bambini e digitale

Accesso dei minori ai servizi digitali: soluzioni per tutelare privacy e sicurezza

Il problema dell’accesso dei minori a contenuti non adatti alla loro età riguarda le piattaforme ma anche (o soprattutto) i genitori. Il Garante privacy ha provato ad affrontare il problema e alcune piattaforme si sono attrezzate, ma resta complesso conciliare il tema del controllo con la tutela della privacy

Pubblicato il 30 Mar 2021

Marco Martorana

avvocato, studio legale Martorana, Presidente Assodata, DPO Certificato UNI 11697:2017

Roberta Savella

Docente in materia di diritto delle nuove tecnologie e responsabile per la formazione presso Istituto di Formazione Giuridica SRLS Unipersonale

filtro parental control agcom

La questione dell’utilizzo dei social da parte dei minori necessita di soluzioni urgenti per arginare le conseguenze nefaste di un accesso inconsapevole di utenti troppo giovani a contenuti non adatti alla loro età. A una esigenza di controllo si affianca, tuttavia, la non meno fondamentale protezione della privacy degli individui, a maggior ragione visto che stiamo parlando di minori.

Come conciliare questi due aspetti? La risposta non è affatto scontata e già da alcuni anni le piattaforme online affrontano il problema della verifica dell’età del proprio pubblico, non sempre riuscendo a rispettare le varie normative del settore, sia nell’Unione Europea che negli Stati Uniti.

Equilibrio tra controllo dell’età e tutela della riservatezza

Il problema dell’accesso a servizi online da parte di bambini o preadolescenti che non raggiungono l’età minima per prestare il consenso al trattamento dei propri dati da parte delle imprese della società dell’informazione (in Italia: 14 anni) è particolarmente complesso: si tratta di conciliare una necessità di controllo da parte dei fornitori di servizio ma, allo stesso tempo, evitare che questi entrino in contatto con un’enorme quantità di dati identificativi relativi a minori, creando una sorta di anagrafe digitale.

Ne ha parlato in varie interviste il Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, Pasquale Stanzione, che ha sottolineato la necessità di distinguere tra controllo dell’età e identificazione: non è affatto detto che per impedire a minori di accedere a servizi su internet sia necessario risalire alla loro identità anagrafica, visto che le nuove tecnologie di intelligenza artificiale ci forniscono gli strumenti per dedurre l’età di un soggetto dal suo comportamento, anche se con un certo margine di errore e sempre facendo particolare attenzione a evitare intrusioni eccessive (anche se il soggetto non è identificato resta comunque identificabile e, quindi, i suoi dati personali sono tutelati dal Regolamento europeo). L’utilizzo di algoritmi che analizzino, ad esempio, i contenuti visualizzati, il modo in cui il soggetto interagisce con essi e con i propri dispositivi elettronici, i suoi contatti, i tempi di fruizione e di lettura, può essere una soluzione al problema ben più valida della richiesta di dati identificativi (come la carta d’identità, o l’accesso tramite SPID).

“Se non ha l’età, i social possono attendere” (Garante per la Protezione dei Dati Personali)

“Se non ha l’età, i social possono attendere” (Garante per la Protezione dei Dati Personali)

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Se tutto il discorso fatto fino a questo punto pone il problema del controllo degli accessi alle piattaforme in capo ai responsabili delle stesse, è anche vero che nel caso dei minori sarebbe sempre auspicabile una supervisione delle loro attività online da parte dei genitori o dei tutori; cosa sempre più difficile, certo, ma non per questo una battaglia persa in partenza.

Il Garante per la protezione dei dati personali ha avviato una campagna di sensibilizzazione, in collaborazione con Telefono Azzurro, sull’uso dei social da parte dei bambini, il cui motto è Se non ha l’età, i social possono attendere. Si cerca, insomma, di richiamare l’attenzione degli adulti sul loro ruolo fondamentale di sorveglianza della prole, che dovrebbe estendersi anche oltre il mondo fisico: evitare che il proprio figlio si sbucci un ginocchio correndo non è affatto più importante di proteggerlo dai rischi dell’Internet, ma questa cosa non è ancora chiara per tutti, forse anche perché, ad esempio, il furto dell’identità digitale del bambino non ha conseguenze tangibili immediatamente percepibili (eppure, nei fatti, è un pericolo ben più grave).

È quindi fondamentale, oggi, insegnare ai genitori a non “parcheggiare” i minori di fronte a uno smartphone o un tablet, come alcuni anni fa si faceva con la televisione (pratica che già da tempo è stigmatizzata, giustamente, e che tuttavia è molto meno rischiosa dell’accesso incontrollato al mondo digitale), anche se le differenti fasi di sviluppo che rientrano nella categoria degli infra-quattordicenni impongono una diversa gradazione anche delle ingerenze da parte degli adulti sull’autonomia dei propri figli.

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Il caso YouTube: la diversificazione come possibile soluzione al problema

Mentre oggi il social che più fa discutere sotto questo aspetto è TikTok, due anni fa è stato il turno di YouTube di trovarsi nell’occhio del ciclone per il problema dell’uso della sua piattaforma da parte di minori non autorizzati. Nel 2019 Google ha ricevuto una sanzione di 170 miliardi di dollari da parte della Federal Trade Commission statunitense per violazione del Children’s Online Privacy Protection Act (“COPPA”) con le sue attività di monitoraggio e targeting di soggetti minori di 13 anni. Infatti, l’affermazione da parte del social del divieto di utilizzo da parte di soggetti che non raggiungano tale soglia d’età, contenuta anche nei termini di servizio, non è stata sufficiente a evitare la sanzione visto che, concretamente, non erano stati messi a punto meccanismi idonei a impedire l’accesso a chi non era autorizzato, né controlli adeguati. Inoltre, i contenuti presenti su YouTube e varie attività di marketing targettizzato sembravano rivolti a un pubblico ben al di sotto dell’età consentita.

Tuttavia, già dal 2018 è attiva anche in Italia l’app “YouTube Kids”, creata apposta per consentire ai più piccoli la fruizione dei contenuti presenti sulla piattaforma. Si tratta di una versione del social progettata per i bambini al di sotto dei 13 anni, ossia coloro che altrimenti non potrebbero affatto utilizzare YouTube, e che di conseguenza comprende contenuti appositamente selezionati per tale pubblico.

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Anche in relazione a “YouTube Kids” non sono mancate critiche e discussioni, in particolare per via di due problematiche: da un lato è stato così ritagliato uno spazio controllato cui è chiaro che accederà solo una determinata categoria di soggetti, fornendo in questo modo ai gestori del social un campione perfetto per analizzarne i dati; dall’altro, vi è una differenza significativa nelle esigenze di un preadolescente rispetto a quelle di un bambino in età prescolare, per cui i contenuti selezionati per questa audience non si sono rivelati appetibili per tutto il pubblico cui sono rivolti. Quest’ultimo problema è, ovviamente, un ostacolo importante per YouTube, che rischia di perdere l’interesse di tutta una fetta di utenti, troppo maturi per la funzionalità Kids ma non ancora abbastanza per accedere alla versione completa della piattaforma.

La soluzione, però, forse è già stata trovata: un aggiornamento di Google che consente di creare un profilo del minore infra-tredicenne tramite l’app Family Link che contenga anche un accesso ristretto ad alcuni contenuti di YouTube. Si tratta, quindi, non più di impedire ai bambini l’utilizzo del social, ma di dare loro la possibilità di usufruirne in modo controllato, al di fuori del perimetro di “YouTube Kids” ma comunque con alcune limitazioni importanti rispetto all’esperienza offerta agli adulti. La decisione, in questo caso, resta in capo ai genitori, che possono impostare a quale fascia far accedere i propri figli: se a quella chiamata “Esplora”, con contenuti adatti in genere a un pubblico dai 9 anni in su, o a quella successiva di “Esplora altro”, più interessante per degli adolescenti, oppure, infine, a “Gran parte di YouTube”, che comprende la maggioranza dei video del social a parte quelli sottoposti a un limite di età. Si tratta, insomma, di una sorta di “parental control” integrato nella stessa piattaforma. Inoltre, tramite questa funzionalità i minori non saranno sottoposti a pubblicità targhettizzata, non potranno fare acquisti in-app né creare video o commenti; vengono quindi disattivati gli elementi più rischiosi per questo pubblico che si presume ancora facilmente influenzabile e condizionabile.

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Questo tipo di impostazione presenta vari innegabili vantaggi: saranno i genitori stessi a valutare, in base alla maturità e agli interessi dei propri figli, fino a che punto consentire loro di navigare sulla piattaforma di video, senza però confinarli in un “recinto” digitale troppo stretto da cui desidererebbero evadere, col rischio di entrare così in contatto con contenuti non adatti. Vi sarebbe in questo modo anche un controllo dell’età nel momento in cui il profilo su Family Link fosse creato dal genitore, senza dover ricorrere a strumenti invasivi della privacy degli utenti.

Conclusioni

I confini tra mondo digitale e mondo fisico stanno sfumando sempre più, specialmente per le nuove generazioni; è ormai fondamentale garantire che anche lo spazio online sia un luogo sicuro dove i giovani si possano esprimere e intrattenere senza entrare in contatto con immagini, video, interazioni di qualsiasi tipo inadatte alla loro età e maturità. Uno stretto proibizionismo potrebbe portare al risultato opposto, inducendo i ragazzi più curiosi a introdursi illecitamente in spazi a loro vietati, senza alcun tipo di controllo. Soluzioni che differenzino il trattamento in base all’età e che incoraggino una supervisione da parte dei genitori sembrano oggi preferibili, sia dal punto di vista della responsabilizzazione della società, sia da quello della tutela dei dati personali, evitando così di richiedere ai gestori delle piattaforme analisi eccessive dei dati degli utenti per determinare se abbiano i requisiti per accedere a un servizio.

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