Il vento, nei confronti delle big tech e dei loro comportamenti abusivi sta cambiando non solo in Europa, ma anche oltreoceano. Tutti gli esperti hanno interpretato così l’avvio delle indagini antitrust contro Facebook, nei giorni scorsi. Diversi i profili di accusa nei confronti del social network, nei cui confronti vengono proposti rimedi atti a limitarne il potere sempre più pervasivo.
Le big tech – sotto indagine negli Usa e da noi anche Amazon, Google, Apple – sono accusate di soffocare l’innovazione, di eccessiva concentrazione di mercato con pratiche anche scorrette e acquisizioni. Ma in certi casi di abusi nei confronti dei dati degli utenti.
In particolare contro Facebook ora un fronte congiunto bipartisan formato da 48 Stati, capitanati dalla procura generale di New York, e dalla Federal Trade Commission, ha denunciato il colosso del web per aver ripetutamente violato, nel corso degli anni, la normativa antitrust.
L’evento scatenante sarebbe stata l’indagine condotta dalle autorità parlamentari nel corso dell’anno, dalla quale sono emerse alcune scottanti comunicazioni interne di Facebook, incluse delle e-mail di Mark Zuckerberg inerenti all’operazione di acquisizione di Instagram, nelle quali si ipotizzava la “distruzione” della posizione economica della (allora) piccola Instagram nel caso di un suo rifiuto alla proposta di acquisto.
I profili di accusa a Facebook
I presunti comportamenti abusivi posti in essere da Facebook, al fine di ottenere, conservare ed ampliare la propria posizione di predominio del mercato digitale, oggetto delle odierne accuse, appartengono principalmente a tre tipologie:
Acquisizioni illecite della concorrenza
Facebook, nel corso dell’ultimo decennio, avrebbe posto in essere oltre 50 acquisizioni di società, al fine di dotare la propria piattaforma di nuove funzionalità “concorrenti”. Tra queste, spiccano le acquisizioni di Instagram nel 2012 per un miliardo di dollari e di Whatsapp, nel 2014, per ben 19 miliardi di dollari. “Il gigante dei social network ha acquisito illegalmente concorrenti in modo predatorio e ha tagliato i servizi a minacce minori”, si legge nel comunicato[1] della procura generale di New York “privando gli utenti dei vantaggi della concorrenza e riducendo le protezioni e i servizi sulla privacy lungo il percorso – il tutto nel tentativo di aumentare i suoi profitti attraverso maggiori entrate pubblicitarie”. L’acquisizione massiva della concorrenza avrebbe, inoltre, consentito alla Big Tech di creare un vero e proprio ecosistema chiuso, all’interno del quale trattenere la propria utenza. Insomma, un mercato digitale che non lascia ai consumatori alternative, opzioni di scelta differenziate, e che ne altera inevitabilmente gli equilibri, in piena violazione dei principi fondanti le normative antitrust.
In particolare, in merito alle acquisizioni di Instagram e Whatsapp, la procura generale di New York afferma “Facebook e Zuckerberg hanno visto Instagram come una minaccia diretta subito dopo il lancio dell’azienda. Dopo aver inizialmente cercato di costruire la propria versione di Instagram che non ha guadagnato attrazione, Zuckerberg ha ammesso, all’inizio del 2012, che Facebook era “molto indietro” a Instagram e una strategia migliore sarebbe stata “prendere in considerazione la possibilità di pagare un sacco di soldi” per l’app di condivisione di foto nel tentativo di “neutralizzare un potenziale concorrente“. Pochi mesi dopo, nell’aprile 2012, Facebook ha acquisito Instagram per $ 1 miliardo, nonostante la società non avesse un solo centesimo di entrate e si sia valutata a soli $ 500 milioni. Zuckerberg ha offerto ai proprietari di Instagram il doppio della valutazione che Instagram aveva fatto anche se Zuckerberg in precedenza aveva descritto il valore iniziale di 500 milioni di dollari come “folle”.
Anche l’app di messaggistica mobile WhatsApp rappresentava una minaccia unica per la crescita di Facebook, offrendo agli utenti la possibilità di inviare messaggi sui propri dispositivi mobili sia uno-a-uno che ai gruppi. Mentre Facebook si concentrava su diversi servizi di messaggistica mobile emergenti, WhatsApp è stato visto come il “leader di categoria” con oltre 400 milioni di utenti attivi in tutto il mondo nel 2014 e quello che potrebbe potenzialmente fornire la più grande minaccia. Facebook temeva che WhatsApp erodesse il suo potere monopolistico, affermando che WhatsApp o prodotti simili rappresentavano “la più grande minaccia competitiva che dobbiamo affrontare come azienda”.
Facebook era anche preoccupato che WhatsApp potesse alla fine essere acquistato da un colosso concorrente che in precedenza aveva mostrato interesse per i social network, vale a dire Google. Questo ha portato Facebook, nel febbraio 2014, ad acquisire WhatsApp per quasi $ 19 miliardi – molto di più dello stravagante prezzo che Zuckerberg aveva raccomandato di pagare pochi mesi prima e dei 100 milioni di dollari offerti da un altro concorrente per acquistare la società due anni prima.”.
Lesione della privacy dei consumatori a fini anticoncorrenziali
Sebbene i servizi forniti da Facebook siano stati rivoluzionari, anche per la gratuità connessa agli stessi, non bisogna dimenticare che quest’ultima è compensata, per la Big Tech, dall’utilizzo dei dati personali dei propri utenti a fini commerciali. I guadagni di Facebook, infatti, derivano in larga parte proprio dalla vendita di spazi pubblicitari a società terze, che possono usufruire, dietro lauto compenso, di un targeting della potenziale clientela estremamente affinato, fondato proprio sulla raccolta e sulla attenta analisi dei contenuti condivisi dagli utenti, nonché dalle preferenze dimostrate da questi ultimi e dai loro amici.
Prova delle enormi capacità di Facebook di “controllare” e “direzionare” la propria utenza è stato lo scandalo Cambridge Analytica: in quel caso, il targeting si è trasformato in un vero e proprio fenomeno di abuso a discapito dell’utenza, peraltro ignara di quanto stesse accadendo. Il timore che eventi del genere si siano verificati in altre occasioni e possano continuare ad accadere è altissimo: anche per tale ragione risulta di particolare importanza, per le autorità, limitare il potere del colosso del web;
Blocco ingiustificato dell’accesso alla piattaforma ed ai dati degli utenti
Tale ultimo aspetto riguarderebbe tutte le società “vittime” delle politiche di esclusione dal mercato attuate da Facebook. Stando a quanto emerso dalle indagini, quando un servizio concorrente diventa una potenziale minaccia, Facebook ne interrompe la connessione e l’operabilità con la propria piattaforma. Nel momento in cui ciò accade, diventa molto difficoltoso, se non impossibile, per gli utenti, migrare le proprie informazioni (elenchi di amici, preferenze, o altri servizi propri dei social network) verso il servizio della società terza. “Questa decisione” afferma la procura generale di New York, non solo “costringe gli utenti a restare o iniziare la loro vita online da zero, se vogliono provare un’alternativa”, a discapito degli interessi di questi ultimi, che continuano ad alimentare gli interessi della piattaforma di Zuckerberg, ma determina anche la difficoltà, per la piattaforma concorrente, di crescere e trovare il proprio posto nel mercato.
“Dopo anni di promozione dell’accesso aperto alla sua piattaforma”, afferma la procura generale di New York, “nel 2011, Facebook ha iniziato a rescindere e bloccare l’accesso al sito alle app che Facebook ha visto come minacce competitive effettive o potenziali. Facebook capisce che una brusca cessazione dell’accesso consolidato al sito può essere devastante per un’app, soprattutto una ancora relativamente nuova sul mercato. Un’app che improvvisamente perde l’accesso a Facebook è lesa non solo perché i suoi utenti non possono più portare le loro liste di amici nella nuova app, ma anche perché si verifica un’improvvisa perdita di funzionalità – che crea funzionalità rotte o piene di bug – suggerisce agli utenti che un’app è instabile. In passato, alcune di queste aziende hanno registrato un calo già durante la notte nel coinvolgimento e nei download degli utenti e la loro crescita si è bloccata”.
L’insieme di tali comportamenti va a comporre il quadro di una complessa strategia denominata “buy or bury”, ossia “compra o seppellisci”: il potere economico e l’accesso privilegiato ai dati degli utenti, infatti, consentirebbe alla società di Mark Zuckerberg, di alterare talmente tanto il mercato da eliminare quella parte di concorrenza in grado di “minacciare” la posizione dominante di Facebook.
I rimedi
Sono diverse le possibili soluzioni avanzate dalla procura generale allo scopo di limitare il potere di Facebook, fra cui:
- La cessione di parte degli asset del colosso del web, in particolare Instagram e Whatsapp, al fine di ripristinare parte della concorrenza sul mercato dei social network;
- Il divieto di effettuare nuove acquisizioni il cui valore superi i dieci milioni di dollari, senza un’espressa senza prima darne preavviso allo stato di New York e agli altri stati querelanti;
- Il divieto di imporre agli sviluppatori di software condizioni anticoncorrenziali, che ne limitino le possibilità;
- qualsiasi ulteriore misura che risulti appropriata al caso, compresa la cessione o la ristrutturazione di società acquisite illegalmente, o delle attuali attività o linee di business di Facebook.
Soluzioni, queste, che ricordano molto il processo avviato nel 1974 nei confronti del sistema Bell, guidato da AT&T Corporation, conclusosi con l’emissione di una sentenza che prevedeva la rinuncia, da parte di AT&T, al controllo delle Bell Operating Companies, gruppo leader nella fornitura di servizi telefonici in USA e Canada. Lo scioglimento della compagnia e la divisione in più società, a loro volta fornitrici di servizi telefonici, comportarono la cancellazione del monopolio ed il ripristino della concorrenza.
La replica di Facebook
Alle accuse mosse nei propri confronti, Facebook ha replicato prontamente, affermando che quegli stessi governi avevano ritenuto di approvare le acquisizioni anni prima, e che ora stiano ritrattando, ignorando l’impatto “che un simile precedente potrebbe avere sull’intera comunità di business o sulle persone che scelgono i nostri prodotti ogni giorno”.
Anche in merito alle accuse di monopolio e “confinamento” della propria utenza, la società di Mark Zuckerberg ha sempre affermato di essere prescelta dall’utenza in quanto capace di fornire un maggior valore aggiunto rispetto alla concorrenza. Non solo: l’acquisizione delle start-up avrebbe solo aiutato le stesse a crescere e ad espandersi, grazie all’ausilio di tecnologie e risorse maggiori.
In conclusione
Nell’anno che ha visto il “grande processo” ai colossi del web, tali accuse, cui si affiancano quelle nei confronti delle colleghe Google, Amazon ed Apple, rappresentano un chiaro simbolo di un cambiamento del mondo digitale.
Anche gli altri colossi del web, infatti, sono sotto il mirino delle Autorità: Apple è sotto indagine per la gestione preferenziale e vessatoria dell’Apple Store, ad Amazon si contesta la gestione della sua piattaforma di e-commerce, nonché la commistione della sua figura di rivenditore con quella di gestore della piattaforma, mentre Alphabet, la società di Google, è oggetto di un ricorso pendente del Dipartimento della Giustizia, contenente accuse di abuso della propria posizione dominante quali la stipulazione di intese esclusive con partner terzi (produttori di smartphone, società di internet, e altre) al fine di rendere Google il motore di ricerca default.
Tutto questo mentre l’Europa si prepara a sferrare la propria offensiva nei confronti delle Big Tech, pianificando una strategia digitale che, con l’ausilio di strumenti normativi vincolanti, il Digital Services Act e il Digital Markets Act. Questi andranno a sostituire strumenti di soft law come linee guida e prassi, ritenute poco efficaci al fine di limitare i comportamenti abusivi del mercato. Obiettivo, consentire alle Autorità di fare attività controllo e monitoraggio più efficaci, favorendo la concorrenza e, in particolar modo, i soggetti più piccoli del mercato digitale.
È davvero finita l’epoca di de-responsabilizzazione delle big tech, quando le autorità di tutto il mondo ha permesso loro di crescere – a tutela dell’innovazione – con pochissimi “lacciuoli”.
Il redde rationem però sarà una lunga partita, che prenderà almeno tutto il 2021 per le indagini – senza considerare i ricorsi. Esiti e conseguenze sono del tutto imprevedibili.
- https://ag.ny.gov/press-release/2020/attorney-general-james-leads-multistate-lawsuit-seeking-end-facebooks-illegal ↑