In cosa consistono il reato di false dichiarazioni al Garante e il nuovo delitto di “interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante”, introdotto dal decreto legislativo n. 101 del 2018 che adegua il Codice Privacy alle disposizioni del GDPR. Due norme molto rigorose e che nascondono molte insidie. Eccole nel dettaglio
Il reato di false dichiarazioni all’Autorità Garante
Il reato di false dichiarazioni all’Autorità Garante ex art. 168 fu inserito nella legislazione privacy già con il d.lgs. 28.12.2001, n. 467. Prima di tale decreto l’art. 34 della l. n. 675/1996, leggermente diverso da quello poi disciplinato nel Codice privacy prevedeva che il reato si configurasse solo se la notificazione o dichiarazione al Garante fosse completamente falsa, incompleta o infedele. La previsione del Legislatore di una fattispecie specifica si giustifica in considerazione del fatto che, nell’ordinamento, non vi era una fattispecie che poteva adattarsi ai fatti tipici che il legislatore intendeva punire; tanto ciò è vero in quanto se fosse stato altrimenti sarebbe oggi più agevole fare riferimento alle norme del codice penale per i reati di parte speciale.
La fattispecie cosi come voluta e costruita dal legislatore presuppone la recettizietà dell’atto e quindi il consumarsi del reato solo in seguito al deposito dello stesso presso l’Autorità Garante. Il reato di falsità nelle dichiarazioni all’Autorità Garante presenta indubbiamente forti affinità con previsioni del codice penale come la falsità in registri e notificazioni ex art. 484 c.p. Non vi è dubbio che le dichiarazioni indirizzate all’Autorità sono un atto recettizio e il reato si consuma con la ricezione dell’atto da parte dell’autorità destinataria esattamente come accade in casi analoghi di condotte illecite che presuppongono la redazione di comunicazioni false ad altre Autorità che per legge devono venire a conoscenza dell’atto.
L’interesse giuridico tutelato è da individuarsi nel corretto dispiegarsi delle funzioni del Garante nell’ambito del governo del sistema.
Pertanto per il reato di cui all’art. 168 primo comma è irrilevante il momento dell’editio falsi in quanto la fattispecie è specifica e per la configurabilità implica una conoscenza dell’atto da parte dell’Autorità Garante; conoscenza dell’atto con conseguente consumazione del reato che non può esserci fin tanto che l’atto non viene recapitato nel luogo dove ha sede l’Autority. Luogo quest’ultimo in cui si deve radicare la competenza del giudice naturale che quindi, in tutte le ipotesi di reato previste e punite dall’art. 168 è sempre il Tribunale di Roma avendo il Garante sede in tale città.
La disobbedienza nei confronti del Garante
Diverso e autonomo è il delitto di cui al secondo comma dell’art. 168 del dlgs n. 101 del 2018 (interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante) che sembra essere stato creato sulla falsariga del delitto di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità previsto e punito dall’art. 340 del codice penale.
La similitudine è soprattutto nelle condotte previste mentre è invece differente il soggetto contro il quale le condotte sono rivolte perché nel caso che ci riguarda non è un soggetto qualunque che eroga un servizio pubblico bensì l’autorità Garante per la protezione dei dati personali ovvero un’Autorità amministrativa indipendente.
Con questa disposizione il decreto legislativo prevede un ricorso severo allo strumento repressivo penale. Così come pensata e strutturata, la norma non mira alla tutela diretta dei beni giuridici messi in pericolo dal trattamento dei dati personali, bensì sembra finalizzata a rafforzare l’efficacia dell’azione dell’Autorità Garante attraverso la tutela delle sue funzioni amministrative. Sostanzialmente questa norma penale, come anche il primo comma dell’art. 168, punisce la disobbedienza nei confronti dell’Autorità Garante o comunque punisce la trasgressione alle regole amministrative stabilite da quest’ultima. Non vi è dubbio che appare ad una prima analisi una norma molto rigorosa anche se sotto certi aspetti forse carente sotto il profilo della tassatività e della precisione delle condotte.
In via preliminare, si deve osservare che il delitto in esame è un reato comune che può essere commesso da chiunque, non solo dal titolare del trattamento ma anche dai suoi delegati o incaricati, dal Responsabile del trattamento e anche da pubblici ufficiali o da un dipendente della stessa Autorità di controllo.
Il bene giuridico tutelato dalla fattispecie penale incriminatrice viene rappresentato dal buon andamento dell’attività del Garante per la protezione dei dati personali che viene messo in pericolo da comportamenti illeciti finalizzati ad impedire un regolare espletamento della sua attività tipica.
Interruzione e turbamento dell’attività del Garante
L’elemento materiale è composto da una condotta che si sostanzia nell’interrompere la regolarità di un procedimento amministrativo posto in essere dall’Autorità di controllo o di un suo accertamento in corso dove per interruzione s’intende ad esempio provocare, con qualsiasi mezzo, la cessazione definitiva o temporanea, per un lungo o per un breve periodo, dell’attività svolta. Ciò può avvenire in qualsiasi momento sia durante la fase iniziale, sia successivamente, sia durante un’attività ispettiva o anche durante la fase finale o decisoria.
La condotta tipica invece del “turbare” la regolarità di un accertamento o di un procedimento è qualcosa di leggermente diverso. Per turbamento si intende quella alterazione del regolare funzionamento del servizio che, pur senza comportare la cessazione (anche temporanea) dell’attività (tipica invece della condotta di interruzione), pregiudica in maniera apprezzabile il conseguimento delle finalità che l’Autorità garante si propone.
Il concetto di turbamento si riferisce alla regolarità dell’ufficio o del servizio, per la cui realizzazione non può essere sufficiente però una discontinuità che provoca un mero ritardo nello svolgimento del servizio soprattutto se tale ritardo viene giustificato e soprattutto se tale ritardo o turbativa non comporta gravi conseguenze all’attività realizzata in quella fase. Non vi è dubbio che per integrare la condotta del delitto autonomo di cui al secondo comma dell’art. 168 del dlgs n. 101 occorra comunque una certa apprezzabilità del comportamento ostruzionistico sul piano temporale oppure che esso al tempo stesso determini un reale e concreto pregiudizio al regolare e buon andamento del procedimento.
Interruzione o discontinuità parziale dell’attività di accertamento
La fattispecie si potrebbe configurare anche nel caso di interruzione o di discontinuità parziale dell’attività di accertamento ovvero quando la condotta illecita sia temporalmente limitata o coinvolga solamente un atto specifico, una singola fase e non la totalità del procedimento o dell’accertamento.
Il reato in oggetto è di evento, istantaneo con effetti eventualmente permanenti, di danno, sussidiario, a forma libera per cui l’ufficio, il procedimento o l’accertamento può essere interrotto o turbato nella regolarità in qualunque modo, sia con un’azione che con una omissione, con mezzi elettronici o altre modalità, con comportamenti diversi, i più disparati, con una condotta appunto cd. libera. Anche una condotta omissiva può ad esempio dar luogo al delitto in questione.
Si potrebbe riflettere e discutere ad esempio se il rifiuto ingiustificato di firmare il verbale o di fornire la documentazione richiesta integri o meno il delitto in questione. Se il titolare o il soggetto identificato nel verbale si allontana senza giustificato motivo e non firma al termine dell’accertamento o dell’ispezione il relativo verbale può incorrere nel delitto in questione? Si potrebbe sostenere che costituisce turbamento o interruzione impedire ai funzionari dell’Autorità di entrare all’interno dei locali oggetto di ispezione oppure impedire di localizzare con certezza i luoghi, le cose o le persone sulle quali svolgere atti istruttori o accertamenti. Qualcuno potrebbe anche ipotizzare che configuri il delitto in questione il doloso e quindi volontario e consapevole occultamento di materiale o documenti d’interesse per l’Autorità di controllo che ne fa formale ed espressa richiesta.
Sotto il profilo dell’elemento psicologico, il delitto è doloso e non colposo. Ai fini dell’integrazione del reato non è necessario il dolo intenzionale essendo sufficiente che l’agente operi con la consapevolezza che il proprio comportamento, anche in via di mera possibilità, determini l’interruzione o il turbamento dell’attività dell’Autorità Garante. Infatti, l’elemento psicologico è il dolo generico, inteso come la coscienza e la volontà di interrompere e di turbare l’attività che viene espletata dagli organi competenti.
È un reato procedibile d’ufficio pertanto non sono necessarie le formalità tipiche della querela.
Non ci resta che aspettare e vedere se e quando sul punto si pronuncerà la giurisprudenza. In ogni caso occorre stare molto attenti perché le norme in questione sono molto rigorose e nascondono molte insidie.