Come confermano le continue querelle legate all’approvvigionamento dei vaccini nell’Unione europea, il settore farmaceutico e delle biotecnologie è strategico nella competizione geopolitica globale. Ed è un dato di fatto che l’Europa, soprattutto dopo la Brexit, abbia una capacità competitiva molto bassa nello scacchiere mondiale. All’interno di questo quadro, poi, l’Italia si rivela un forte mercato di consumo, ma con investimenti in ricerca e sviluppo bassissimi, cosa che ci fa capire che dal punto di vista della competizione globale l’Italia è totalmente marginale.
La colpa di questo stato di cose è da attribuire a una scarsa lungimiranza nel conferimento degli investimenti pubblici. La lezione della pandemia potrebbe finalmente convincere i decisori a cambiare strategia per consentire all’Italia di rendersi indipendente dai Paesi produttori di farmaci e brevetti e di creare ricchezza e innovazione grazie a un settore cruciale.
Facciamo il punto.
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La centralità del settore farmaceutico
Il settore farmaceutico ha avuto una forte rilevanza mediatica nell’ultimo periodo per la corsa a un vaccino contro il Covid che è stato realizzato in tempi record da numerose imprese. Tuttavia, anche se meno esposto mediaticamente anche negli anni scorsi questo è un settore strategico e caratterizzato da una competizione di tipo monopolistico dovuta alla presenza di grosse imprese che governano il mercato e alla necessità di grossi investimenti, sia per sviluppare nuovi farmaci, sia per produrre e distribuire le grandi quantità di alcune molecole che sono richiesta dal mercato globale. I numeri di questo settore industriale spiegano alcune delle sue peculiarità. Nella sola Europa nel 2018 il mercato farmaceutico valeva 260 miliardi di euro (questo dato includeva le imprese del Regno Unito che contribuivano per circa il 50% al fatturato europeo).
A seguito della Brexit la capacità dell’Europa di essere presente con posizioni di forza in questo mercato si è affievolita e di conseguenza il già ampio divario con gli Stati Uniti si è ancora di più allargato. Se guardiamo, poi, i dati Eurostat relativi agli investimenti in ricerca e sviluppo è la Germania con il 19,6% del totale e la Svizzera con il 17,3% del totale ad avere la posizione preminente. Il Regno Unito le segue a ruota con il 15,0%, mentre la Francia si attesta al 12,6%. Con volumi di spesa nettamente più bassi troviamo l’Italia con il 4,3% del totale. Se, invece, andiamo a guardare al fatturato in Europa troviamo che la Svizzera ha il valore più elevato e pari a 45miliardi di euro, seguita dall’Italia con 31,2 miliardi che precede a sua volta la Germania con 30,5 miliardi e la Francia e il Regno Unito rispettivamente con 21,9 e 20,6 miliardi di Euro.
Le prime cinque società farmaceutiche a livello globale
A livello globale le cinque società farmaceutiche più grandi per valore sono oggi:
- Johnson & Johnson (418 miliardi di dollari) (USA)
- Roche Holding (283 miliardi di dollari) (Svizzera)
- Pfizer (195 miliardi di dollari) (USA)
- Merck & Co. (189 miliardi di dollari) (USA)
- Novartis (189 miliardi di dollari) (Svizzera)
Non si può non notare che il valore della prima di queste imprese è superiore al PIL della Nigeria che è il paese più popoloso dell’Africa con quasi 200 milioni di abitanti.
Questi dati sono fondamentali perché ci fanno comprendere meglio ciò che sta succedendo oggi in relazione ai vaccini alla loro distribuzione e ci danno anche delle indicazioni su quale può essere l’evoluzione futura della competizione all’interno di questo settore.
Farmaci: chi li consuma e chi li produce
Per completare il quadro occorre aggiungere alcune considerazioni sulle peculiarità di questo mercato che presenta sia dei contesti in cui sono gli Stati ad acquistare la maggior parte dei farmaci che entrano a tutti gli effetti come componente di costo all’interno del sistema sanitario nazionale (l’Italia appartiene a questo gruppo di paesi), sia dei contesti in cui sono i consumatori finali coloro che pagano i farmaci (ad esempio gli Stati Uniti).
È chiaro che è il secondo gruppo di paesi a pagare un prezzo più elevato per i farmaci, anche se i più alti consumi si verificano nel primo gruppo. Va messa anche in evidenza la circostanza che oggi anche i più grandi produttori mondiali dipendono molto dalle materie prime prodotte dai paesi emergenti (con la Cina in testa) e che Cina, Russia e India sono dei paesi che stanno investendo fortemente per creare un settore farmaceutico nazionale che beneficia di un grande mercato nazionale di sbocco, (questi tre paesi insieme, considerando anche i loro paesi satellite, fanno quasi il 50% della popolazione mondiale), che beneficia anche della grande disponibilità di materie prime e che, nel caso di Cina e Russia, è controllato e spinto direttamente dall’azione dello Stato.
Queste considerazioni ci fanno comprendere la grande difficoltà a competere in un settore così complesso, soprattutto se non si hanno le spalle larghe.
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Il problema dell’approvvigionamento
Alla luce di quanto detto appare più chiaro che il problema di approvvigionamento dei vaccini che sta avendo l’Europa comunitaria è legato al fatto che sostanzialmente è tagliata fuori dalle scelte decisionali delle grandi imprese produttrici che hanno mercati domestici concentrati in paesi extra UE e che di conseguenza devono necessariamente privilegiare le forniture a quei paesi (i casi AstraZeneca e Pfizer sono emblematici in questo senso). Nel lungo periodo questa sostanziale debolezza dell’UE nel settore farmaceutico può costituire un grosso tallone d’Achille strategico nella competizione geopolitica, perché tutto un continente viene a dipendere, in un settore strategico come quello della salute, dalle forniture di materie prime di paesi emergenti come la Cina (che ha dimostrato di volere utilizzare il settore dei farmaci e i vaccini per allargare la sua sfera di influenza geopolitica) e, in relazione alla disponibilità dei farmaci, dalle decisioni di grandi imprese che però hanno un legame forte con i governi di paesi extra UE che ne influenzano le decisioni.
Il tentativo di Mario Draghi e della Commissione europea di bloccare le esportazioni di prodotti farmaceutici e di vaccini lavorati all’interno dell’UE è un tentativo di inserirsi in questo scenario competitivo con una certa forza di condizionamento, ma solo le prossime settimane potranno rendere evidente se il rilancio fatto da Draghi e dall’Ue è stato vincente o, piuttosto, si è rivelato un bluff mal riuscito.
Il sostegno che manca al biotech
Nel medio e lungo periodo però l’Italia in particolare, ma lo stesso ragionamento può essere esteso all’Ue, ha un solo modo per superare questa situazione di svantaggio ed è quello di sostenere le imprese biotech innovative che stanno sempre più popolando l’ecosistema delle imprese italiano, anche se ancora a macchia di leopardo e che se valorizzate possono trasformare l’Italia in un paese produttore di brevetti innovativi. Il ruolo dello Stato è in questo senso fondamentale perché gli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore biotech sono rilevanti e sono spesso al di fuori della portata delle piccole imprese innovative. Occorre considerare il settore biotech come un settore strategico e veicolare grandi investimenti pubblici per la ricerca e lo sviluppo di farmaci innovativi.
Moderna, che è una piccola impresa innovativa nel complesso settore del biotech, ha avuto finanziamenti per miliardi di dollari per sviluppare un vaccino contro il Covid.
Questo è stato un investimento di successo su tutti i fronti!
In primo luogo, perché il vaccino è stato sviluppato in tempi brevi, in secondo luogo perché questo ha consentito una prelazione delle dosi per il mercato americano e, infine, perché ha costituito la base per la creazione di grandi profitti con la commercializzazione del vaccino. Stessa lungimiranza non ha avuto il governo italiano con Reithera, società legata allo Spallanzani, che solo nei primi mesi del 2021 ha avuto 40 milioni di euro per sostenere la sperimentazione di un vaccino che da luglio prossimo potrebbe garantire l’indipendenza vaccinale all’Italia. Se lo Stato fosse intervenuto investendo pesantemente su Reithera nei primi mesi del 2020 oggi probabilmente saremmo molto più vicini all’indipendenza vaccinale. La lezione che quindi dovremmo imparare è che il settore farmaceutico e biotech è strategico per un paese avanzato e per colmare il gap con gli altri paesi occorre creare un ecosistema di biotech innovative che facciano ricerca e producano farmaci innovativi. Il possesso di questi brevetti innovativi sarà l’elemento che permetterà al sistema Italia di sedersi da protagonista nel mercato farmaceutico e delle biotech a livello mondiale.
Se questo non accadrà rimarremo un mercato di mero consumo dei farmaci, con imprese che producono per lo più per conto e/o su brevetti di case farmaceutiche straniere, creando poca ricchezza e poco valore per il sistema Italia e condannandolo alla dipendenza dalle decisioni dei grandi colossi mondiali del settore.