Apple è il nuovo concorrente scomodo nel mercato della pubblicità online, a discapito di Google e soprattutto Meta/Facebook che sembrano perdere terreno, complice anche l’App Tracking Transparency framework introdotto con iOS 15, tant’è che la prossima mossa di Cupertino potrebbe essere quella di espandere le cosiddette search ads anche ad altri servizi dei propri sistemi operativi.
Dal fallimento di iAd sembra essere nato qualcosa di più rispettoso della privacy degli utenti, ma ugualmente efficace sia nel caso in cui costoro optino per essere profilati sia nel caso opposto.
Apple e la pubblicità
Chiunque pensi al rapporto di Apple con la pubblicità, porta subito la sua mente a due diversi aspetti: il primo, più pop, è l’estrema efficacia delle campagne promozionali dei suoi prodotti (dalla famosa operazione “Think different” alla recentissima presentazione della Dynamic Island degli iPhone 14 Pro e Pro Max, che trasformano una debolezza – il foro nello schermo per alloggiare il Face ID – in n punto di forza), oltre a una estrema attenzione alla privacy dei propri utenti. Infatti, sono ormai anni che l’azienda investe di continuo per migliorare la sicurezza delle informazioni dei suoi dispositivi e per evitare che un suo cliente possa essere profilato a sua insaputa: l’adozione in iOS 15 dell’App Tracking Transparency Framework, che consente all’utente di impedire il tracciamento della propria attività sulle app e sui siti web ad essa collegati, è volta proprio a questo.
L’accennato framework, per quanto abbia portato dei benefici a chiunque abbia optato per non essere tracciato, ha senza dubbio fatto perdere terreno a Google e Facebook e causato qualche grattacapo alle piccole realtà che basavano il proprio business sul tracciamento degli utenti.
Insomma, Cupertino s’è sempre fatta portavoce della battaglia per la privacy dei propri consumatori, ma c’è, come sempre, un ma.
iAd, il circuito pubblicitario dimenticato
Forse non tutti ricordano che proprio Steve Jobs in persona annunciò il lancio di iAd, un circuito pubblicitario introdotto in iOS 4 e che avrebbe dovuto competere con Google Admob. Le aziende, infatti, potevano comprare spazi pubblicitari, di modo che le inserzioni apparissero all’interno delle app degli sviluppatori aderenti al circuito. Peraltro, il sistema era particolarmente vantaggioso per questi ultimi, visto che avrebbero potuto incassare fra il 60% e il 70% degli introiti pubblicitari, lasciando ad Apple il restante 40%-30%. Il circuito, non avendo però attecchito come sperato da Cook e soci, fu chiuso il 30 giugno 2016.
Coincidenza o meno, fu proprio a questo punto che la privacy, comunque sempre tenuta in gran considerazione (al contrario di Google) divenne uno dei tratti distintivi di Apple.
Advertise different
Negli anni successivi sono apparsi, comunque, i primi timidi banner pubblicitari in App Store: gli sviluppatori possono tutt’ora acquistare spazi pubblicitari per promuovere i propri programmi, anche se gli annunci sono mostrati, per lo più, come pubblicità contestuale alla ricerca svolta dall’utente, e non sono basati sulla profilazione della sua attività sui dispositivi con la mela morsicata.
Infatti, gli annunci di Apple appaiono agli utenti dell’App Store, ma non sono basati sulla profilazione massiva di ciascuno di loro: infatti, l’azienda ragiona per coorti, ossia gruppi indefiniti di utenti che possono avere qualche caratteristica in comune.
Ad esempio, uno sviluppatore può fare in modo che il proprio annuncio appaia a tutti gli uomini di Milano che abbiano già scaricato una sua applicazione e basta. Peraltro, Apple forma i gruppi di utenti inserendone almeno cinquemila, rendendo di fatto impossibile la profilazione del singolo componente. Ancora, Apple non traccia, per propria policy, l’attività dello stesso utente su più dispositivi o, comunque, su altri siti web.
Non tracciare gli utenti è efficace quanto tracciarli
Il particolare sistema di advertising adottato da Apple, seppur limitato rispetto ai competitor che vendono ancora gruppi di utenti molto più profilati, a discapito della loro privacy, è efficace sia nel caso in cui gli utenti accettino di essere profilati anche da Apple stessa, sia invece che rifiutino tale opzione.
Infatti, durante la sua configurazione iniziale, iOS chiede agli utenti se vogliono condividere i loro dati d’uso e se far monitorare la loro esperienza utente, oppure no. Seguendo le normali logiche di marketing, si sarebbe portati a ritenere che la pubblicità rivolta ai gruppi di utenti “profilati” sia più efficace di quella rivolta alle coorti non profilate, ma, anche in questo caso, Apple riesce ad andare controcorrente: seppur il 78% delle ricerche su App Store viene eseguito su dispositivi con il tracking disabilitato, il tasso di conversione è pari al 62.5%, leggermente maggiore di quello dei dispositivi dove il tracking è abilitato, pari al 62.1%.
L’espansione delle Search Ads
È quindi ovvio che Apple abbia intenzione di espandere la propria offerta pubblicitaria anche alle altre app di sistema quali Mappe, che potrebbe offrire annunci contestualizzati al luogo ricercato, o Apple Podcast o, ancora, Apple News, purtroppo disponibile solo negli Stati Uniti.
Sono diversi i rumor recenti in tal senso (uno di questi proviene dal più che affidabile Mark Gurman dalle colonne di Bloomberg) e l’introduzione potrebbe avvenire anche con uno dei prossimi aggiornamenti minori di iOS. Del resto, il Chief of Advertising di Apple ha annunciato che l’azienda ha intenzione di portare gli introiti derivanti dalla pubblicità dagli attuali 4 miliardi di dollari ad almeno 10.
Conclusioni
In un momento storico in cui sia in Unione Europea che in altri stati del mondo si legifera, o almeno si programma di legiferare, per limitare o, addirittura, abolire la profilazione spinta del singolo utente per fini pubblicitari, Apple insegna che è possibile rendere la pubblicità profittevole rispettando la privacy degli utenti.
È vero che il suo raggio d’azione è attualmente più limitato rispetto a quello dei competitor diretti, ma non ci resta che sperare che l’approccio per il futuro sia lo stesso per tutti: solo così facendo, agli inserzionisti, che spesso storcono il naso innanzi a simili limitazioni, non rimarrebbe che adeguarsi a un mondo online più etico e meno invasivo della nostra sfera privata.