Il cyberbullismo è un fenomeno subdolo che talvolta si cela dietro atteggiamenti che possono trarre in inganno le vittime. Uno strumento a tutela dei giovani nella gestione della propria vita digitale viene dall’approccio Zanshin Tech. Vediamo che cosa si tratta e qual è la sua utilità
Un episodio reale
Martina è una ragazza di 14 anni, vive a Milano ed è in lockdown. Le sue giornate sono scandite dalle video lezioni (alle quali a volte partecipa in pigiama, ma lei ci mette sopra una felpa e non se ne accorge nessuno), i moltissimi compiti e lunghi periodi di noia. Certo ci sono dei rischi a stare in rete, Martina lo sa, a scuola le hanno fatto un testa così sul cyberbullismo: “Il cyberbullismo è una cosa orribile”, “Se avete problemi chiedete ad un adulto”, “Chi fa cyberbullismo viene punito duramente”, ma lei non ha questo problema, anzi, a lei il mondo digitale riserva solo cose buone. Come Nicholas, il ragazzo che ha conosciuto ad inizio quarantena proprio su Instagram. È carino, Nicholas, molto carino, ed è gentile, altro che cyberbullo. Martina e Nicholas passano tantissimo tempo a chattare su Direct e a tenersi compagnia a vicenda. All’inizio la faceva ridere il modo in cui lui ci provava spudoratamente con lei, però era un gioco divertente e quindi non si è opposta. A lungo andare, poi, la cosa è diventata prima piacevole e poi, a un certo punto, ha smesso di essere un gioco, sopratutto da quando si sono scambiati certi messaggi e certe foto. Martina arrossisce da sola a pensare alle foto di Nicholas, custodite gelosamente nella galleria del suo cellulare lontano dagli occhi dei genitori. Anche lei ha mandato alcune foto, ma dopotutto che c’è di male? Dopo tanto tempo passato a chattare ormai è come se si conoscessero davvero, come se lo avesse incontrato a una festa, come se questo maledetto virus non ci fosse. E poi magari quest’estate, quando potremo uscire di nuovo.
In questo caso (storia vera, purtroppo) nessuno ha avvertito Martina che l’aggressione digitale inizia molto prima di diventare palese, con una fase “preliminare” in cui l’aggressore è amichevole e cerca di ottenere qualcosa da usare poi contro il proprio bersaglio. Quando Martina scoprirà che Nicholas non esiste e che è stato creato da un gruppo di bulle, che le foto che lei ha mandato sono state diffuse a tutta la scuola e che le sue amiche, che credeva tanto vicine, da un giorno all’altro hanno smesso di parlarle, quando la situazione diventerà talmente nera da tenerla sveglia di notte, da farla sussultare ad ogni notifica del cellulare (reale o immaginaria) e da farle pensare “tutti, ma proprio tutti su Internet, mi odiano”, allora, solo allora, Martina si renderà conto di essere vittima di cyberbullismo ma, siccome penserà che è colpa sua e si vergognerà di ciò che ha fatto, probabilmente non chiederà aiuto agli adulti e sarà sempre più intrappolata in un incubo senza uscita.
Fortunatamente, nel reale caso di Martina, è intervenuta un’amica che le ha passato i contatti di qualcuno a cui chiedere aiuto, dicendole una cosa fondamentale: l’aggressione digitale può essere sempre fermata. Meglio ancora sarebbe stato se Martina avesse saputo riconoscere la fase preliminare, perché avrebbe potuto interrompere questa brutta storia molto prima, in piena autonomia senza dover chiedere aiuto a nessuno. Da queste considerazioni, nel 2014, è nato lo Zanshin Tech, un’arte marziale pensata per preparare giovani ed adulti al conflitto digitale e per insegnare loro come fare a difendersi affinché possano vivere serenamente il loro rapporto con il mondo digitale.
L’approccio Zanshin Tech al cyberbullismo
Per la disciplina dello Zanshin Tech “cyberbullismo” vuol dire tutto e niente: sarebbe come dire “rapina” o “violenza sessuale”. Come ci si difende da una rapina o da una violenza sessuale? Le arti marziali fisiche ci dicono che tutto dipende dalle tecniche di attacco messe in atto dall’aggressore (una presa al polso, un calcio, un pugno) e ci insegnano che ad ogni azione può corrispondere una reazione (opposta o affine, Yang o Yin) che ci permette di controllare il nostro aggressore.
Lo Zanshin Tech porta tutto questo nel digitale, studiando il cyberbullismo, l’adescamento, il cyberstalking, le truffe online e molti altri tipi di aggressione, identificandone le singole tecniche e trovando poi, per ciascuna, la giusta difesa. Esistono molti studi sul cyberbullismo, ma la maggior parte di essi affronta il problema ex-post, osservandolo cioè dal punto di vista privilegiato di chi può vedere tutta la storia dall’inizio alla fine e trarre le sue conclusioni. Non c’è nulla di male a suddividere il cyberbullismo in categorie basate sullo scopo dell’aggressore , i reati compiuti o le conseguenze psicologiche causate alla vittima, ma questo tipo di approccio non può essere d’aiuto nel preparare i giovanissimi a riconoscere e fermare tali attacchi prima che sia troppo tardi; serve qualcosa di diverso: una suddivisione dell’aggressione in singole tecniche di attacco chiare, facilmente identificabili nel momento stesso in cui vengono attuate e tenendo sempre in considerazione il punto di vista di chi le subisce, che non è quello del narratore onnisciente, bensì quello, assolutamente parziale, di uno degli elementi dell’equazione.
Le tecniche di aggressione digitale
Le tecniche di attacco identificate dallo Zanshin Tech mirano a questo: a rendere palese la singola azione del l’aggressore, indipendentemente da quello che potrebbe essere il suo obiettivo finale o da quale tecnologia stia usando per attaccare. Ad oggi le tecniche identificate sono quindici e, sorprendentemente, con esse è possibile analizzare praticamente qualunque tipo di aggressione digitale. Un pedofilo utilizzerà quattro o cinque di queste tecniche, un cyberstalker ne utilizzerà altre, il truffatore avrà in comune con i precedenti alcune tecniche preliminari ma poi si concentrerà inevitabilmente su un paio di tecniche specifiche; il cyberbullo, invece, potrebbe utilizzarle tutte e quindici: nel cyberbullismo, infatti, è possibile osservare l’intero spettro di azioni aggressive.
Tutto ciò non è un caso: durante quel brevissimo ed intenso periodo che è l’adolescenza, l’essere umano si sente in grado di esplorare ogni possibilità, di muoversi in ogni direzione e tutto ciò avviene in un momento di “sospensione del giudizio” in cui le regole imposte di genitori nell’infanzia vengono messe in discussione e quelle vigenti nel mondo degli adulti non sono ancora sentite come proprie. Ecco allora che l’adolescente, maschio o femmina che sia, nel momento in cui decide di aggredire un coetaneo lo farà sperimentando ogni possibile strada, ogni metodo immaginabile, una esplorazione che nella maggior parte dei casi servirà a comprendere come funziona il conflitto e a renderlo un adulto più equilibrato, ma che, in alcuni individui con particolari fragilità o vissuti assai problematici, avrà invece come conseguenza il formalizzarsi di alcune tecniche specifiche che continueranno ad essere messe in pratica nell’età adulta, portandolo a diventare uno stalker, un adescatore e così via.
Nel cyberbullismo, almeno a quanto abbiamo potuto notare fino ad oggi a Zanshin Tech, si possono trovare le basi di ogni attacco ed è per questo che continuiamo ad analizzare questo fenomeno anche nei nostri corsi per adulti. Ma come fare a preparare una persona alla gestione del conflitto digitale? Quali sono gli elementi che non possono essere ignorati in un percorso di formazione e prevenzione? Ce lo siamo chiesti all’inizio della nostra attività, quando ancora non sapevamo cosa sarebbe scaturito dall’analisi dei casi che stavamo studiando. La risposta, almeno per noi, è arrivata da un mondo antico: quello delle arti marziali.
L’arte marziale come strumento educativo
Da secoli la tradizione marziale impiega alcuni elementi specifici per formare lo stato mentale del guerriero, gli stessi che ancora oggi vengono utilizzati per l’addestramento dei moderni soldati: disciplina, ordine, rispetto per sé e per gli altri, un codice di onore ferreo e tanto allenamento. Lo scopo fondamentale di questo percorso è creare un nuovo modo di pensare, una naturale predisposizione a mantenere il controllo di sé e ad agire con ferma decisione nel momento del bisogno. Ricordo che una volta, parlando con una persona di ciò che insegno nel dojo, mi sono sentito rispondere “ah sì, poi c’è anche tutta quella parte di filosofia mistica…”, frase accompagnata da un vago gesto della mano come ad indicare qualcosa di assolutamente superfluo. Nulla di più falso: la mente del guerriero si costruisce proprio con questi sistemi.
Supponete un attimo di vivere nel Giappone antico, un territorio affetto da uno stato di guerra permanente in cui è altamente probabile che, appena raggiunta l’età per combattere, verrete inviati su qualche fronte. Vi allenate quotidianamente accumulando ore ed ore di esperienza nel dojo, poi, un giorno, venite schierati in una vera battaglia. Vi ritrovate circondati dal fumo acre degli incendi, dall’odore del sangue, dalle urla dei vostri compagni; fate fatica a respirare con la pesante armatura addosso, non riuscite a mantenere bene l’equilibrio nel fango e come se non bastasse avete perso l’orientamento. Ad un certo punto vi trovate davanti un samurai dello schieramento avversario, vi guardate per qualche secondo e in cuor vostro sapete che almeno uno di voi due morirà nei prossimi minuti.
Vi salveranno le ore passate nel dojo ad allenarvi? Certo, la conoscenza tecnica è fondamentale, ma potrete utilizzarla solo se sarete ancora padroni di voi stessi, se il terrore non vi avrà paralizzato. Ecco allora che quelle parti “filosofiche” assumono improvvisamente una valenza maledettamente reale: tutte quelle ore passate a meditare per calmare la mente, a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo senza rimpianti né rimorsi, ora si rivelano fondamentali. Siete qui, ora, in questo momento, senza nulla che vi leghi al passato, senza alcun pensiero che vi faccia esitare, esiste solo questo istante.
La teoria
Zanshin (残心) è una parola giapponese che indica lo stato di concentrazione e consapevolezza, che il buon guerriero deve mantenere prima, durante e dopo una aggressione. La conoscenza tecnica è fondamentale, ovviamente, ma senza il giusto stato mentale può rivelarsi inutile: l’arte marziale non è uno sport, non è un passatempo né un modo per tenersi semplicemente in forma, l’arte marziale ha uno scopo tremendamente reale, quello di prepararvi a quel momento in cui qualcuno vorrà farvi del male, senza regole, senza arbitri, senza protezioni. In quel momento avere il giusto stato mentale può salvarvi la vita. Lo Zanshin Tech non è un corso di informatica e nemmeno una iniziativa accattivante per sensibilizzare i giovanissimi sui rischi della rete, lo Zanshin Tech è un’arte marziale, solo che invece di pugni e calci studia l’aggressione digitale e addestra a riconoscerla, prevenirla e fermarla. Attraverso un percorso lungo e individuale giovani ed adulti imparano a gestire le proprie emozioni e ad utilizzare la tecnologia prima e meglio di chi vorrà far loro del male; perché il mondo digitale di oggi è come il Giappone antico: prima o poi vi troverete in battaglia.
La mente corretta
Per imparare a difendersi in digitale la prima cosa da capire è che di cyberbullismo si muore: il male che ci possono fare online è reale e può portare a conseguenze tragiche. A Zanshin Tech impariamo ad usare correttamente i termini Reale, Virtuale, Digitale e Fisico e sappiamo che una aggressione digitale è reale. Non c’è nulla di peggio che dire ad un adolescente che ha trovato la forza di chiederci aiuto “non ci pensare sono solo cose virtuali” perché equivale a dire “non capisco il tuo mondo, cavatela da solo”; meglio accettare il problema come reale e cercare assieme una soluzione. La seconda cosa che insegniamo è che non siamo vittime ma bersagli: una vittima è colei che si arrende al suo aggressore, mentre tutti noi possiamo essere bersagli. Nell’equazione di una aggressione esiste un aggressore, un bersaglio e un collegamento (l’aggressione): come parte dell’equazione il bersaglio può influenzare il corso degli eventi.
Serve infine un elemento di equilibrio che viene dalle vie marziali giapponesi e che, purtroppo, noi occidentali a volte fatichiamo a comprendere appieno. Se in italiano, infatti, il termine marziale deriva dal dio Marte ed è quindi fortemente connesso all’idea di guerra e di impeto violento, in giapponese lo stesso termine, Bu (武), scomposto nei suoi elementi costitutivi diventa “fermare le armi” o, meglio ancora, “le armi fermano altre armi”[1]. L’ideale del Bushi, il guerriero giapponese, non è quindi quello di diventare un sanguinario conquistatore, bensì quello di mantenere la pace e l’armonia. Conscio della caducità della vita il Samurai si prepara alla guerra nella speranza di non dover mai estrarre la spada. Tutti questi elementi confluiscono nello Zanshin Tech ed affiancano ed integrano quel percorso altrimenti solo tecnologico che non raggiungerebbe lo scopo di preparare gli allievi ad affrontare il conflitto o, peggio ancora, che li porterebbe a compiere azioni non corrette.
Lo Zanshin Tech in pratica
I maestri devono confrontarsi con gli allievi, leggerne la comunicazione non verbale ed aiutarli a crescere: occorre un luogo fisico, un dojo dotato di computer e rete internet visto che sono quelli i nostri strumenti di combattimento. Le classi sono normalmente composte da una decina di persone divise in corsi separati per ragazzi ed adulti. Ogni lezione inizia e finisce con il saluto, un elemento di umiltà e rispetto che serve a staccare la mente dal mondo esterno, concentrarsi e rendere speciale ciò che verrà fatto nel dojo. I praticanti si dispongono quindi secondo il proprio grado, identificato da un bracciale colorato, e, al comando “Rei”, ci si saluta con il tradizionale inchino. Subito dopo il saluto iniziale si ripetono assieme le Regole del Dojo e l’ordine dei bracciali. La ripetizione delle regole è un elemento di coesione oltre che di formazione morale: come appartenenti alla disciplina ne riconosciamo il valore profondo e scegliamo quindi di seguire un codice di onore condiviso.
Le regole sono:
- Non attaccare: non userai ciò che impari qui per attaccare gli altri. Ad ogni praticante vengono insegnate le tecniche di attacco affinché possa riconoscerle e fermale, non perché possa applicarle. Ogni maestro poi ha la responsabilità di insegnare alcune tecniche “pericolose” solo a chi ritiene pronto a riceverle.
- Rispetto: il rispetto si deve ai propri maestri, ai compagni di pratica, a se stessi (cosa assai difficile da raggiungere) e al proprio aggressore. Sun Tzu ha scritto “Metti un esercito con le spalle al muro e combatterà fino alla morte, lasciagli una via di fuga onorevole e scapperà”: trattare con rispetto il proprio aggressore ci permette di raggiungere la vittoria più rapidamente e in maniera corretta.
- Ciò che si dice nel dojo resta nel dojo: il luogo di pratica è un ambiente sicuro e protetto in cui ciascuno di noi può, se vuole, condividere le proprie esperienze e le proprie debolezze sicuro che esse non vengano divulgate fuori dal gruppo. Questa regola è alla base della divisione dei corsi in ragazzi ed adulti: è necessario che tutti si sentano liberi di esprimersi.
- Almeno due maestri e tre allievi: si fa lezione solo con un minimo di persone, in modo da garantire ordine e rispetto dei ruoli ed evitare fraintendimenti o comportamenti scorretti.
- Si lascia il dojo come lo si è trovato: finita la pratica si rimette tutto a posto, non solo come forma di rispetto ma anche come via per imparare l’autodisciplina. Ricordate il guerriero sul campo di battaglia? Solo chi ha messo a posto il proprio dojo interiore non avrà esitazioni nel momento del conflitto.
Terminata la ripetizione delle regole e il ripasso sull’ordine dei bracciali (che vanno dal bianco al nero seguendo però, per i colori intermedi, la sequenza dei fili all’interno del cavo RJ45) si passa alla pratica vera e propria, diversa per ciascuna lezione. In alcuni casi i maestri divideranno la classe in gruppi più piccoli ed inizieranno attività differenziate a seconda dei vari livelli, servendosi anche del prezioso aiuto dei “senpai”, gli allievi più avanzati che si mettono al servizio dei compagni per aiutarli nel loro percorso, altre volte invece la classe si riunirà per ascoltare il racconto di un caso di aggressione e fare quindi un’esperienza profondamente emozionale. Le sessioni di pratica tecnologica includono lezioni di base su reti ed informatica, gestione della propria identità digitale e vere e proprie sessioni di indagini online (Osint) in cui gli allievi cercano di identificare un ipotetico aggressore raccogliendo le informazioni in maniera legale e con un formato adatto ad essere fornito alle forze dell’ordine[2].
Il racconto di un caso, invece, è un momento che unisce profondamente tutti i praticanti: in un ambiente attentamente curato viene illustrata la successione di eventi scaturiti da una aggressione online e, in alcuni casi, terminati tragicamente. Ogni praticante ha quindi modo di immedesimarsi nel bersaglio e di individuare, mentre la storia viene esposta, le tecniche di attacco e i segnali di allarme che si è addestrato a notare. Segue quindi un momento di decompressione guidato dai maestri in cui ciascuno può esprimere i propri sentimenti o raccontare una parte del proprio vissuto condividendolo con gli altri. L’analisi vera e propria viene poi fatta con l’ausilio di uno strumento informatico che permette di suddividere la storia in una successione di eventi distinti e di individuare graficamente sia le tecniche utilizzate nell’aggressione che i segnali di allarme che un praticante Zanshin Tech potrebbe notare anche qualora il soggetto degli attacchi fosse un amico o un conoscente. Quest’ultima parte è fondamentale per apprendere come essere di aiuto per gli altri e non solo come difendere se stessi.
Un terzo tipo di lezione è quello che affronta la parte più marziale, insegnando a pensare nel modo corretto e a gestire panico, ansia e aggressività. Le lezioni durano solitamente un’ora e mezza e si tengono con cadenza settimanale da ottobre a maggio circa. Il percorso è unico per ogni praticante e, come nelle arti marziali fisiche, non ha un termine prestabilito.
Una storia vera
Beatrice, come Martina di cui abbiamo già raccontato, ha 14 anni e come lei un giorno viene contattata su un social da un bel ragazzo, Fabio, che ha trovato il suo profilo online ed inizia quasi subito a corteggiarla. Beatrice però è un bracciale arancione di Zanshin Tech (il secondo grado). Fin dalla prima lezione le è stato detto di dare sempre per scontata la prima delle tecniche di attacco: la Falsa Identità. Beatrice quindi mantiene alta la guardia e decide, visto che il profilo di Fabio dice molto poco, di applicare un concetto fondamentale di tutte le arti marziali: quando il bersaglio di una aggressione si sposta, l’aggressore lo segue. Propone quindi a Fabio di spostarsi su Whatsapp portandolo così ad esporre il proprio numero di cellulare. Mentre lui continua la sua opera di seduzione (la seconda delle tecniche preliminari comune a quasi tutte le aggressioni digitali) Beatrice si mette ad indagare, scoprendo rapidamente che la persona con cui sta chattando è in realtà Alessandro, venticinquenne violento e fissato con il sesso (stando ai post che pubblica sui suoi veri profili social). Come prima cosa Beatrice respira e si calma: Zanshin. Poi telefona ai suoi maestri e forma una squadra di supporto per verificare quanto trovato, infine gli scrive in chat “Alessandro so chi sei”. L’aggressore interrompe bruscamente la comunicazione e pochi minuti dopo il profilo di Fabio scompare. Beatrice e la sua squadra raccolgono tutte le informazioni necessarie e provvedono quindi a fare una segnalazione alle forze dell’ordine.
Tutta la storia si è svolta nell’arco di pochi minuti. Non c’è nulla di eccezionale in questa storia, in effetti, eccetto forse un piccolo particolare: non si tratta di un racconto inventato ma di una delle tante storie vere che vedono protagonisti i Guerrieri Digitali Zanshin Tech: il modo migliore per spiegare come funziona questa strana disciplina.