È l’intero processo di insegnamento, e non solo il risultato finale ottenuto dallo studente, il target di una didattica future proof nella scuola digitale. Le nuove tecnologie possono venire incontro alle esigenze di un sistema educativo al passo con i tempi.
Abbandonare il “comfort” del voto
I dati sono il perno di questo nuovo mondo. Raccogliere dati sul processo di apprendimento è del resto compito del docente. Raccoglierne sul processo di apprendimento e organizzarli per dedurre informazioni su come si stanno sviluppando abilità e competenze degli studenti e allo stesso tempo avere informazioni sul proprio insegnamento è sempre compito del docente. Raccogliere dati, elaborare informazioni e accertarsi dei processi attivati, trasformando certi risultati in feedback utile per migliorare gli apprendimenti e l’insegnamento è compito sia del docente sia dello studente.
Questo processo (e lo scrivono da almeno un decennio neuroscienziati, pedagogisti, psicologi e studiosi a vario titolo) è indispensabile per individuare le misconception, le ragioni delle difficoltà di alcuni studenti e dare alla valutazione quel valore diagnostico che dovrebbe sempre conservare come nucleo centrale. I dati raccolti potrebbero non raccontare nulla dell’apprendimento, se il docente (e lo studente) non li riorganizzassero per comporre un profilo, incrementando informazioni e dando loro una posizione nel percorso fatto, come se si unissero i puntini e comparisse all’improvviso una figura chiara e inequivocabile.
In fondo, l’idea di avere un numero (il voto) per restituire un’informazione su ciò che lo studente ha imparato sembra così oggettiva e rassicurante. Gli amanti delle medie matematiche, del quattro meno meno e della bocciatura su questa base guardano i praticanti della valutazione con valore formativo ed educativo come se fossero degli scansafatiche, che non hanno voglia di correggere i compiti e fare lo sforzo di contare gli errori, sommarli e detrarli da un totale, un po’ come si contano le monetine nel portafogli quando dobbiamo pagare qualcosa.
Ripartire dal ruolo dell’insegnante
Eppure quel numero preciso e definitivo, che l’apprendente si trova scritto in rosso in coda al foglio del test non dice molto su ciò che ha appreso e non dice quasi nulla su come lo ha appreso. Che cosa sappiamo del processo che ha portato uno studente ad arrivare alla costruzione di un certo prodotto, al risultato di un problema, alla formulazione di un’ipotesi o alla stesura di una relazione? Che cosa ci dicono i suoi errori e ciò che invece manca e ci sarebbe potuto essere nella sua performance?
Nessuna informazione sul ragionamento o sul processo mentale o sulle inferenze svolte ci viene comunicato da alcune tipologie di test e anche di valutazione. Perfino una risposta sbagliata potrebbe provenire da un ragionamento sensato. La conoscenza del processo che ha portato alla fine viene nascosta da una valutazione con valore puramente sommativo, mentre se divenisse il cuore di tutte le procedure e le scelte valutative consentirebbe non solo di recuperare un fraintendimento o ripetere una strategia vincente, ma anche di accedere a livelli più avanzati di conoscenza, per raggiungere traguardi più sfidanti di apprendimento.
Per ripensare la valutazione, nel tentativo di elaborare modelli e cominciare a costruire nuove pratiche che facciano la differenza nella scuola di oggi e di domani, sarebbe importante ripartire dal ruolo dell’insegnante, vittima di tanti fraintendimenti. L’insegnante non è colui che è chiamato a lasciare un segno dentro qualcun altro, è colui che è chiamato a “indicare un segno”: e per questo non può che essere anche un educatore, non solo un istruttore.
La lezione degli anni ’60 e ’70
Già negli anni Sessanta e Settanta le procedure della Valutazione attingono non più (o non tanto) alla Psicometria, bensì a quella che era la sociologia dell’educazione, all’etnografia ed alla psicologia della personalità, adottando un approccio “qualitativo” e indagando l’intreccio del condizionamento ambientale – non solo esterno, ma anche interno alla stessa scuola – sulle caratteristiche individuali degli alunni.
I voti numerici già allora non apparvero più in grado di rendere visibili queste dimensioni della valutazione; si sperimentarono altre forme di raccolta dei dati, come le autobiografie narrative, i portfolio (come strumento per una rilevazione longitudinale dei processi di apprendimento, da utilizzare all’interno della classe come supporto alla didattica quotidiana), i diari del docente e dello studente.
Un altro passaggio significativo potrebbe essere provare ad uscire dal paradigma causalista, che ritiene di poter conoscere l’insegnamento solo attraverso gli effetti che si possono ritrovare presso l’apprendimento. Aiuterebbe a far riflettere su quanto sia importante raccogliere dati anche sull’insegnamento, tentando di spostare l’oggetto di studio della valutazione e della ricerca pedagogica “dall’apprendimento all’insegnamento”. Il cambiamento prospettico consentirebbe di recuperare quegli aspetti che non rientrano nel novero di quelli che si possono cercare fra le prestazioni di apprendimento, tantomeno negli aspetti misurabili, e che però fanno parte intrinseca della validità dell’insegnamento: la responsabilità, l’affidabilità, la lealtà, il coraggio, lo spirito critico e anche la trasgressione dell’innovazione.
Ci sono azioni educative importanti, come la cortesia, il rispetto per chi non riesce a centrare l’obiettivo, l’empatia che non trovano alcun corrispettivo di risultato, ma che sono valide anche se fini a se stesse. La valutazione dell’insegnamento è sollecitata a cambiare lo “sguardo”, un orientamento descrittivo e interpretativo, in modo da cogliere l’insegnamento dal punto di vista dell’operatore, nelle effettuali condizioni d’esercizio.
Valutazioni che puntano al processo
La revisione critica delle modalità di valutazione, fondate prevalentemente sul testing, è già passata: siamo nel 2020 e quella fase è partita alla fine degli anni’ 90, con la valutazione autentica. Allora si proponeva una valorizzazione di pratiche valutative più attente ai processi e non limitate al rilevamento dei prodotti, tipico della valutazione presuntuosamente “oggettiva”.
Nella doppia direzione di valutare insegnamento e apprendimento, monitorando anche i processi, le tecnologie digitali possono fornire un supporto: piattaforme, app e strumenti online autonomi o integrati, consentono interazione e commenti sotto forma di scrittura o di file audio o di video o di immagini, sincroni o asincroni. Il feedback così concepito fornisce report strutturati in file spesso esportabili e con opzioni di ricerca; permette di risparmiare tempo; offre flessibilità nelle forme della comunicazione e pertanto è in grado di incontrare diversi stili cognitivi e preferenze comunicative.
Tecnologie per la scuola digitale
Ci sono ormai piattaforme per strutturare e tracciare il feedback tra pari, come peergrade e il fattore cruciale non è la tecnologia, ma che cosa ci consente di raccogliere in modo sistematico, rapido e organizzato e quali aspetti del processo di apprendimento e di valutazione ne traggono giovamento.
Tutti lasciano ai docenti e agli studenti report delle attività svolte e, connesse, la possibilità di interventi individuali tarati sulle difficoltà, oltre che gli elementi necessari per analisi longitudinali. Quei dati devono diventare non la fine di un percorso, ma il punto di partenza di un’indagine conoscitiva sull’apprendimento dello studente e su come il docente ha preparato eventuali percorsi e tracce, come direbbe anche Piaget.
Ci sono tentativi di praticare strade nuove: dopo la scuola senza zaino, è arrivata la proposta della scuola senza voto. Ci ha pensato l’Università la Bicocca di Milano, l’insegnante Davide Tamagnini e il Movimento di Cooperazione educativa a ottobre scorso a riunire quasi mille docenti che si sono incontrati a Milano al Convegno “Non sono un voto” per condividere idee e riflessioni sul tema.
Scuola e norme: l’anomalia italiana
L’anomalia italiana è che una parte della normativa è molto più avanzata e innovativa di un’altra parte della normativa e di quel che accade veramente a scuola. I decreti attuativi della legge 107 scrivono che la valutazione deve avere per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento, finalità formativa ed educativa, concorrere al miglioramento degli apprendimenti, documentare lo sviluppo dell’identità personale e promuovere l’autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze.
Se è così è chiaro che un voto in decimi è un’eccessiva semplificazione che si adatta male alla complessità. Sempre il Movimento di Cooperazione Educativa, col maestro Roberto Lorenzoni, aveva lanciato tempo fa una campagna dal titolo “Voti a perdere” con lo scopo di promuovere una scuola che non divida la classe tra bravi e non bravi, e non si limiti a registrare le differenze iniziali e in itinere dei risultati dell’apprendimento, ma interpreti i risultati, il processo e in relazione a questo ricerchi e metta in campo adeguate tecniche, approcci, dispositivi, facilitazioni affinché l’insuccesso possa trasformarsi in successo scolastico.
La valutazione post Covid
Tra le domande più frequenti che ho ricevuto durante i corsi di formazione, che ho tenuto nei mesi di lockdown, c’era questa: “Come facciamo a valutare a distanza? Come possiamo ottenere una valutazione oggettiva?”. Ci sono almeno due questioni: che cosa si vuole valutare e che cosa sia una valutazione oggettiva. Nel secondo caso la risposta è chiara: la cornice della valutazione autentica e formativa prevede che una valutazione sia oggettiva quando tutti i protagonisti del processo sanno che cosa verrà valutato e come. I criteri, che spesso restano impliciti e appartengono solo alla discrezionalità del docente, si rendono espliciti e condivisi. Gli studenti sapranno che cosa verrà valutato, quali saranno i livelli di expertise possibili e che cosa potrebbe aiutarli a raggiungerli. Basterebbe una rubric di valutazione per farlo e si darebbe allo studente anche una bussola per orientare tutta la strada per arrivare al successo o a qualsiasi obiettivo si proponga per il suo apprendimento. Per la prima questione la risposta è più complessa: è la distanza che modifica il modello di valutazione e gli strumenti o anche qui è l’obiettivo e il patto di collaborazione con lo studente che determinano le strade disponibili? Se lo studente vorrà barare, potrebbe farlo comunque, certo con più fatica se fossimo stati in presenza, ma poco sarebbe cambiato nella sua crescita come persona. Il discorso virerebbe sull’etica dell’autovalutazione e sul desiderio di sfidare se stessi, senza bisogno di ricorrere a trucchi e inganni che purtroppo non scompaiono finita la scuola.
Il Covid ha portato però dei cambiamenti, che incideranno sul prossimo anno scolastico: il 6 giugno 2020 infatti sono stati aggiunti degli emendamenti al Decreto Legge n. 22 dell’8 aprile: dall’anno scolastico 2020/2021, la valutazione finale degli apprendimenti degli alunni delle classi della scuola primaria, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle indicazioni nazionali per il curricolo, verrà espressa attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione e riferito a differenti livelli di apprendimento, secondo termini e modalità definiti con ordinanza del Ministro dell’istruzione. Questo è un risultato o è un punto di ripartenza? Se non si è disponibili ad avviare un confronto serio e rigoroso sul ruolo della valutazione nei processi di apprendimento, rischia di rimanere tutto esattamente come prima. I docenti e i decisori hanno la responsabilità di produrre cambiamenti, che nascano da un dibattito educativo e pedagogico, che abbia ripercussioni su tutti i processi. E se serve anche di fare scelte coraggiose, che l’autonomia scolastica in verità ci permette di sperimentare già oggi, da subito.