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European Media Freedom Act, sì allo spyware ai giornalisti per “proteggere” le elezioni



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C’è stata una prima approvazione dell’European Media Freedom Act, al Parlamento Ue. Ma il testo permette di intercettare i giornalisti con spyware. Per l’esigenza, presunta, di proteggere le prossime elezioni europee da interferenze e disinformazione

Pubblicato il 5 ott 2023

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017



disinformazione, fake news

Il 3 ottobre del 2023 il Parlamento Europeo ha approvato in via definitiva l’EMFA, ossia l’European Media Freedom Act; per la conclusione dell’iter legislativo, però, il testo dovrà passare dal Consiglio: data prevista, il 18 ottobre 2023.

L’EMFA prevede, in linea generale, “l’obbligo per i Paesi Ue di garantire la pluralità dei media e di proteggerne l’indipendenza da interferenze governative, politiche, economiche o private”.

Intercettare i giornalisti con spyware: le incognite del Media Freedom Act

A 16 anni esatti dalla “esplosione” del caso Wikileaks (il 4 ottobre 2006) che, dando in pasto all’opinione pubblica notizie e contenuti riservati del Pentagono ha rivoluzionato, nel bene e nel male, l’informazione occidentale, l’approvazione del Media Freedom Act è un passo avanti. È anche vero, però, che l’articolo 4 nasconde insidie, infatti gli Stati membri non potranno “installare spyware in qualsiasi dispositivo o macchina utilizzata dai fornitori di servizi di media o, se del caso, dai loro familiari, dai loro dipendenti o dai loro familiari, a meno che l’impiego non sia giustificato, caso per caso, da motivi di sicurezza nazionale”.

In altri termini, in caso di esigenze legate alla sicurezza nazionale, i malware denominati trojan horses potranno essere installati nei devices dei giornalisti nei limiti previsti dall’articolo 52 della Carta di Nizza, che al primo comma dispone quanto segue: “Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”.

Il passaggio è cruciale: significa che un Julian Assange potrà essere intercettato anche se iscritto all’ordine dei giornalisti.

Questi ultimi dovranno convivere con la possibilità di essere intercettati: la pubblicazione delle conversazioni altrui sarà così entusiasmante, ora che è caduto questo tabù?

L’approvazione dell’EMFA da parte del parlamento europeo con un testo che prepara alla possibilità di intercettare i giornalisti appare, a tutti gli effetti, un dato politicamente collegato all’esigenza di “controllare” le prossime elezioni europee, proteggendo gli elettori da pericolose intrusioni di disinformazione e propaganda ostili. Operate – questa si presume la ratio del documento – tramite giornalisti al soldo di potenze straniere e quindi da intercettare per motivi di sicurezza nazionale.

Il rapporto delle Big Tech sulla trasparenza dei servizi

Un’ansia da prestazione elettorale che si legge anche nel comunicato stampa della Commissione europea sul secondo rapporto fornito dalle big tech sulla trasparenza dei servizi ad opera dei soggetti che hanno sottoscritto il protocollo sulla disinformazione del 2022 e che saluta il miglioramento delle piattaforme nel rendere trasparenti i dati relativi ai propri interventi.

Un maggiore approfondimento dovrebbe essere possibile già dal rapporto successivo, previsto per il gennaio 2024, grazie agli interventi dell’intelligenza artificiale generativa.

Un dato che interessa molto alla Commissione europea, la cui prima preoccupazione è la disinformazione o, comunque, la possibilità che campagne social di propaganda determinino situazioni analoghe a quelle della Brexit, il cui risultato elettorale fu fortemente influenzato dallo scaldalo di Cambridge Analytica.

Infatti, la prossima serie di rapporti conterrà un capitolo specifico sulla lotta alla disinformazione in ambito elettorale.

Non a caso Thierry Breton, commissario per il Mercato interno, ha si è espresso nei seguenti termini: “L’integrità delle elezioni è una delle nostre priorità per l’applicazione della legge sui servizi digitali, poiché stiamo entrando in un periodo elettorale in Europa. In questo esercizio ci basiamo sulle nostre competenze interne, sviluppate negli anni anche grazie all’esperienza con il Codice di buone pratiche sulla disinformazione. I rapporti pubblicati oggi forniscono importanti spunti su come le piattaforme combattono la disinformazione online e forniranno informazioni utili per la nostra valutazione delle misure VLOP messe in atto per conformarsi al DSA”.

È giusto il caso di notare come il DSA sia accostato, anche in termini di protezione dei risultati elettorali, al mercato interno, in questo caso al mercato delle piattaforme (ed ai motori di ricerca) online di grandi dimensioni.

I dati rilevanti del rapporto

Google afferma di ver impedito che 31 milioni di euro in pubblicità fossero versati a soggetti che praticano disinformazione, mentre meta ha fatto i conti con il fact-checking, inserendo un’etichetta sui contenuti verificati: il risultato statistico dice il 95% degli utenti ha evitato i contenuti “bollati” come fake.

TikTok ha riferito, invece che circa il 30% degli utenti blocca la condivisione dei contenuti che riportano la dicitura “non verificato”; il dato letto al contrario – ovvero “correttamente” – significa però che il 70% circa degli utenti di TikTok ignora serenamente la verifica dei contenuti.

Per quanto riguarda il fronte ucraino, Google ha dichiarato che YouTube ha chiuso 411 canali e 10 blog legati all’Internet Research Agency (IRA) sponsorizzata dalla Federazione russa solo tra gennaio e aprile 2023.

Conclusioni

Più dati, più interessanti, con maggiore pressione dalla politica europea, quantomeno lato Commissione sulle big tech perché siano sempre più dei partner strategici e sempre meno un far west in pieno libero mercato.

L’ansia da prestazione elettorale si legge benissimo nel comunicato stampa della Commissione, così come è chiaro che l’avvento dell’AI generativa ha determinato un aumento delle aspettative sui controlli e sulla richiesta di dati raffinati e di statistiche precise da parte delle big tech.

Il fenomeno è interessante, ma non entusiasmante, perché il rischio concreto è che i social diventino delle succursali della Commissione europea, più che delle piattaforme che offrono servizi.

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