazione all’apprendimento.
  4. Le Ict agiscono sia sul piano dell’organizzazione dei task che sulle abilità linguistiche messe in gioco, incrementando la motivazione all’apprendimento. Per esempio la scrittura collaborativa su Google drive in modalità wiki.

Lo schema è molto chiaro ed applicabile a qualsiasi disciplina. Non tutte le tecnologie e le applicazioni sono uguali, non tutte sono utilizzate allo stesso modo, non tutte cambiano l’assetto didattico. L’importante è sviluppare nei docenti la consapevolezza di questa diversità e la corretta aspettativa rispetto alle potenzialità e ai possibili esiti didattici dell’utilizzo delle ict in classe. Non si pretendano allora miracoli nell’apprendimento, non si abbia nemmeno un pregiudizio apocalittico.

Certamente le Ict portano una maggiore motivazione negli alunni e il loro utilizzo consapevole e legato ad attività di differente natura, produce è efficace proporzionalmente al tipo di attività sviluppata. Un docente capace può e deve operare queste distinzioni ed utilizzare le Ict a seconda del lavoro che vuole realizzare e degli obiettivi didattici che lo caratterizzano.

Ma è poi così necessario utilizzarle in classe? Non se ne potrebbe fare a meno? E’ la domanda che molti colleghi e genitori fanno spesso. Una didattica fatta in modo trasmissivo su un libro di testo è certamente più lineare e riconoscibile. Una didattica sviluppata in modo costruttivista, collaborativo, su progetti e attività trasversali ed interdisciplinari è molto più complessa e potenzialmente disordinata. Gestire una classe nel primo modello è molto più facile, gestire una classe nel secondo modello è molto più stimolante e creativo ma può diventare anche più dispersivo e caotico. La differenza la fanno il docente, l’organizzazione dell’ambiente di apprendimento, lo sviluppo della metodologia e gli strumenti. La vera fatica nell’innovare la didattica non è tanto dunque nel saper utilizzare i dispositivi, quanto nel cambiamento di prassi consolidate,stabili e rassicuranti. Le Ict, se utilizzate nel secondo modello, sono efficacissime ed essenziali. Se utilizzate nel primo modello, rimangono utili ma non fondamentali.

Se il mondo là fuori fosse quello di 10, 15 anni fa, potremmo fermarci a queste considerazioni. Ma sappiamo tutti che non è così, che stiamo assistendo ad una accelerazione senza precedenti della tecnologia, che siamo immersi in una fase storica di passaggio alla rete e al digitale che modifica il modo stesso di conoscere, di accedere alle informazioni, di elaborare le conoscenze, di condividerle2. Sappiamo anche che le ict e la rete favoriscono la creatività, la costruzione, l’ideazione, l’invenzione, la pubblicazione e pongono nuove questioni e nuovi scenari rispetto all’identità, alle relazioni e al rapporto con la realtà. Sappiamo che lo sviluppo economico e culturale della nostra società è indirizzato ad alta velocità verso i linguaggi di programmazione sempre più raffinati, verso algoritmi sempre più complessi, verso la robotica, oltre che verso una digitalizzazione di ogni aspetto della nostra vita. Sappiamo anche che le competenze digitali fanno parte dei quadri europei per l’apprendimento permanente e per la cittadinanza, recepiti nelle indicazioni nazionali e certificate al termine del primo ciclo.

La domanda dovrebbe essere non se sono necessarie le ict in classe, ma come possiamo rendere le esperienze con le Ict diffuse, replicabili e consolidate? Il Piano Nazionale Scuola Digitale nella sua impostazione “Strumenti” / “Competenze e contenuti digitali”/ “formazione”/ “accompagnamento” sta cercando di realizzare questa ambizione, ma l’organicità dell’impianto iniziale è stata persa lungo il tragitto ed il quadro attuale è molto eterogeneo, senza un obiettivo davvero centrato e con molti cantieri aperti in vari punti della penisola. Serve certamente tempo e sarebbe già fondamentale che questo Piano Nazionale mettesse le basi del successivo sviluppo: connettività, Ict, formazione, sperimentazione didattica.

Il lavoro è lungo, ancora. La speranza è che dal basso, dai dipartimenti e dalle classi si avverta l’urgenza dell’innovazione, senza facili entusiasmi e senza arretramenti. Con il buon senso e la consapevolezza che i nostri alunni sono qui ed ora, e che la scuola, come ci dice Don Milani, siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi.3

1 Using Information and Communication Technology in Italian Language Learning and Teaching: from Teacher Education to Classroom Activities, in stampa in “Caracteres. Estudios culturales y críticos de la esfera digital” (novembre 2017)” – Matteo Viale, Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica Università di Bologna

2 “Non è mondo per vecchi” , Michel Serres . Bollati-Boringhieri

3 “La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi” da “L’obbedienza non è una virtù”- Don Milani.

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