digital literacy

Una Scuola nuova contro l’analfabetismo funzionale: ecco come

Sapere leggere e capire, pensare e scrivere è necessario, ma non è più sufficiente: gli individui devono diventare digital literate, per vivere in una società digitale. Perciò non è pensabile tornare alla vecchia scuola, ma ci vuole una scuola nuova, completamente diversa. Il ruolo della politica e degli intellettuali

Pubblicato il 02 Ott 2019

Vittorio Midoro

già dirigente di ricerca CNR presso l'Istituto Tecnologie Didattiche

digital education school learninng

Gli analfabeti funzionali in Italia sono tanti, troppi. Eppure, l’italiano è una delle lingue più facili da scrivere e da leggere, quindi rispetto agli altri paesi, per esempio al Giappone, dovremmo essere avvantaggiati, ma in Giappone gli analfabeti funzionali sono pochissimi, da noi tantissimi. Perché siamo in una situazione così arretrata?

Prima di addentrarci nella nostra riflessione sulle cause di questo fenomeno, gli effetti, le possibili soluzioni e sul ruolo della scuola, facciamo una doverosa premessa: saper leggere e scrivere non sono abilità svilite dall’avvento delle tecnologie digitali, di cui i ragazzi fanno largo uso. Non è per il digitale che i ragazzi sono illetterati e che la funzione degli scritti viene meno.

Numeri e cause dell’analfabetismo funzionale

Nel 2019, in Italia, un ragazzo su 3 legge un comune testo in italiano e non capisce, e così anche un adulto su 2. Lo certificano i test nazionali e le indagini internazionali (pagina 180).

Ma che cosa vuol dire leggere e non capire? Può capitare a tutti di leggere fluentemente un testo e non capire nulla, come ad esempio il famoso discorso di Petrolini:

“se l’ipotiposi del sentimento personale, prostergando i prolegomeni della mia subcoscienza, fosse capace di reintegrare il proprio subiettivismo alla genesi delle concomitanze, allora io rappresenterei l’autofrasi della sintomatica contemporanea che non sarebbe altro che la trasmificazione esopolomaniaca”.

Per alcuni leggere vuol dire, appunto, trasformare correttamente e fluentemente segni in suoni, senza necessariamente comprendere quello che è stato letto. Negli ultimi 150 anni la scuola ha raggiunto questo scopo, come mostra la decrescita degli analfabeti nella società italiana.

Ma oggi ciò non basta più. Per vivere in una società delle lettere bisogna anche comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere dai testi che si leggono, e ciò per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità. Chi non lo sa fare è detto analfabeta funzionale.

Secondo me le cause sono molteplici e tra loro interconnesse a cominciare dal basso livello culturale della società italiana e non solo per quanto riguarda l’analfabetismo funzionale, ma anche per il modesto grado di istruzione della popolazione dai 6 anni in su, come mostrato dal grafico elaborato sulla base dei dati del censimento del 2011.

A ciò si aggiunge una scarsa propensione alla lettura come mostra un’indagine su coloro che hanno letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi prima dell’indagine.

Riguardo alle capacità di lettura, il basso livello culturale della popolazione è quindi causa ed effetto della situazione italiana.

Analfabetismo funzionale: quanto conta il contesto familiare

Se un bambino vive in una famiglia dove i genitori sono analfabeti funzionali, con basso titolo di studio e non leggono nemmeno un libro all’anno, ci sono poche possibilità che entrando a scuola abbia i prerequisiti necessari per iniziare un percorso di apprendimento della lettura. Non ha un vocabolario adeguato, non è abituato a usare il linguaggio per conversare, non distingue chiaramente i suoni della lingua italiana, non è abituato alla narrazione, insomma è un bambino vissuto in un ambiente sfavorevole alla creazione dei presupposti per la lettura.

All’ingresso della scuola si dà per scontato che tutti i bambini siano alla pari per iniziare ad apprendere lettura e scrittura. Non è così, alcuni non sono proprio in grado di leggere, come i bambini dislessici (3-4%), altri provengono da famiglie povere o deprivate culturalmente, altri ancora, pur provenendo da famiglie borghesi, per motivi diversi non hanno acquisito i prerequisiti necessari. Questa situazione spiega l’alto grado di abbandono scolastico negli anni successivi.

Alcuni progetti, come “Nati per leggere” cercano di aiutare i bambini ad ascoltare narrazioni tramite la lettura di libri da parte degli adulti, coinvolgendo anche i genitori, ma sono situazioni di nicchia.

L’inerzia della politica

Ci vorrebbero politiche per permettere a tutti i bambini di cominciare il percorso scolastico senza handicap di partenza. È da notare che ciò è essenziale se si vuole passare dalla scuola gentiliana per pochi alla scuola democratica per tutti. E qui veniamo ad un’altra causa del mediocre livello culturale degli italiani: i Governi che si sono succeduti dalla metà del novecento in poi non hanno saputo/voluto gestire il necessario passaggio da una scuola di élite a una scuola di massa di qualità e hanno varato riforme parziali nel tentativo di usare per tutti un impianto scolastico pensato per pochi, come a volere trasformare un albergo di lusso in una colonia estiva comunale, aggiungendo letti a castello e sale mensa, senza riformare radicalmente struttura e organizzazione.

A questo proposito vorrei condividere una mia idea sul modo di imparare a leggere. Nella prassi scolastica, l’apprendimento della lettura è sempre legato all’apprendimento della scrittura manuale, si insegna a leggere mentre si insegna a scrivere, si parla perciò di lettoscrittura. Ciò ha funzionato abbastanza bene nella scuola d’élite, in cui erano selezionati i bambini bravi (pochi), che continuavano gli studi, da quelli che non li proseguivano e andavano a lavorare (molti). In una scuola di qualità e di massa è necessario diminuire le difficoltà di apprendimento (non l’apprendimento!) e quindi secondo me sarebbe opportuno insegnare la lettura indipendentemente dalla scrittura, che potrebbe essere appresa in un secondo tempo. In questo modo le difficoltà legate alla lettura sono disgiunte da quelle legate alla scrittura.

L’obiettivo della scuola dovrebbe essere formare lettori appassionati e non solo decodificatori di segni o analfabeti funzionali. A tale scopo è necessaria una metodologia diversa da quella oggi adottata nelle scuole, una metodologia che tenga conto delle ricerche più recenti nei settori delle neuroscienze, delle teorie dell’apprendimento e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ed a questo sto lavorando. Più in generale è necessaria una scuola diversa, di cui ho discusso in precedenti contributi.

Alcuni esempi del digitale per la scuola

Come abbiamo già anticipato, non è il digitale la causa del diffuso analfabetismo funzionale. Il fatto è che la cultura, basata tradizionalmente soprattutto sugli scritti, oggi deve tenere conto dei nuovi contenitori della conoscenza, gli oggetti digitali, che includono anche gli scritti. La comunicazione è arricchita dal digitale che la rende multimediale, interattiva, ramificata e sociale.

È più motivante ascoltare “L’infinito” di Leopardi letto da Carmelo Bene o da un qualunque professore, magari con inflessioni dialettali? Come le lezioni e le discussioni di storia di Barbero e gli archivi storici online possono essere usati per far discutere i ragazzi sull’impresa di Garibaldi? Il Dante di Benigni può motivare i ragazzi alla lettura della divina Commedia? E la grande musica, disponibile su Spotify e Youtube, può avere un ruolo nella formazione dei ragazzi? E i film in rete possono essere usati, per esempio, per far comprendere che cos’è la poesia? E le lezioni disponibili gratuitamente nei MOOC (Massive Online Open Courses) possono essere integrate nei curricula? E le lezioni della Khan Academy possono essere utili agli studenti? E ancora, che ruolo possono avere nello sviluppo delle abilità di lettura e scrittura i sistemi (gratuiti) di text to speech, che leggono qualunque testo, aiutando chi ha difficoltà di lettura, o i word processor, o i sistemi di speech to text, tu parli e il computer trascrive le tue parole? Come cambia l’apprendimento della geografia con Google Earth, o con il sito della CIA che fornisce dati di tutti i paesi del mondo aggiornati all’anno corrente? E come possono essere usate a scuola le lezioni di fisica disponibili in rete? E nell’apprendimento dell’inglese come può essere usato Skype e WhatsApp per far colloquiare sistematicamente studenti inglesi e studenti italiani, e i traduttori automatici e i filmati della BBC? Potrei continuare a lungo nel descrivere gli infiniti modi di usare le tecnologie digitali nell’apprendimento. Si tratta di andare avanti e non di rimpiangere la scuola d’élite con cattedre sopraelevate (Galli Della Loggia), lezioni cattedratiche (Recalcati) e bacchettate sulle mani (Pennacchi, premio Strega 2010).

Una scuola nuova per una nuova società

In questo scenario, sapere leggere e capire, pensare e scrivere è necessario, ma non è più sufficiente, gli individui devono diventare digital literate, per vivere in una società digitale.

Il digitale ha indotto nuovi paradigmi che rivoluzionano il modo in cui la conoscenza viene prodotta, immagazzinata e condivisa, e in particolare ha messo in crisi i paradigmi legati alla cultura scritta. I ragazzi sono in mezzo al guado, non riconoscono più l’egemonia della cultura scritta, non sanno ancora sfruttare le potenzialità della rivoluzione digitale.

Per tutte queste ragioni non è pensabile tornare alla vecchia scuola, ma ci vuole una scuola nuova, completamente diversa da quella che abbiamo conosciuto. E per crearla non basta intervenire su un solo aspetto (i programmi, i contenuti, i modi di apprendere, gli edifici, le dotazioni, l’organizzazione, i docenti o le tecnologie) ma bisogna elaborare una visione che, a partire dalla riconsiderazione delle finalità (a che cosa deve servire la scuola oggi), consideri contemporaneamente tutti questi aspetti, in modo olistico o sistemico.

Compito degli intellettuali non è solo fotografare la situazione disastrosa della scuola e della società, ma rimboccarsi le maniche e contribuire all’elaborazione di un’idea di scuola nuova per una società nuova, una scuola che sappia formare individui capaci di vivere con soddisfazione il proprio ambiente di vita, migliorandolo.

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