Con la recente approvazione del Digital Services Act (DSA), la Ue compie un importante passo avanti verso l’effettiva sovranità digitale, bilanciando il diritto delle imprese ad essere profittevoli con quelli dei cittadini, garantendo loro un maggior controllo sui loro dati e sulla veridicità delle informazioni reperibili in rete.
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GDPR, DMA e DSA: il pilastro della sovranità digitale dell’Unione
Il Digital Services Act è un nuovo pacchetto di norme vincolanti per tutte le imprese operanti all’interno dell’Unione Europea (e, quindi, è applicabile anche alle Big Tech d’oltreoceano) animato da un semplice principio, riassunto dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen nel comunicato stampa pubblicato sul sito dell’organo esecutivo in “what is illegal offline, should be illegal online”, ossia “ciò che è illegale offline dovrebbe esserlo anche online”. In poche parole, il DSA mira a creare un ambiente online più sicuro, salvaguardando sia la libertà di espressione che le opportunità per i business digitali.
Anche se il testo definitivo non è ancora disponibile, dato che la nuova normativa dovrà essere prima approvata dal Consiglio Europeo e dal Parlamento Europeo, grazie al DSA, tutti i cittadini europei potranno riprendere il controllo della loro vita digitale, dato che la legge, dopo la sua entrata in vigore prevista, al più tardi, per il 1° gennaio 2024, porrà ulteriori limiti ai principali destinatari della normativa, ossia le Big Tech che gestiscono piattaforme con più di 45 milioni di utenti attivi, già definite come gatekeeper dal Digital Market Act, approvato in via definitiva a marzo 2022.
Alcune altre disposizioni si applicheranno anche a operatori digitali minori, come gli hosting provider.
Dunque, GDPR, DMA e DSA creano i pilastri per la sovranità digitale dell’Unione, dato che i gatekeeper non opereranno più in una terra (virtuale) di nessuno, ma in un contesto ben disciplinato e organizzato.
Il Framework del Digital Services Act
I principi ispiratori del DSA sono i valori costitutivi dell’Unione Europea: il rispetto dei diritti umani, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza e l’assoggettabilità di ogni cittadino ed impresa alle medesime regole. Il DSA, infatti, non intende imporre nuovi ed immotivati obblighi ai gatekeeper, ma bilanciare il loro diritto di fare impresa con i diritti dei cittadini. È uno schema già adottato con il GDPR, dal quale il DSA mutua anche l’approccio basato sul rischio. Infatti, la nuova normativa dovrebbe limitarsi a definire il perimetro di applicabilità e le azioni che le imprese saranno chiamate ad effettuare per essere compliant ad essa, ma queste ultime, dopo aver adottato le matrici di valutazione che riterranno opportune, dovranno decidere quali misure applicare e come farlo.
Il framework previsto dal DSA conterrà misure per il contrasto della diffusione dei beni, servizi o contenuti illegali online, altre per rafforzare i diritti degli utenti e, infine, misure per la mitigazione dei rischi.
Quanto alle prime misure, le piattaforme dovranno prevedere un meccanismo per gli utenti per segnalare i contenuti di dubbia provenienza e collaborare con i cosiddetti trusted flaggers, ossia con quei soggetti che dovranno occuparsi del fact-checking o della verifica della liceità dei beni e dei contenuti reperibili sulle piattaforme. Si parla solo di meccanismi di segnalazione e non di rimozione tout-court, dato che, ciò che può essere legale in uno Stato potrebbe non esserlo in un’altra nazione. Ancora, i gatekeeper che gestiscono le piattaforme di e-market dovranno implementare nuove funzioni per la tracciabilità degli utenti business, verificandone l’identità, di modo da tutelare ulteriormente i consumatori e ridurre drasticamente i comportamenti scorretti.
Sempre nell’alveo del primo gruppo di previsioni, il DSA garantirà ai cittadini un maggior potere nei confronti dei gatekeeper: chiunque potrà contestare una decisione sulla moderazione dei contenuti da parte delle piattaforme ed ottenere un ristoro ove questa sia stata assunta illecitamente. Il DSA prevede che le contestazioni potranno avvenire sia per via giudiziale che tramite il ricorso agli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie. Le piattaforme dovranno garantire l’accesso ai dati delle ricerche, in particolar modo alle ONG, di modo che si possa analizzare approfonditamente l’evoluzione dei rischi online. Infine, le Big Tech dovranno essere votate alla trasparenza, chiarendo come funzionano gli algoritmi da loro usati per la raccomandazione dei contenuti e dei prodotti agli utenti.
Il secondo gruppo di disposizioni, invece, è dedicato agli strumenti per rilevare e mitigare i rischi, come l’obbligo per i motori di ricerca più grandi di implementare meccanismi che prevengano il loro potenziale uso scorretto e di prevedere audit indipendenti dei loro sistemi di gestione del rischio. Inoltre, le Big Tech dovranno adottare procedure che consentano il rapido intervento nel caso di eventi critici per la sicurezza o la salute pubblica. Tale disposizione è stata meglio specificata in seguito al conflitto fra Russia e Ucraina, visto che da più fronti è pervenuto il suggerimento di inserire un obbligo per il monitoraggio delle informazioni che transitano sulle piattaforme, di modo che siano attuati dei protocolli che impediscano la ricerca di fatti o circostanze ritenute illegali.
Facendo seguito al disposto del GDPR, alle raccomandazioni dell’EDPB e delle Autorità Garanti nazionali, tra cui quella italiana che, da sempre, s’è battuta in tal senso, i gatekeeper non potranno usare le c.d. categorie particolari di dati personali (cioè quelli che volgarmente vengono definiti ancora impropriamente come “dati sensibili”) per la profilazione degli utenti.
La supervisione e il controllo da parte della Commissione
Ho lasciato volontariamente a parte il terzo ramo di misure, dato che è quello che rappresenta la maggior criticità della normativa: infatti, la Commissione Europea supervisionerà sull’applicazione del DSA. A differenza del GDPR, infatti, le Big Tech non risponderanno ad Autorità di vigilanza nazionali, ma direttamente alla Commissione che, per ora, ha annunciato che il DSA comporterà l’assunzione di altri 230 dipendenti: un numero piuttosto esiguo, ove solo si pensi al traffico di dati generato dalle piattaforme soggette al DSA e alle istanze che potranno muovere i cittadini europei per la tutela dei loro diritti.
Ad ogni modo, chi sarà giudicato inadempiente, rischia sanzioni sino al 6% del fatturato dell’anno precedente: un valore altissimo, se sol si pensa che si riferisce ai ricavi e non effettivamente agli utili conseguiti dalle imprese.
L’accoglienza da parte dei gatekeeper
Nemmeno a dirsi, quasi tutte le Big Tech hanno rifiutato di commentare la notizia dell’accordo raggiunto dalla Commissione sul DSA, tranne Google che, invece, si è rivelata entusiasta della nuova normativa e, addirittura, ha rivelato di condividerne i principi, mettendosi a disposizione dell’UE per definirne le policy. Twitter, dal conto suo, ha semplicemente dichiarato che la sua priorità è sempre stata quella di mantenere la sicurezza online delle persone, ma, comunque, si riserverà ogni altra valutazione dopo aver esaminato le previsioni del DSA.
Quale futuro per la sovranità digitale dell’UE?
Come ho avuto modo di dire, il DSA pone un’altra importante pietra miliare per la sovranità digitale dell’Unione Europea, visto che le piattaforme più grandi, da sempre abituate a muoversi in un territorio non ben disciplinato, dovranno adeguarsi al più presto alle previsioni della nuova normativa. Il nodo di tutto questo sarà ovviamente il controllo sull’applicazione della normativa: secondo Tommaso Valletti, già top economist per la Commissione, le 230 assunzioni prospettate sono totalmente inadeguate per il perseguimento dei fini della normativa, tanto che l’UE rischia di non rendere il DSA efficace: infatti, come già per il GDPR e la normativa antitrust, elevare sanzioni ad aziende con fondi apparentemente illimitati non servirebbe a molto, a meno che non si impongano loro anche dei cambiamenti strutturali.
Insomma, le premesse per un web a misura di cittadino ci sono tutte, purché, però, il GDPR, il DMA e il DSA siano effettivamente applicati.