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Competenze cybersecurity: colmare il gap con upskilling e reskilling



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Il gap di competenze digitali in Europa è una sfida cruciale per la cybersecurity. Ecco le strategie per colmare questo divario attraverso programmi di reskilling e l’educazione alla sicurezza informatica

Pubblicato il 25 mar 2025

Piero Sansò

ESSE CI Centro Studi, Scuola di Dottorato in Humanities, Technology and Society, Università di Modena e Reggio Emilia, Fondazione Collegio San Carlo di Modena, Almo Collegio Borromeo di Pavia



Cyber Resilience Act

Le preoccupazioni riguardanti l’impatto dei processi di trasformazione tecnologica rispetto al mercato del lavoro non sono cosa nuova. Il corrente processo di digitalizzazione ed automazione di un crescente numero di mansioni lavorative echeggia di speranze e preoccupazioni quasi analoghe a quelle sorte assieme alla prima rivoluzione industriale.

Ora come allora la paura che il “macchinico” si possa, integralmente o parzialmente, sostituire all’umano, si traduce nel legittimo timore di un aumento esponenziale e sistematico dei tassi di disoccupazione.

In questo contesto le competenze di cybersecurity sono fondamentali non solo per i professionisti del settore ma per tutti coloro che operano in ambienti digitali, al fine di prevenire minacce e garantire un’infrastruttura sicura. La combinazione di reskilling e upskilling risulta cruciale per colmare il divario tra domanda e offerta di competenze, promuovendo un ambiente lavorativo competitivo e sicuro nel contesto della cosiddetta formazione 5.0.

La trasformazione del lavoro nell’era digitale

La progressiva automazione di un gran numero di mansioni lavorative (che dall’esplosione della più recente “estate dell’intelligenza artificiale” appare rapida ed esponenziale) ha suscitato speculazioni su possibili scenari di “fine del lavoro”, declinati in senso ottimistico o pessimistico in base ai gusti e ai valori personali di chi li prefigura.

Appare tuttavia più realistico prevedere, piuttosto che un netto taglio dei posti di lavoro o la fine dello stesso, una trasformazione nei ruoli e nelle funzioni previste e, di conseguenza, nelle competenze richieste (in particolare per quanto riguarda i lavoratori e le lavoratrici più a contatto con tecnologie digitali). Similmente, dunque, a quanto accaduto con l’introduzione delle macchine a vapore, è ragionevole aspettarsi una riorganizzazione dei processi produttivi e delle modalità di lavoro, alla luce delle nuove tecnologie introdotte e di come si riconfigurerà (e si deciderà di riconfigurare) il rapporto umano-macchina.

Il gap di competenze digitali in europa

È per far fronte a questo contesto in veloce trasformazione che il 9 maggio 2023 è stato inaugurato l’Anno Europeo delle Competenze, terminato da pochi mesi. Ha lasciato spazio all’Anno Europeo dell’Educazione alla Cittadinanza Digitale, inaugurato a gennaio 2025.

Cittadinanza, mercato del lavoro, consapevolezza e competenze digitali, sono alcune tematiche chiave al centro delle politiche europee degli ultimi anni, tenute insieme dalla necessità di formazione e sviluppo.

Le competenze digitali sono essenziali “for people to participate in society, work, and achieve social inclusion. They are also crucial for the EU’s economic growth and competitiveness offering more autonomy, skills development and job satisfaction” (Plugging the digital skill gap, European Commission, giugno 2023).

Nel report della Commissione Europea figurano dati interessanti. Si prevede che, in futuro, il 90% dei posti di lavoro richiederanno competenze digitali e che, allo stato attuale, solo il 54% delle persone con età compresa tra i 16 e i 74 anni è in grado di eseguire task digitali di base.

Parallelamente, emerge la carenza critica di esperti digitali nell’UE, in particolare nel campo della cybersecurity e dell’analisi dati, così come molto bassa resta la rappresentanza femminile nel settore ICT (si parla meno del 20% degli specialisti dei laureati in questi ambiti).

Gli obiettivi fissati dall’Unione Europea per il 2030 sono il raggiungimento di un’alfabetizzazione digitale di base per l’80% della popolazione e l’aumento del numero di specialisti ICT dai circa di 10 milioni attuali a 20 milioni.

Strategie di reskilling e upskilling per il mercato del lavoro

In quest’ottica appare chiaro come, sia dalla prospettiva delle imprese sia da quella dei futuri lavoratori e delle future lavoratrici, rivesta un’importanza primaria la formazione delle nuove generazioni, sia nei termini di alfabetizzazione digitale che di sviluppo di competenze specifiche legate alle nuove tecnologie.

Parallelamente, per far fronte al mismatch fra domanda e offerta di lavoro e alle richieste immediate del mercato sono stati strutturati percorsi di reskilling e upskilling dei lavoratori. Con reskilling ci si riferisce al processo di riqualificazione dei lavoratori, volto all’acquisizione di nuove competenze al fine rendere possibile ricoprire un nuovo ruolo. L’upskilling, invece, consiste nell’aggiornamento e nel potenziamento delle competenze già esistenti, con l’obiettivo di migliorare le capacità professionali del proprio personale esperto, tenendolo al passo con le rapide innovazioni tecnologiche e mantenendone la competitività.

Alcune considerazioni diventano rilevanti.

In primo luogo, l’attuale mismatch fra domanda e offerta di lavoro va ad inficiare le prospettive occupazionali a lungo termine dei lavoratori, sia per quanto riguarda le opportunità di impiego sia per quanto riguarda la “qualità della vita” sul posto di lavoro.

Forzare rapidi processi di digitalizzazione ed automazione senza parallelamente provvedere ad una adeguata formazione dei lavoratori rischia di danneggiarne sia la produttività sia il benessere.

In secondo luogo, la carenza di competenze specialistiche dedicate, rallenta le prospettive di implementazione delle nuove tecnologie da parte delle imprese, rendendo più difficilmente accessibili le possibilità di crescita economica ad esse connesse.

Sfide per le piccole e medie imprese nella trasformazione digitale

Il fenomeno desta preoccupazione in particolare in relazione alle piccole e medie imprese, che potrebbero affrontare crescenti difficoltà nell’attrarre personale specializzato, o a prevedere percorsi formativi per i propri dipendenti. Vi è dunque il rischio che le piccole e medie imprese rimangano ai margini del processo di trasformazione tecnologica e che si allarghi ancor di più la forbice fra queste ultime ed i colossi multinazionali, possibilità che non può fare a meno di destare qualche preoccupazione, in particolare in un ecosistema imprenditoriale come quella italiano.

Date queste premesse emerge la necessità di progettare percorsi di reskilling e upskilling che siano accessibili ed efficaci, strutturati attorno ad una logica che ponga al centro le prospettive occupazionali, il benessere dei lavoratori e delle lavoratrici, lo sviluppo tecnologico delle imprese sul territorio europeo.

Se, a lungo termine, la soluzione a questo mismatch dovrà necessariamente trovare le sue radici nelle istituzioni scolastiche e universitarie, nel breve periodo risulta comprensibile puntare sui processi di riqualificazione ed aggiornamento delle competenze.

La duplice dimensione della cybersecurity: specialisti e cultura della sicurezza

Tra le nuove skill sempre più richieste, accanto a quelle di profili eminentemente tecnici come addetto al machine learning o sviluppatore, spiccano le competenze in cybersecurity.1

Queste ultime si caratterizzano per una duplice dimensione. Da un lato, in senso verticale, vi è la necessità di formare un maggior numero di figure tecniche specializzate al fine di rafforzare la robustezza dei sistemi. Dall’altro lato, in senso orizzontale, risulta fondamentale promuovere l’educazione alla cybersecurity tra tutti i lavoratori, indipendentemente dal ruolo ricoperto. Il cosiddetto “fattore umano” è infatti uno dei principali punti di pressione su cui premono i cyber attacchi: un irrobustimento della sicurezza informatica deve dunque necessariamente passare da una consapevolezza trasversalmente diffusa riguardo a vulnerabilità, rischi e minacce informatiche.

Pertanto, quando si parla di cybersecurity non è sufficiente limitarsi a programmi di reskilling e upskilling rivolti a figure specifiche: le prospettive formative, sia in ottica futura che nella pratica odierna, devono essere orientate verso un approccio educativo che coinvolga tutte le professionalità in stretto contatto con il digitale. In questo ambito, il punto di partenza non deve essere esclusivamente l’acquisizione di nuove competenze tecniche, ma, ancor più importante, lo sviluppo di un common sense legato al digitale e di buone pratiche da seguire in ottica di prevenzione delle minacce.

Il ruolo delle istituzioni pubbliche nell’educazione digitale

Non si può non sottolineare il ruolo di guida che le istituzioni pubbliche – Scuola e Università su tutte – dovranno assumere in questo contesto. E, va evidenziato, non solo in ottica di lavoro ed occupabilità, ma di cittadinanza tout court. Un’alfabetizzazione solida e completa risulterà sempre più indispensabile per l’esercizio dei diritti individuali: le istituzioni educative pubbliche non possono esimersi dall’assumersi la responsabilità di una formazione digitale che parta dai banchi di scuola e che tenga insieme competenze e consapevolezza critica.

L’educazione alla sicurezza nel cyberspazio non può non essere uno dei nodi fondamentali in questo orizzonte di educazione ed apprendimento.

Si muove in questa direzione il Progetto SAFELY – Social media Awareness For Education and Legal Youth (PI: Prof. Thomas Casadei) nel contesto dello Spoke 8 “Risk Management and Governance” della Fondazione SERICS (PE SERICS – PE00000014 – tematica n° 7 “Cybersecurity, nuove tecnologie e tutela dei diritti”).

Verso una cultura della sicurezza digitale

Una piena partecipazione dell’individuo ai propri diritti di lavoratore e di cittadino, di lavoratrice e cittadina, passa attraverso l’acquisizione di strumenti, sia pratici sia intellettuali, legati alle nuove tecnologie.

Nel contesto della cybersecurity non ci si può limitare alla formazione di personale esperto e dedicato, ma c’è la necessità di sviluppare una vera e propria cultura della sicurezza digitale e di favorire la diffusione trasversale di competenze e consapevolezza.

Va scongiurato il rischio che l’attuale spinta in direzione del reskilling si trasformi in perenne stato di inadeguatezza e rincorsa, calando ancor di più il lavoratore/la lavoratrice in un contesto di precarietà ed incertezza.

Può invece essere una buona soluzione a breve e medio termine per affrontare il mismatch di competenze che attraversa il presente mercato del lavoro, offrendo dunque la possibilità a imprese e lavoratori di partecipare ai benefici che questa stagione di trasformazione tecnologica, se ben orientata a partire dal piano istituzionale, sembra promettere.

  1. per un inquadramento delle sfide su questo versante si veda Raffaella Brighi, Cybersecurity. Scenari tecnologici e regolamentazione di un’area in espansione, in Th. Casadei, S. Pietropaoli [a cura di], Diritto e tecnologie informatiche. Questioni di informatica giuridica, prospettive istituzionali e sfide sociali, seconda edizione ampliata e rivista, Wolters-Kluwer, Cedam giuridica, 2024). ↩︎

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