FORMAZIONE DOCENTI

Uso delle tecnologie a scuola, come superare le resistenze con il modello SAMR

Cosa frena molti insegnanti nell’uso del digitale nella didattica, ancora, nonostante i corsi di formazione previsti, o forse proprio per colpa dei corsi? I motivi, ovviamente sono molteplici e due, molto significativi, sono legati tra loro: la bravura dei formatori e il modello SAMR. Ecco dei suggerimenti per intervenire

Pubblicato il 20 Mar 2023

Maria Cristina Bevilacqua

Ambasciatrce eTwinning. Aggiornatrice-Formatrice.Traduttrice della Padagogy Wheel

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Questo articolo nasce da alcune considerazioni a margine di una serie di corsi sulla progettazione di percorsi STEAM multidisciplinari, tenuti per diversi Poli STEAM d’Italia. Durante gli incontri finali, in cui i corsisti restituiscono al feedback del gruppo i loro lavori di progettazione, per implementarli e migliorarli, una delle domande ricorrenti è: perché, a frequentare l’aggiornamento, nella mia scuola, sono sempre le stesse persone?

La riflessione che ne è scaturita, del tutto personale e opinabile, vuole ricondurre ad un aspetto della progettazione didattica, di cui mi occupo da tempo, la risposta a questo quesito, che mi sento fare come formatrice da quasi quarant’anni.

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Due domande preliminari

C’è ancora bisogno di formazione?

Da anni ormai il Ministero dell’Istruzione, e ora del Merito, propone agli insegnanti formazione gratuita, sulle tematiche più attuali, necessarie per poter affrontare le sfide pedagogiche che gli studenti ci lanciano ogni giorno: solo per restare agli ultimi anni, l’esperienza itinerante dei Teachers Matters di Futura a sostegno dell’attuazione del Piano Nazionale Scuola Digitale, raggiungendo i docenti nelle regioni di appartenenza, attraverso laboratori, seminari, workshop in presenza in alcune delle più iconiche città d’Italia, ha sparso i semi di un progetto formativo molto più ampio ed articolato, indirizzato a tutto il personale scolastico, che si è concretizzato con la nascita della piattaforma Scuola Futura, a supporto del Piano Scuola 4.0.

Risulta praticamente impossibile non trovare, tra le centinaia di proposte formative di Scuola Futura, quella adatta alle esigenze di ciascuno, sia a livello di tematiche che di tempistica e di modalità di attuazione – on line, in presenza, blended, intensivi, diacronici e così via. Purché sia abbia voglia di trovarla. E di aggiornarsi.

Già le singole scuole, i Poli Formativi di Ambito, i Future Labs avevano proposto una formazione varia e articolata, che consentiva agli insegnanti ciò che per una professione connotata fortemente in senso culturale dovrebbe essere scontato, e cioè la necessità di formarsi spesso e su diversi aspetti del “mestiere”: disciplinari, metodologici, metacognitivi, trasversali, inclusivi.

Anche il Bonus docenti per tanti anni ha consentito sia l’acquisto di devices che di libri e corsi di aggiornamento o di formazione universitaria.

Il Piano Scuola 4.0, appena partito, mette in campo ingenti risorse finanziarie per creare aule innovative e laboratori per le professioni del futuro, per colmare i divari e cambiare, strutturalmente e concettualmente, una scuola che non può non adeguarsi ad un mondo in continua evoluzione e che pretende un aggiornamento continuo di saperi e competenze soprattutto di chi, in questa scuola rinnovata, dovrà operare

Eppure… eppure continuano a permanere, tra i docenti, sacche di resistenza all’uso del digitale come supporto ad una didattica coinvolgente, efficace, interattiva e non solo trasmissiva. E alcune delle scuse accampate per questa resistenza sono: non mi sento preparato, non sono formato, non sono capace, è lontano dal mio modo di insegnare.

Sia chiaro, il problema non si risolverebbe, come suggeriscono alcuni, con l’obbligatorietà o meno della formazione: già diverse volte il Ministero ha provato a rendere obbligatorio l’aggiornamento, perfino legandolo alla possibilità di progressione economica di carriera, con risultati non sempre esaltanti. A volte, anzi, la necessità di “conseguire punti” ha portato ad un tale svilimento del livello qualitativo dell’offerta formativa che alcune iniziative che si sono rivelate improvvisate, raffazzonate, superficiali. Queste hanno forse contribuito a rafforzare l’avversione di molti insegnanti meno giovani, che hanno vissuto quel periodo di formazione, nei confronti dell’aggiornamento in generale, considerato una perdita di tempo, un mero adempimento burocratico, un’inutile rassegna di teorie senza reale ricaduta sulla prassi quotidiana.

Ma ora, grazie a Scuola Futura, l’offerta formativa è talmente vasta, diversificata, quasi individualizzata che non ci sarebbero più scuse per non formarsi. Il problema, allora, forse, è che la formazione è, comunque, sul digitale: sull’uso degli strumenti, sulle metodologie, sull’inclusione favorita dalle nuove tecnologie, ma il digitale sta sempre lì, e ci costringe a misurarci con noi stessi, con la nostra formazione pregressa, con le nostre attitudini, con le nostre inclinazioni, con le nostre carenze e i nostri pregiudizi. Con l’idea che ci siano Umanisti e Scienziati, nonostante l’approccio STEAM tenti proprio di superare questo dualismo e Sir Ken Robinson ci abbia spiegato che è…un mito!

Il digitale è proprio necessario?

“Spero che l’uso del digitale a scuola non diventi obbligatorio prima che io vada in pensione!” mi ha detto una collega, più giovane di me, che vede questa Scuola 4.0 come una spada di Damocle che stravolgerà la sua professione, costringendola a misurarsi con strumenti che vede ostili e per i quali si sente inadeguata.

Perché la nostra è la generazione del “Manuale”: qualsiasi cosa compriamo, dalla lavatrice al cellulare, la prima cosa che facciamo è leggere il manuale di istruzioni. E rimaniamo male quando ci accorgiamo che non c’è. Ci ostiniamo a proporre ai nostri alunni quelle due, tre app che abbiamo faticosamente imparato ad usare perché sono quelle che conosciamo, e per tutti gli anni in cui ci sono affidati, ci sentiamo sicuri a farli lavorare con quelle. Perché noi le conosciamo. Perché NOI le sappiamo usare.

Non abbiamo capito che sono loro, i nostri alunni, che devono usarle, e, anzi, sperimentarle, perché il pensiero critico con cui riempiamo sempre le nostre progettazioni didattiche, si sviluppa anche utilizzando una app che non conosciamo e che ci consente di confrontarci con i nostri compagni sul loro utilizzo, sulle difficoltà riscontrate, sulla sua efficacia o meno per completare il compito, in uno scambio collaborativo che fa crescere tutti. Non abbiamo capito che i nostri alunni non leggono i manuali: loro usano, provano, sperimentano, direttamente. Ed è questo ciò in cui ci superano, in cui sono avanti a noi, perché si mettono in gioco, senza paura di sbagliare, senza sentirsi sminuiti di fronte alla novità, che, anzi, li stimola e li attrae. Sappiamo benissimo che l’errore è un gradino necessario sulla scala della crescita, perché fa riflettere, perché mi fa scoprire le mie carenze e ciò di cui ho veramente bisogno per continuare, perché è fonte creativa, nel momento in cui stimola a trovare altre soluzioni.

Ma cosa veramente frena molti insegnanti nell’uso del digitale nella didattica, ancora, nonostante i corsi, o forse proprio per colpa dei corsi?

I motivi, ovviamente sono molteplici, ma mi concentrerò in particolare su due che, vedremo, essere in realtà legati tra loro: la bravura dei formatori e il modello SAMR.

 Cosa frena molti insegnanti nell’uso del digitale nella didattica

La bravura dei formatori

“Non ci riuscirò mai!” È successo anche a me. Seguendo uno dei tanti corsi-tutorial per imparare ad usare una App particolarmente in voga (vengo pur sempre dall’epoca del manuale!): lo smarrimento, lo sconforto che prende davanti allo schermo e a quel collega che ti dice: “clicca qui…apri qui…scorri giù…apri il menu…scegli l’opzione…cambia il frame…” con una naturalezza e una velocità tale che ti chiedi se quel pomeriggio non avessi altro di più gratificante e meno umiliante da fare, che scoprire che tu non ci riuscirai mai! E se certi corsi scoraggiano me, che pure non sono proprio a zero sul digitale, si può immaginare che rinforzo negativo possano costituire per quei colleghi “digiuni”, che hanno provato a mettersi in gioco, hanno tentato di imparare, per convincersi ancora una volta, sempre più, che no, assolutamente no, la tecnologia non fa per loro.

Il modello SAMR. Si tratta solo di sostituzione?

Questa foto di Autore sconosciuto è concesso in licenza CC BY

In un mio precedente articolo, ho spiegato come il modello , sviluppato di Ruben Puentedura, sia basato sul compito da eseguire. In pratica, l’acronimo in cui S sta per sostituzione, A per Aumento, M per Modifica e R per ridefinizione pone il problema di quanto la tecnologia cambi il compito che dobbiamo eseguire, partendo da un cambiamento senza funzionali miglioramenti per arrivare ad una completa ridefinizione, in compiti che sarebbe impossibile eseguire senza le tecnologie – si pensi alla realtà virtuale o alla realtà aumentata.

Perché molti insegnanti siano restii ad utilizzare la tecnologia, per tutti coloro che invece sono favorevoli all’uso del digitale, resta un mistero. E con l’espressione tecnologie didattiche, ovviamente, non intendiamo solo l’uso di App, ma anche di device, quale, ad esempio, un lettore di e-book al posto di un libro cartaceo. Ma quale potrebbe essere una delle ragioni?

Si può dire che molti degli insegnanti che sono poco propensi ad utilizzare le tecnologie, in realtà si sono fermati al primo step del modello SAMR: nel Sostituire una tecnologia analogica quale carta e penna, con una digitale, ad esempio un tablet, o una lavagna di ardesia con una interattiva per eseguire lo stesso compito (scrivere), giungono alla conclusione che la “vecchia” tecnologia, a cui sono più abituati, che padroneggiano meglio, e che ha un solo modo o limitati modi di essere utilizzata, sia per loro più efficace, tanto da convincerli ad abbandonare il digitale dopo averlo usato poco e senza sfruttare più a fondo le sue potenzialità. Magari hanno anche frequentato qualche corso, che però è stato poco motivante, o poco chiaro, che, insomma, non li ha convinti abbastanza, forse anche a causa di qualche pregiudizio o preconcetto di fondo. Spesso anche il fermarsi al solo uso strumentale delle tecnologie, senza legarle agli obiettivi cognitivi, senza quindi inquadrarle in un più ampio progetto metodologico- didattico, può far considerare il digitale un inutile orpello, o una moda senza anima.

Così come si può dire che i tecno-entusiasti siano coloro che sfruttano la possibilità di Ridefinizione -la R del modello SAMR- del compito grazie alle tecnologie, con prodotti che senza le tecnologie sarebbero inconcepibili. Ecco allora che, secondo questa ottica, formazione e considerazione del compito si uniscono: tanto più gli insegnanti credono che la tecnologia possa far scoprire agli alunni mondi inesplorati, per la sua capacità di annientare tempo e spazio, tanto più essi saranno portati a formarsi per acquisire nuove conoscenze e competenze da sfruttare nella didattica.

Tra la S e la M del Modello SAMR c’è tutta una serie di tipologie di insegnanti che si impegnano per adeguarsi agli studenti che sono cambiati, ad una scuola che vuole e deve cambiare. La sfida verso la vera innovazione, però, deve essere sistemica e coinvolgere tutti, e sarà data dalla reale e concreta centralità dell’alunno nel processo di apprendimento. Ma anche dal passaggio di quegli insegnanti della S alle lettere M e R, che sarà possibile solo grazie al contagio positivo di colleghi trasformativi, capaci di aiutarli a superare i loro preconcetti e pregiudizi, e a cogliere le potenzialità infinite del digitale a scuola.

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