PA e Pmi devono fare rete ed essere in prima linea nella battaglia per la cyber sicurezza perché il 2019 non promette nulla di buono su questo fronte: attacchi al cloud per impossessarsi dati aziendali, nuovi malware per violare smartphone, tablet e router, furti di identità via social network. Si farà ricorso ad attacchi che utilizzano l’intelligenza artificiale, per raccogliere e selezionare la maggior quantità possibile di informazioni, e si spingerà verso la creazione sempre maggiore di sciami di server compromessi, da utilizzare per effettuare attacchi complessi.
Il tutto mentre tecniche di attacco semplici e non certo nuove – dall’invio di false fatture all’invito ad acquistare su finti siti di e-commerce – continuano a mietere centinaia di migliaia di vittime nell’universo delle truffe online, con un nuovo picco previsto per il periodo di feste. Tre le parole chiave per difendersi: cultura- tecnologia- organizzazione. Ma quel che occorre è soprattutto reagire, fare coesione e crescere rafforzando sempre di più collaborazioni tra modo privato e modo pubblico.
Settimane di passione per la cyber security
Prima, però, di passare in visione quello che ci prevediamo ci aspetti il prossimo anno, partiamo da qualche dato di cronaca che ci aiuta a farci un’idea dello stato delle cose. Siamo oramai entrati nel pieno del periodo natalizio e nella frenesia dell’ultimo regalo da acquistare anche on line, ed ecco che sui principali siti informativi e sui bollettini della polizia postale compaiono nuovamente alcuni messaggi, come “attenzione ad aprire allegati e-mail“ oppure “attenzione nuova attività di spamming a scopo estorsivo”. E se approfondiamo, scopriamo tutta una serie di modalità truffaldine, che già avevano avuto un picco nelle giornate del Black Friday, che vanno dall’invio delle solite fatture false all’invito ad acquistare su finti siti di e-commerce che offrono prodotti di marca super scontati.
In questi periodi dell’anno dunque le truffe on line sono di fatto sempre più all’ordine del giorno e la loro frequenza è oramai quasi continuativa. I giornali, dal canto loro, evidenziano che queste ultime settimane sono state devastanti dal punto di vista della cyber security.
Lo scorso novembre 500mila caselle di PEC, in gran parte utilizzate dalla PA, sono state violate in un grave attacco informatico contro il provider del servizio di posta certificata; la piattaforma social QUORA ha ammesso di aver scoperto nei primi giorni di dicembre un data breach che ha messo a repentaglio i dati di 100 milioni di utenti, sino all’annuncio del gigantesco attacco hacker verificatosi sui sistemi informativi della catena alberghiera Marriott con un potenziale impatto su 500 milioni di utenze.
Dati anagrafici, numeri di telefono, carte di credito sono i dati violati che vanno ad incrementare le offerte presenti sulla darknet, ma diventano ben poca cosa quando l’obiettivo del cybercrime sono i dati sanitari.
Allarme sicurezza in sanità
L’allarme come sempre arriva dal mondo statunitense. Le ultime dichiarazioni del Dipartimento della Salute americano riportano una situazione drammatica: negli ultimi 24 mesi oltre 15 milioni di cartelle cliniche sono state trafugate in 421 aziende ospedaliere. L’elemento preoccupante è rappresentato dal fatto che quasi il 50% dei furti di dati è avvenuto mediante violazioni di e-mail, mentre oltre il 30% è stato ottenuto prelevando i dati non protetti da postazioni desktop.
Tecniche di attacco dunque molto semplici e di certo non recenti che però continuano comunque a mietere un alto numero di vittime, nonostante la tecnologia ci proponga algoritmi sempre più evoluti per cercare di riconoscere situazioni a rischio ed eventi malevoli. Oggi ad esempio i filtri antispam-antimalware utilizzati per l’analisi delle e-mail bloccano in automatico circa il 70% di tutte le comunicazioni elettroniche che viaggiano in rete, ma purtroppo non è ancora sufficiente per garantire un “adeguato livello di sicurezza”. E la situazione è oramai in costante peggioramento da diversi anni. Le statistiche confermano il proseguo del trend negativo: il primo semestre 2018, secondo quanto riportato dagli analisti del Clusit, è stato il peggiore di sempre.
L’anno nuovo oramai alle porte non sembra offrire molti spazi di ottimismo: i cybercriminali cercheranno di superare in maniera sempre più rapida e silente le difese, puntando sul “fattore umano”. I criminali informatici hanno infatti compreso che rende di più ed è meno rischioso “far commettere” che agire in prima persona e si sta rapidamente rafforzando il mercato del malware-as-a-service, alleandosi per vendere componenti d’attacco modulari.
Cultura, tecnologia, organizzazione
Se all’inizio dell’anno si era coniato il termine “salto quantico” per indicare il livello di crescita degli attacchi informatici, diventa difficile pensare come si potrà definire il livello che si raggiungerà nel 2019 (crescita a “velocita astrale”, di startrekkiana memoria potrebbe essere un suggerimento!). Gli analisti sono unanimi nel dirci che aumenteranno considerevolmente gli attacchi mirati al cloud, a smartphone, tablet e router e ai social network. Si farà, quindi, ricorso all’intelligenza artificiale e si spingerà verso la creazione sempre maggiore di sciami di server compromessi per attacchi complessi.
Come ci si potrà cercare di difendere da tutto ciò? A mio avviso puntando sempre di più sulla forza sinergica di tre aspetti fondamentali: cultura- tecnologia- organizzazione.
Cultura. Sarà l’arma principale per fronteggiare gli attacchi “tradizionali o a basso costo” (phishing, crypto). Occorrerà focalizzarsi su azioni di sensibilizzazione e conoscenza della sicurezza informatica.
Tecnologia. Si dovrà puntare sull’analisi comportamentale dei sistemi e sulle tecniche di intelligenza artificiale per riconoscere e limitare le azioni di attacco. Sarà necessario individuare sul nascere la condizione di attacco e isolarla, per mitigarne il “movimento laterale”. Un incremento delle tecniche di honeypot, quando sia lecito attivarle, potrebbe aiutare a conoscere meglio le tecniche di attacco e anticipare le mosse degli hacker.
Organizzazione. Le regole e le policy diverranno fondamentali nelle organizzazioni per ridurre i comportamenti errati, compartimentando “le zone a rischio”.
Le contromisure
Grazie anche a direttive e regolamenti europei si sta prendendo coscienza che i rischi vanno analizzati e non solo accettati, ma soprattutto mitigati ragionando su misure di sicurezza adeguate. Delle azioni sono già evidenti ad esempio l’Unione europea lancia l’idea del competence center in cybersecurity, mentre le Università sempre di più iniziano a pensare a corsi di laurea con specializzazioni in sicurezza informatica. Le aziende investono per formare gruppi di ethical hacking e AgiD, nel suo piano triennale, esige che le PA attuino azioni periodiche di analisi dei rischi e vulnerability assessment sui servizi utilizzati.
I regolamenti europei iniziano a generare i primi provvedimenti sanzionatori: le prime sentenze dei garanti indicano quanto la mancanza di concetti basilari come la cifratura, la profilazione e le policy possono pesare dal punto di vista sanzionatorio.
Inoltre, dal punto di vista della sensibilizzazione sarebbe necessario pensare a programmi scolastici già nella scuola dell’obbligo sui temi di sicurezza, incrementando campagne televisive che siano facilmente comprensibili da tutti.
Il ruolo di PA e Pmi: fare rete è un obbligo
Il mondo della PA e delle PMI dovrà giocare un ruolo importante, provando a reagire lavorando su un terreno comune in ambito sicurezza. Potrebbe essere di notevole aiuto avviare su questa tema una collaborazione ancora più forte tra le in-house del territorio e le Associazioni di categoria e le Unioni industriali che offrono servizi di supporto ai loro associati (qualche esempio in tale direzione è già stato attivato). Occorrerà sviluppare meglio servizi di alerting, stringendo collaborazioni con le forze di polizia postale, aumentando la capacita di infosharing, ovvero di comunicazione e segnalazione di eventi malevoli individuati. E sempre nell’ambito delle PA, le Regioni possono e (a mio parere devono) divenire dei punti di aggregazione e di diffusione della cultura sulla sicurezza, rafforzando anche il livello di collaborazione con AgiD e le funzioni di CERT Nazionale
In conclusione la lunga battaglia sulla sicurezza e sulla protezione dei dati forse è solo all’inizio e ci toccherà purtroppo assistere ancora a molti incidenti, ma è importante reagire, fare coesione e crescere rafforzando sempre di più collaborazioni tra modo privato e modo pubblico. La parola magica sarà “fare rete”. Se non riusciremo a innestare, a livello di sistema paese, un fronte compatto e “culturalmente uniforme” per fronteggiare meglio la protezione dei nostri dati, difficilmente troveremo un’altra soluzione pronta… sotto l’albero di Natale.