Nell’ultimo mese, la rinnovata tensione tra Taiwan e la Cina si è fatta spazio sulle prime pagine di tutte le testate internazionali. Per i primi quattro giorni di ottobre, infatti, circa centocinquanta aerei da combattimento dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese sono entrati nella zona di identificazione per la difesa aerea dell’isola – senza entrare nello spazio aereo sovrano di Taiwan – facendo salire la tensione nella regione ai livelli più alti da quarant’anni.[1]
Secondo quanto riportato dal Fatto Quotidiano “da tempo le forze armate cinesi si esercitano per un’eventuale invasione per cui sarebbero già stati individuati i possibili punti di sbarco. Le autorità di Taipei temono che i piani di sbarco potrebbero essere perfezionati e “pronti all’uso” entro tre anni.”[2]
Taiwan, esempio di una democrazia digitale costruita dal basso
A centocinquanta chilometri al largo della Cina, nel Mar Cinese Meridionale, c’è infatti l’isola di Taiwan, su cui la Repubblica Popolare Cinese da anni reclama il controllo. Le frizioni bilaterali tra la Repubblica Popolare Cinese e Taiwan (nota anche come Repubblica di Cina – ROC) iniziarono all’indomani della vittoria di Mao sul governo nazionale cinese, quando il partito del Kuomintang, in carica al momento della grande marcia di Mao, si ritirò nell’isola di Taiwan proclamando l’istituzione della Repubblica di Cina. Da allora, i legami bilaterali tra le due entità sono stati caratterizzati da lunghi anni di totale assenza di dialogo, da un forte grado di reciproca ostilità e dal sostanziale obiettivo di Pechino di riunificare l’isola con la “mainland” (terraferma).
Oltre allo spazio aereo, un altro fronte su cui l’azione della Cina, a detta di Taiwan, si è fatta sempre più insistente, è quello cibernetico. Questo non sorprende se si considera la potenza di attacco del gigante asiatico. La Cina è considerata una delle potenze cibernetiche più forti al mondo. I responsabili politici cinesi hanno compreso come lo spazio informatico sia fondamentale nella competizione strategica e sono profondamente consapevoli delle trasformazioni militari che stanno avvenendo nell’arena internazionale, le quali “non solo hanno avuto un impatto significativo sul panorama politico e militare internazionale, ma hanno anche posto nuove e gravi sfide alla sicurezza militare della Cina.”[3]
Cyberwar: la capacità cibernetica offensiva della Cina
Clark e Knake sostengono che già dagli anni ’90 la Cina “abbia sistematicamente fatto tutte le cose che una nazione farebbe se contemplasse di avere una capacità cibernetica offensiva“, inclusa la creazione di gruppi di “hacker cittadini” non formalmente legati al governo, l’aumento delle attività di spionaggio informatico o l’adozione di misure per difendere il proprio spazio informatico.[4] Nel 2003, la Cina ha annunciato lo sviluppo di un programma di guerra cibernetica istituito tra il Terzo Dipartimento tecnico dell’Esercito di liberazione del popolo (PLA) e il Lingshui Signals Intelligence Facility.[5] È stato nel 2013, tuttavia, che in una nuova edizione di “The Science of Military Strategy”, il governo cinese ha riconosciuto pubblicamente l’esistenza di una forza d’attacco cibernetica integrata in una varietà di entità militari.
In questo contesto, non stupirebbe se fosse confermato che la Cina abbia sfruttato lo spazio cibernetico per sferrare attacchi contro l’isola di Taiwan. A tal proposito, il capo della sicurezza informatica di Taiwan ha confessato ai microfoni della CNN che Taiwan ha dovuto ricorrere a misure drastiche per difendere l’isola dalle vulnerabilità tecnologiche. Tra le altre, Taiwan ha impiegato circa due dozzine di esperti informatici per attaccare deliberatamente i sistemi del governo e aiutarlo a difendersi dagli attacchi informatici che ammontano, secondo quanto stimato dalle autorità taiwanesi, tra i 20 e i 40 milioni ogni mese.[6] Questo scenario appare ancora più drammatico se si considera il livello di penetrazione digitale dell’isola ed il fatto che la maggior parte delle infrastrutture critiche del paese sono altamente digitalizzate, e possono quindi essere facilmente attaccabili se non adeguatamente protette.
Secondo Chien Hung-wei, capo del Dipartimento di sicurezza informatica di Taiwan, “sulla base delle azioni e della metodologia degli aggressori, abbiamo un grado piuttosto elevato di fiducia che molti attacchi siano stati originati dalla Cina continentale.”[7] Dal canto suo, la Cina ha ripetutamente e fermamente negato di aver lanciato attacchi informatici contro Taiwan. In una dichiarazione alla CNN, il Ministero degli Affari Esteri ha definito le accuse dell’isola “infondate e puramente maligne”. L’ufficio cinese per gli affari di Taiwan ha anche criticato le autorità taiwanesi per aver utilizzato gli attacchi informatici di luglio per infangare Pechino e distogliere l’attenzione dalla mala gestione della pandemia.[8]
Le presunte campagne di disinformazione e spionaggio della Cina su Taiwan
A questo proposito, un altro aspetto interessante della strategia cinese verso Taiwan è quello delle campagne di disinformazione. Gran parte delle presunte campagne di disinformazione portate avanti da Pechino sulla pandemia di Covid-19 hanno infatti preso di mira Taiwan. Secondo quanto riportato dal National Bureau of Asian Research, da gennaio a metà aprile 2020, Puma Shen, assistente professore presso la National Taipei University e direttore del Doublethink Lab, ha analizzato i 130.000 articoli cinesi (tra post sui social media e notizie) contenenti le parole 武漢 (Wuhan), il luogo dove inizialmente è emerso il Covid-19, e 肺炎 (fei yan, polmonite), la patologia più comune tra i pazienti di Covid-19. Secondo l’analisi di Puma Shen, esistono almeno tre tipi di “disinformazione cinese relativa al Covid-19 a Taiwan: (1) Covid-19 è solo un’influenza, (2) Covid-19 è molto più grave a Taiwan di quanto i media o il governo riportino, (3) il virus Covid-19 è arrivato dagli Stati Uniti.”[9]
In aggiunta alle campagne di disinformazione, a giugno di quest’anno, la società di sicurezza informatica statunitense Recorded Future ha affermato che un gruppo plausibilmente legato dallo stato cinese stava indirizzando la propria attività di spionaggio verso l’Industrial Technology Research Institute, un istituto di ricerca hi-tech di Taiwan.[10]
L’obiettivo dell’ITRI è ragguardevole in quanto l’istituto di ricerca e sviluppo ha creato e incubato la maggior parte delle aziende tecnologiche taiwanesi. Secondo il sito web dell’ITRI,[11] l’organizzazione è particolarmente focalizzata su progetti di ricerca e sviluppo relativi a vita intelligente, salute, ambiente sostenibile e tecnologia, e molti dei progetti dell’ITRI ricalcano le priorità di sviluppo nell’ambito del 14° piano quinquennale della Cina.
Secondo l’Industrial Technology Research Institute, negli ultimi anni i gruppi cinesi hanno preso di mira molteplici organizzazioni nell’industria dei semiconduttori di Taiwan per ottenere codice sorgente, kit di sviluppo software e progetti di chip.[12]
Cyberwar: il ruolo di Taiwan nell’industria dei semiconduttori
In questo contesto è importante ricordare come Taiwan sia anche un punto nodale nelle catene di approvvigionamento globali in settori come i semiconduttori, l’intelligenza artificiale e le biotecnologie e per questo al centro della crescente competizione tra Washington e Pechino.
Semiconduttori, Usa e Ue a confronto: scenari e frizioni di un Risiko sempre più complesso
Per esempio, la prima fonderia al mondo di semiconduttori – aziende che traducono i progetti per la realizzazione dei chip nelle vere e proprie componenti elettroniche – è stata costruita a Taiwan. La Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), è stata fondata nel 1987; a partire dal 2015 rimane il più grande produttore globale di componenti di silicio, con una quota di mercato di circa il 55%. La TSMC è anche ad oggi una delle uniche aziende al mondo in grado di produrre chip di ultima generazione da 5nm. Un esempio di 5nm chip è il A14 bionic, che Apple ha definito come il più veloce in commercio nel mercato degli smartphone ed ha installato nei suoi ultimi modelli di I-Phone. Per avere un’idea della posizione del mercato di TSMC, basti pensare che la Semiconductor Manufacturing International Corporation (SMIC), una delle più grandi fonderie cinesi, è considerata in ritardo di almeno tre o quattro anni rispetto a TSMC.
Producendo più della metà del fabbisogno mondiale di microchip, secondo quanto riportato da Claudia Cavaliere, Taiwan “durante la pandemia è stata un faro per molte economie occidentali che, di fronte alle catene globali del valore interrotte e nel bel mezzo della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, l’hanno riconosciuta come l’economia a cui guardare.”[13] È quindi evidente quanto dirompente sugli equilibri del mercato globale potrebbe essere un’effettiva riunificazione dei due territori a cavallo dello stretto, o comunque un’eventuale intensificazione delle tensioni in quell’area geografica.
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- https://thevision.com/attualita/taiwan-cina-tecnologia/ ↑
- https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/10/10/sale-ancora-la-tensione-tra-cina-e-taiwan-pechino-respinge-lofferta-di-colloqui-avanzata-dal-governo-dellisola-del-pacifico/6349683/ ↑
- https://www.iai.it/en/pubblicazioni/non-proliferation-regime-cyber-weapons ↑
- Richard A. Clark and Robert Knake, “Cyber War: The Next Threat to National Security and What to do about it”, New York: Harper Collins, 2010 ↑
- Joe McReynolds, “China’s evolving perspectives on Network Warfare: Lessons from the Science of Military Strategy”, China Brief, Vol. 15, No.8, 2015, pp. 3-6 ↑
- https://edition.cnn.com/2021/07/23/tech/taiwan-china-cybersecurity-intl-hnk/index.html ↑
- Ibid. ↑
- Ibid. ↑
- https://www.nbr.org/publication/chinas-disinformation-campaign-in-taiwan-about-covid-19/ ↑
- https://www.recordedfuture.com/chinese-group-tag-22-targets-nepal-philippines-taiwan/ ↑
- https://www.itri.org.tw/english/ListStyle.aspx?DisplayStyle=20&SiteID=1&MmmID=617731521661672477 ↑
- https://www.wired.com/story/chinese-hackers-taiwan-semiconductor-industry-skeleton-key/ ↑
- https://thevision.com/attualita/taiwan-cina-tecnologia/ ↑