monitoraggio a lavoro

Dipendenti sempre più spiati dalle aziende: così il lavoro diventa una trappola

Sistemi in grado di monitorare la digitazione dei tasti, la posizione della webcam, del desktop e della posta elettronica, così come di acquisire foto, anche all’insaputa degli utenti, o attivare permanentemente i microfoni: benvenuti nell’era della sorveglianza aziendale senza sosta. La denuncia dell’Economist

Pubblicato il 16 Giu 2022

Angelo Alù

studioso di processi di innovazione tecnologica e digitale

Thanks to Tobias Tullius for sharing their work on Unsplash

La sorveglianza dei lavoratori da parte delle aziende sta assumendo contorni orwelliani. In uffici iper-sorvegliati, dotati di svariati sofisticati sensori, i dipendenti vengono tenuti d’occhio senza sosta: una sorta di “Grande Fratello” applicato alle dinamiche occupazionali, di cui ci rende edotti un articolo di “The Economist”, con una serie di evidenze empiriche e report di settore che descrivono un preoccupante trend di incremento esponenziale del monitoraggio.

La tecnologia per spiare il lavoratore: ma così (anche) l’economia soffre

Dipendenti sempre più sorvegliati sul posto di lavoro

Emblematico, in tal senso, lo studio pubblicato dalla Commissione europea da cui si evince il ricorso massivo a strumenti di controllo in grado di monitorare il comportamento dei dipendenti nei luoghi di lavoro (anche rispetto al tracciamento di aspetti prettamente personali, ben oltre la – comunque discutibile – profilazione professionale, di posizione e movimento) come tendenza in costante crescita soprattutto durante la pandemia “Covid-19”.

Ciò, a maggior ragione in conseguenza dell’utilizzo generalizzato di piattaforme telematiche, strumenti di web-conference e workshop online: in altri termini, l’avvento del cosiddetto smart working (intenso in senso lato come formula polisemica omnicomprensiva di qualsivoglia attività professionale svolta da remoto) lungi dal generare un’auspicabile benessere psico-fisico del lavoratore, ha accentuato la potenza di calcolo prodotta dagli algoritmi. Questi sono sempre più spesso applicati alla stregua di indicatori utili per monitorare la performance dei lavoratori secondo esclusive logiche profittevoli di competitività e produttività oggetto di costante controllo mediante l’implementazione di sistemi invasivi in grado di monitorare la digitazione dei tasti, la posizione della webcam, del desktop e della posta elettronica, così come l’acquisizione di foto, anche all’insaputa degli utenti, o l’attivazione permanente di microfoni, al punto da aggravare lo stress dei dipendenti, piuttosto che ridurlo.

Al riguardo, un articolo del “The Guardian” fornisce una ricognizione esaustiva delle insidie che tali strumenti determinano, anche tenuto conto degli ulteriori effetti negativi sul tracciamento dei relativi dati processati da sempre più evolute applicazioni di Intelligenza Artificiale, tra l’altro in grado di attribuire un punteggio all’attività lavorativa eseguita dal singolo dipendente.

Gli strumenti usati per spiare la produttività dei  dipendenti

Si pensi al noto “Bossware” (oggetto di specifico approfondimento a cura del giornale britannico), come peculiare sistema di sorveglianza che consente alle aziende di spiare la produttività dei propri dipendenti, senza spesso ottenere il preventivo consenso allo svolgimento della predetta operazione di trattamento, sebbene mediante tale strumento sia possibile registrare persino ogni click o pressione dei tasti, raccogliendo praticamente tutto ciò che riguarda l’attività dell’utente, compreso il tracciamento della posizione sulla base dei dati GPS, o addirittura l’attivazione segreta di webcam e microfoni sui dispositivi dei lavoratori.

Particolarmente critico, sempre secondo il citato articolo del “The Guardian”, è anche il sistema RemoteDesk, basato sull’implementazione di un’applicazione di IA, per verificare l’attività dei lavoratori, attraverso l’uso di una tecnologia di rilevazione associata all’attivazione della webcam in grado di tracciare il riconoscimento facciale in tempo reale, al pari di ulteriori strumenti che registrano i video degli schermi degli utenti o scattano periodicamente foto per assicurarsi che i lavoratori siano sempre operativi davanti la postazione del proprio computer.

Gli esempi indicati, peraltro, rappresentano soltanto la “punta di un iceberg” riferibile a un fenomeno verosimilmente sottostimato se si considera che, secondo un sondaggio realizzato da Digital.com (riportato dal “The Guardian”), rispetto a 1250 datori di lavoro operanti negli USA, “il 60% delle aziende con dipendenti che lavorano in remoto utilizza software di monitoraggio per controllare l’attività dei dipendenti […] mentre il 17% lo sta prendendo in considerazione”, a fronte del 14% dei dipendenti ignari invece dell’esistenza di tali strumenti.

L’impatto di strumenti di monitoraggio pervasivi

Inoltre, “l’88% dei datori di lavoro ha licenziato i lavoratori dopo aver implementato un software di monitoraggio”, come strumento in grado di assicurare in ogni caso un “aumento della produttività dei lavoratori” (attestato all’81% dei casi rilevati). Nella maggior parte dei casi, i software utilizzati sono in grado di monitorare la navigazione sul Web e l’utilizzo delle applicazioni (76%), acquisire schermate casuali (60%), nonché bloccare contenuti e applicazioni (54%) e registrare le sequenze di tasti (44%).

Secondo il citato studio, “il motivo principale per cui i datori di lavoro richiedono un software di monitoraggio è capire meglio come i dipendenti trascorrono il loro tempo (79%). I datori di lavoro vogliono anche confermare che i dipendenti lavorino un’intera giornata (65%) e assicurarsi che non utilizzino attrezzature di lavoro per finalità personali (50%)”.

L’impatto di tali sistemi è talmente pervasivo sulla performance lavorativa monitorata al punto da provocare il licenziamento dei dipendenti ritenuti responsabili di comportamenti carenti e insufficienti rispetto agli standard di efficienza stabiliti dalle aziende, tenuto conto che “il 25% dei datori di lavoro ha licenziato tra 1 a 10 dipendenti a seguito del monitoraggio delle proprie abitudini di produttività, mentre il 21% ha licenziato tra 51 e 100 dipendenti”: come si evince appunto dai dati riportati nel citato studio.

L’obbligo di informare i lavoratori

Di fronte a tale crescente fenomeno, sul piano normativo, di recente è stata emanata dallo Stato di New York una legge, applicabile a tutti i datori di lavoro privati operanti ​​all’interno dello Stato, indipendentemente dalle dimensioni o dal tipo di attività svolta, che, sulla falsariga di analoghe discipline adottate altrove (Connecticut e Delaware), pone a carico delle aziende, a pena di elevate sanzioni pecuniarie, uno specifico obbligo informativo da assolvere in forma scritta per consentire che i lavoratori siano in grado di conoscere previamente in anticipo l’uso di qualsivoglia sistema di monitoraggio installato ai fini dell’accesso e dell’utilizzo di telefoni, di e-mail e di Internet.

Nonostante il tentativo di normare la materia per ridurre al minino i rischi connessi all’utilizzo di strumenti di sorveglianza aziendale, resta centrale e di fatto irrisolto, al netto della teorica attenzione enunciata sul piano politico e giuridico, il problema di tutela configurabile nei confronti dei lavoratori sempre più esposti al pericolo di insidiose attività di spionaggio in grado di monitorare l’attività prestata, da cui discendono, al netto dei potenziali benefici di produttività nell’interesse esclusivo del datore di lavoro, preoccupanti implicazioni negative a discapito della protezione dei dati personali e della sicurezza individuale.

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