Le nuove politiche di Apple, introdotte lo scorso aprile, mirano a migliorare l’esperienza d’uso dell’utente su due profili fondamentali: diminuire la profilazione e garantire maggiore sicurezza nell’utilizzo dei dispositivi Apple.
La richiesta che viene posta all’utente di scegliere quanto e come essere profilato utilizzando l’iPhone unitamente alla limitazione del sideloading sono ormai il fulcro della strategia marketing e raccolgono consenso nella gran parte dei consumatori.
Per comprendere la portata del “successo” dell’obbligatorietà imposta agli sviluppatori di richiedere all’utente il consenso alla profilazione, basti pensare che meno del 33% degli utenti iOS attiva il monitoraggio.
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Tuttavia, i dati parlano chiaro: le aziende di inserzioni e, in genere, quelle che incentrano la propria attività sulla profilazione stanno migrando verso altri ecosistemi che – seguendo le leggi di mercato – hanno alzato i costi dei servizi. Di conseguenza, è ormai un dato che certo che i business, a seguito della manovra di Apple, abbiano modificato le loro strategie di acquisto. La spesa per la pubblicità su iOS è diminuita di circa un terzo tra il primo giugno e il primo luglio, mentre la spesa per Android è aumentata del 10% nello stesso periodo. Inoltre, a oggi, secondo Statcounter, circa il 72,8% degli smartphone in tutto il mondo utilizza il sistema operativo Android e circa il 26,4% utilizza iOS. Idem, gli sviluppatori che collocano i propri prodotti al di fuori dell’Apple store.
Apple e la libera concorrenza
Infatti, se nell’ecosistema di Google è possibile scaricare app di terze parti al di fuori dello store ufficiale, Apple – nonostante gli accertamenti in corso da parte dell’Antitrust europeo – è categorica nel vietare tale pratica, in nome di una garanzia più stringente per fare presa sui propri utenti. Ciò in spregio agli interessi economici dei business che sono costretti a sottostare alle fee di Apple per poter continuare a destinare il loro prodotto ai consumatori di questa, nonché in spregio alle regole della libera concorrenza del mercato.
Apple continua a far leva sul consueto servizio di protezione degli utenti, garantendo un esame approfondito di tutte le applicazioni e dei relativi aggiornamenti inviati dagli sviluppatori per assicurarsi che “siano privi di contenuti inappropriati, violazioni della privacy, malware noti o altre violazioni delle linee guida dello store”.
La gatekeeper, per spiegare le proprie ragioni, compara il proprio prodotto e i propri successi con le vicende occorse sui dispositivi Android, “infettati da un numero significativamente maggiore di malware rispetto agli iPhone, in parte a causa del fatto che Android permette il sideload delle app al di fuori del Google Play Store”.
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I dubbi del Commissario Vestager
Ma il Commissario europeo Margrethe Vestager non cede a queste spiegazioni che potremmo ormai definire “propaganda”.
Pochi giorni fa è infatti intervenuta nuovamente per mettere in chiaro che la possibilità lasciata agli utenti di avvalersi di servizi forniti dalle app al di fuori di un ecosistema blindato non determina a priori una rinuncia alla tutela di privacy e sicurezza.
In altri termini, violare la libera concorrenza del mercato, chiudendo il proprio ecosistema a prodotti preapprovati non è l’unico modo per proteggere i dati e la vita dei consumatori, perché sono in ballo i paralleli interessi del mercato che dovranno essere bilanciati con il sacrosanto diritto alla privacy.
In tal senso, il Commissario, facendo intendere che questa limitazione di Apple, in nome di siffatta tutela accordata agli utenti, appaia più che altro una strumentalizzazione in termini di posizionamento sul mercato, esprime fiducia verso una maggiore autodeterminazione dei consumatori, sia che si tratti dell’Apple Store sia di un altro store.
L’importanza dell’educazione digitale
Ad avviso di chi scrive, questa manifestazione di fiducia da parte dell’Autorità è condivisibile ed è possibile, a condizione che si incentivi l’educazione alla rete e si creino delle basi solide affinché gli utenti possano acquisire maggiore consapevolezza del loro diritti e doveri nel web.
Non dimentichiamo, inoltre, che il definitivo accertamento, da parte dell’Antitrust europeo, della violazione delle leggi del libero mercato e dell’abuso di posizione dominante potrà ribaltare il modus operandi di Apple e – in quel caso – sarà interessante scoprire su cosa incentrerà la propria brand reputation per differenziarsi dal principale competitor, Google.
È proprio il DMA (Digital Markets Act), che dovrà essere costruito in sinergia con le proposte e le scelte di tutti i Paesi Europei, a poter dare nei prossimi mesi – nel più ampio programma di regolamentazione delle gatekeeper (si veda anche Digital Market Act) – delle leggi mirate all’app economy, ovvero parametri di trasparenza e obblighi di informazione a vantaggio degli utenti consumer. L’obiettivo è altresì rendere più agevole le entrate di altri competitor minori che possano costituire una valida alternativa ai Big noti.
Ricordiamo che siamo in una stagione in cui le big tech in tutto il mondo fronteggiano l’accusa, di Governi e Authority, di avere accumulato troppo potere (con il covid-19 ancora di più come rivelano gli ultimi dati di bilancio). E qui e lì cominciano a fare concessioni: ad esempio, proprio sugli store, Google, Apple e di recente Microsoft stanno abbassando la fee per certi sviluppatori. Analogo il fronte aperto da Epic, contro Google e Apple.