Cosa manca, ancora, nel corredo scolastico degli alunni e studenti di ogni ordine e grado? Perché non è previsto alcun dispositivo digitale?
Il periodo di emergenza Covid-19, con l’improvviso dispiegamento della cosiddetta “didattica a distanza” (DAD) ha portato in evidenza proprio tale mancanza. Le scuole hanno dovuto provvedere a fornire molte decine di dispositivi digitali, acquistati anche in fretta e furia grazie a tempestivi finanziamenti ministeriali.
Non a caso, il 20 maggio 2020 è stato lanciato il Manifesto per il tablet nello zaino. Nato come “esercitazione intellettuale” di un gruppo di colleghi e amici (oltre ai due autori, Roberto Maragliano e Alessandra Rucci) è stato poi proposto anche sotto forma di petizione su Change.org. L’obiettivo del Manifesto è richiamare l’attenzione su un’assenza.
L’importanza del corredo scolastico
Si badi bene, non mancano scuole che hanno regolamentato in modo estremamente dettagliato il corredo di cui ogni singolo alunno deve essere dotato.
Alla secondaria di secondo grado, l’attenzione si sposta sui libri di testo, dotazione spesso ingombrante in termini di volume e di costo.
Vi è quindi un’idea di fondo: per frequentare efficacemente la scuola, sono necessarie alcune “attrezzature”, dai libri di testo (che alcune scuole richiedono “foderati ed etichettati”), dai dizionari rigorosamente cartacei, a penne, matite, gomme, album da disegno e altri strumenti specifici per la didattica.
Teniamo a mente la specificazione “ogni singolo alunno”, perché è dato per scontato che ogni studente abbia il proprio libro di testo, i propri quaderni e via dicendo.
È anche interessante notare come il costo di tale corredo, a partire dalla scuola secondaria di primo grado, sia decisamente rilevante: il tetto di spesa per una prima della secondaria di primo grado (fissato nel 2012 e mai più ritoccato, nonostante il costante aumento del prezzo di copertina dei libri di testo) è attualmente di 294,00 euro elevabile entro il 10% a 323,40 euro. Se aggiungiamo tutto il resto (ad esempio vocabolari ecc.) si raggiungono facilmente i 400 euro e oltre. Nella scuola secondaria di secondo grado, la spesa spesso supera i 500 euro, in virtù della quantità di testi (spesso utilizzati solo in minima parte) e di strumenti più specifici per gli indirizzi tecnici e professionali .
Curiosamente, negli anni, nessuno ha mai obiettato più di tanto su questa spesa annuale che grava sulle famiglie con figli in età scolare. E nemmeno ci si è soffermati più di tanto su quel secondo periodo dell’art. 34 della Costituzione (“L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”): sappiamo bene che la gratuità, almeno per i libri di testo, si ferma alla quinta primaria, mentre l’obbligo di istruzione è ora fissato ai 16 anni.
Dalla DAD alla DDI: resta il problema della dotazione digitale individuale
Dopo avere descritto quello che nel corredo c’è, proviamo a esaminare ciò che manca: non è previsto alcun dispositivo digitale. Tablet e notebook non sono contemplati; nel corredo non ci sono, dunque non servono! E questa mancanza si è sentita in tutta la sua evidenza nel periodo di chiusura delle scuole dovuto al lockdown.
Certo, la DAD è stata una didattica d’emergenza, la cui efficacia è ancora tutta da studiare, tuttavia non sono pochi i genitori che hanno riportato, assieme agli innegabili e inevitabili problemi e criticità, segnali positivi relativi alla rapida acquisizione da parte dei loro figli (talvolta anche piccoli, frequentanti la scuola primaria) di “nuove competenze”. Il computer è stato improvvisamente visto in modo diverso, non soltanto un contenitore di videogiochi o una fonte di distrazione, ma uno strumento “di lavoro”.
La DAD si è ora “trasformata” in Didattica Digitale Integrata (DDI), con l’aggettivo “integrata” ad indicare una nuova fase di maggiore stabilità, oltre l’emergenza. Nelle scuole del secondo ciclo la DDI può, in effetti, essere impiegata come attività ordinaria mentre nel primo ciclo rimane limitata ai casi di sospensione delle attività in presenza.
Al di là delle potenzialità ulteriori della DDI, che molte scuole superiori stanno sperimentando come ordinaria, rimane il problema delle dotazioni individuali.
Mentre è evidente l’impossibilità delle scuole di assegnare un device a centinaia (a volte migliaia) di studenti, si è tutti consapevoli che l’eventualità di un parziale o totale lockdown delle classi è un rischio reale. Sta già accadendo, a qualche settimana dall’inizio delle lezioni.
Moltissime famiglie, con l’esperienza della DAD e ora con le sollecitazioni della DDI, si sono anche rese conto di non avere mai pensato prima alla necessità di dotare i loro figli di un dispositivo individuale, esclusivo, così come sono personali i testi, l’astuccio, i quaderni. Tablet o pc sarebbero pure disponibili, quest’anno, con voucher governativi ad hoc per chi ha meno di 20mila euro di Isee.
Ma perché le famiglie non ci avevano pensato? Probabilmente perché la scuola da sempre richiede l’acquisto di uno specifico album da disegno o di un certo modello di pennarello, ma non di strumenti digitali ormai diventati indispensabili per l’apprendimento (e per la quotidianità).
Il gap (e la diffidenza) delle scuole verso il digitale
Nella scuola regna a tutt’oggi una diffidenza che guarda con sospetto al digitale: troppo facile, ad esempio, copiare-incollare una “ricerca” da Wikipedia oppure reperire con un paio di click la versione di latino. Quanti insegnanti si sono lamentati, negli anni, di questi problemi! Non hanno forse mai pensato che sia il compito assegnato, e non lo strumento usato, a dover cambiare.
Nella maggioranza delle scuole, peraltro, vi sono computer a disposizione degli alunni. Non tanti, anzi decisamente pochi (secondo il report di AGCOM, basato però su dati non recentissimi) e per la maggior parte ancora “confinati” nei “laboratori di informatica”. Si tratta di un approccio che, per la verità, si è cercato di modificare, in particolare con il Piano Nazionale per la Scuola Digitale del 2015 (PNSD), nel quale si insisteva molto sull’importanza degli “ambienti di apprendimento” dotati “anche” di una infrastruttura digitale diffusa. Purtroppo, anche gli ambienti sono stati spesso realizzati come “fiori all’occhiello”: l’aula 3.0, l’aula TEAL, l’atelier creativo sono comunque ambienti “altri” rispetto all’aula di tutti i giorni. Il PNSD, in realtà, trattava anche del cosiddetto BYOD (Bring Your Own Device) ovvero “porta a scuola il tuo dispositivo” ma questo approccio non è mai davvero decollato.
Del resto, l’abbiamo visto, nel corredo scolastico il dispositivo …non c’è!
Nell’aula, come a casa, salvo le solite rilevanti eccezioni che pure esistono, continua a regnare sovrano il libro cartaceo, assieme al quaderno, alla penna e al resto del corredo. Non c’è proprio spazio per i dispositivi digitali i quali sono addirittura in alcuni casi vietati!
A poco è servito il già semi-dimenticato Decalogo per il BYOD proposto nel 2018 dall’allora ministra Fedeli, alla cui stesura chi scrive ha avuto la ventura di collaborare.
È invece normalmente concesso l’uso del computer come strumento compensativo, in caso di dislessia o disgrafia. Un’indicazione nata per favorire il benessere e l’inclusione, paradossalmente evidenzia e “isola” lo studente con disturbo specifico, che usa, lui solo, il computer! Pensiamo all’assurdità di tale situazione: il mondo intero fa uso esteso del digitale, in ogni settore, ma nella scuola l’utilizzo di un computer può finire per essere percepito come una discriminazione!
Già la DAD, nella sua drammaticità, ha spazzato via tutto questo: il discriminato, purtroppo, è stato il ragazzino senza computer, oltre che privo di connessione a internet, o con connessione precaria, ma questo è un altro discorso che meriterebbe un articolo a sé
Si è trovata in difficoltà anche la famiglia con più figli, nella quale magari c’era un solo computer, da dividere forse anche con gli adulti in lavoro agile.
Ed ecco che ci si accorge improvvisamente di quella mancanza, nel corredo scolastico.
Non si tratta, purtroppo, di mancanza transitoria: anche volendo (e non crediamo sia desiderabile), non è più possibile tornare alla scuola “di prima”.
È ormai tempo di vedere il digitale non come un pericolo per la scuola, ma come una risorsa indispensabile. È ormai tempo di compilare con cognizione di causa quella riga “Competenza digitale”, presente ormai da anni nelle certificazioni delle competenze rilasciate in quinta primaria e alla fine del primo ciclo di istruzione. È urgente avvicinarci al livello medio di competenza digitale dei cittadini degli altri paesi europei e abbandonare quel terzultimo posto nell’indice DESI (Digital Economy and Society Index – fonte Commissione UE) relativo alle competenze.
Alla scuola e al Paese, soprattutto, non conviene ripartire esattamente come prima, come se niente fosse successo. Non possiamo permettercelo.
Il Manifesto per il tablet nello zaino
Già a maggio è nata l’idea del Manifesto. Un’idea semplice, quasi banale: trovare un posticino, nello zaino, nel corredo scolastico, anche per un dispositivo digitale mobile (tablet o notebook).
Colmare questa mancanza, far sì che il computer sia sì uno strumento usuale, non più “compensativo”, ma per tutti.
Usiamolo in classe normalmente, facciamolo utilizzare a casa.
Con le piattaforme cloud, è possibile estendere la scuola “oltre le mura”. Non sostituirla, perché tutti vogliamo fortemente rimanere nelle aule in cui siamo appena rientrati, ma integrarla e “continuarla”: all’aula fisica si affianca l’aula virtuale. La classe diventa “ibrida” e include anche gli alunni che, a causa di malattia, quarantena o altri problemi legati all’emergenza, non possono frequentare, senza escludere altre “emergenze” che potrebbero essere localizzate (quanti giorni si perdono, annualmente, per le varie allerte meteo, in molte regioni?) o individualizzate (quanti ragazzi e ragazze non frequentano la scuola per motivi di salute o, talvolta, psicologici?).
Soprattutto, lo sviluppo delle competenze digitali. Anche questa è un’emergenza, nel nostro Paese!
Attorno alla proposta del “Manifesto del Tablet nello zaino” si è sviluppato un dibattito, sui vari social.
Le critiche
Le principali critiche si focalizzano sulla mancata correlazione tra utilizzo del digitale e miglioramento degli apprendimenti. È evidente che nessuno strumento induce automaticamente competenze, altrimenti si potrebbe pensare che la penna e la matita (queste presenti da sempre, nello zaino), da sole, consentirebbero a qualsiasi bambino di imparare a scrivere correttamente.
È altrettanto ovvio il contrario, ovvero che è assai difficile imparare a scrivere senza maneggiare una penna o una matita! Di questi aspetti la scuola, giustamente, si occupa moltissimo e sa farlo bene, ormai, essendo praticamente stata fondata su di essi.
Non fa altrettanto per il digitale, che non sembra ancora essere stato incluso nel novero delle competenze degne di vera attenzione scolastica, con buona pace dell’ultima versione (2018) delle Competenze chiave per l’apprendimento permanente, nelle quali la competenza digitale è inserita a tutti gli effetti tra le competenze di base, accanto ai sempre validi “leggere, scrivere e far di conto”.
La realtà è che la scuola attuale ha finora tentato, per quanto riguarda il digitale, di far imparare a scrivere senza penna!
Un dispositivo individuale non fa la competenza, dunque, ma può fare la differenza per svilupparla.
Naturalmente, rimane aperta la questione della formazione dei docenti. Anche su questo versante, l’emergenza Covid-19 potrebbe avere insegnato qualcosa: poche settimane di “training on-the-job” sembrano avere avuto effetti positivi. Certo, rimane molto da fare, non solo sugli aspetti tecnici in senso stretto (che rimangono comunque fondamentali, per alcuni) ma sul rapporto tra tecnologia e didattica nell’ottica dello sviluppo di competenze. I riferimenti ci sono: DigComp e DigCompEdu sono ottimi framework sui quali dovrebbe essere basata un’ampia azione formativa.
Un’altra critica diffusa è relativa alla mercificazione della scuola. Qualcuno sostiene che in questo modo si finisca per consegnare la scuola alle multinazionali dell’informatica.
Il discorso qui si fa complesso e si potrebbe (e dovrebbe) certamente riflettere a lungo su “quale” digitale insegnare a scuola, ma è un tema ampiamente previsto anche dai framework di riferimento delle competenze digitali: la consapevolezza, il rispetto della privacy, in generale il tema dei diritti del cittadino in rete e l’apertura mentale con la quale approcciare l’uso dei dispositivi e delle applicazioni. Sono considerazioni che dovrebbero trovare spazio nel curricolo scolastico, al di là delle scelte organizzative delle scuole.
Utilizzare una piattaforma o indirizzare all’acquisto di un particolare device, non implica “vendere la scuola” ai fornitori, ma impegna gli adulti a riflettere loro stessi e a indurre continuamente analoga riflessione nei loro studenti sul significato di tale utilizzo, sulle implicazioni e sulla libera scelta che ogni individuo, alla fine, può effettuare, anche rispetto al mondo digitale. Si chiama, in sintesi, cittadinanza digitale!
Rimane il fatto, però, che senza dispositivo non si può davvero far sperimentare direttamente quasi nulla!
Sul “consegnare la scuola” a qualche mercato privato, ci permettiamo una considerazione finale, relativa nuovamente all’editoria. È evidente che anche questo è un mercato, a meno di voler considerare i libri come beni non economici e le case editrici come enti benefici senza scopo di lucro… Non si intende con ciò sostenere che non si debbano più utilizzare i libri di testo! Non sembra né giusto né utile sostituire una mancanza con un’altra. Ma fare un po’ di posto ad un tablet nello zaino, per affiancare ai libri o addirittura contenerli), però, è necessario.
Infine, c’è la questione principale: come finanziare l’acquisto da parte delle famiglie di questo altro componente del corredo scolastico? Non è facile immaginare che, soprattutto in tempi come quelli attuali, caratterizzati anche da una forte crisi economica a seguito dell’emergenza sanitaria, si possa chiedere a famiglie già in difficoltà di aumentare il budget per la scuola. Per questo motivo, oltre a misure “locali” che potrebbero far leva sul ricorso a libri di testo digitali o ad adozioni alternative, con il Manifesto abbiamo lanciato una campagna diretta al Governo per l’istituzione di un “bonus tablet” (tablet è solo un modo di dire, ovviamente anche notebook o PC) per la famiglie con figli in età scolare.
Finalmente, questa opportunità è ora realtà: dai primi di ottobre le famiglie meno abbienti potranno richiedere il bonus per l’acquisto di dispositivi digitali e per la connettività. La misura è tuttavia rivolta all’intera platea dei cittadini e non prevede una priorità per famiglie con figli di età scolare. Non resta che sperare che l’ammontare dei fondi sia sufficiente per accogliere tutte le richieste e che le procedure per ottenere il beneficio siano rapide e alla portata di tutti.