La cybersecurity nazionale italiana si sta muovendo, succedono cose certo positive, ma troppo, troppo lentamente. Soprattutto se guardiamo a cosa fanno altri Paesi europei, che sembrano in un’altra dimensione, quanto a impegno. Molti notano con apprezzamento, all’estero, il particolare rapporto di collaborazione che in Italia si è instaurato tra il mondo della ricerca (di cui il nostro laboratorio) e l’intelligence, che guida l’architettura cyber nazionale.
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Tuttavia vedo che in Germania la cancelliera Merkel si è impegnata in prima persona per lo sviluppo della cybersecurity nazionale. Ha fatto nascere tre istituti di ricerca da 600 persone l’uno, che sviluppano competenze e workforce – proprio quelle che servono e che da noi scarseggiano. Gli istituti fanno “calcio mercato”, anche in Italia cercando di accaparrarsi oltre a ricercatori e docenti anche i migliori studenti attraverso una campagna di reclutamento massiccia. Investono su studenti di laurea in cybersecurity pagandogli gli studi e proponendogli uno stipendio mensile. Agli studenti di dottorato di questi istituti viene pagata la retta per fare un dottorato congiunto con Stanford, con l’impegno, per i ragazzi e le ragazze che ne beneficiano, poi di restare a offrire la propria opera nel proprio Paese per un certo numero di anni.
Questo permetterà in relativamente pochi anni di raggiungere quella workforce necessaria per soddisfare i bisogni del paese e delle sue infrastrutture critiche. Anche se è complesso in Italia pensare a una mobilizzazione di risorse simile a quella tedesca, un livello simile di impegno di sistema, il committment Paese, sui temi di cybersecurity, è quello che serve anche nel nostro paese.