Quali sono i limiti di applicazione del principio di legittimo interesse introdotto dal GDPR, in particolare nel settore automobilistico? Fino a che punto può autorizzare il rivenditore di automobili a esercitare marketing online alla luce delle nuove disposizioni? Vediamo nel dettaglio pregi e difetti della nuova “piattaforma giuridica” e i suoi effetti sulle attività commerciali in ambito automotive.
A seguito dell’entrata in vigore del Regolamento (UE) n. 2016/679, il GDPR, molti titolari hanno avviato un’attività di analisi delle proprie politiche di vendita al fine di valutarne la compliance alla nuova disciplina.
Il GDPR ha confermato, infatti, la necessità di fondare ogni trattamento di dati personali su una base giuridica idonea a legittimarlo. Particolare interesse ha destato tra gli operatori del settore il cd. “legittimo interesse” ex art. 6, par. 1, lett. f) del citato Regolamento, già nota per i giudizi di bilanciamento operati direttamente dall’Autorità Garante per la Protezione dei dati personali in occasione delle verifiche preliminari richieste in ottemperanza all’art. 17 del previgente Codice in materia di protezione dei dati personali.
Automotive, cosa comporta il trattamento dati
Sovente il lead manifesta l’interesse per l’acquisto di un determinato modello di veicolo di suo gradimento fornendo nell’occasione, in modo del tutto spontaneo e fisiologico, una serie di informazioni sui suoi gusti e preferenze (quali la tipologia di veicolo prescelto, la categoria di riferimento, il colore preferito, l’allestimento, etc.).
A meno di non voler ipotizzare realtà aziendali obsolete e del tutto anacronistiche, le informazioni raccolte dall’interessato verranno trattate, anche al solo fine di riscontrare la richiesta dell’interessato, mediante dispositivi informatici, attraverso programmi gestionali e strumenti di C.R.M..
Può affermarsi con ragionevole certezza che fornire uno specifico preventivo all’interessato che lo richieda non debba certo necessitare del legittimo interesse o men che meno del consenso, ben potendo soccorrere la più pertinente base giuridica di cui all’art. 6, primo paragrafo, lett. b).
Tuttavia, salva l’ipotesi in cui l’interesse sia limitato ad uno specifico bene già in stock, potranno nel tempo venir avanzate all’utente interessato molteplici proposte, magari correlate alle promozioni eventualmente attivate per prodotti analoghi di diversi brand.
Per altro verso, sovente accade che alla formulazione del preventivo non segua un feedback, rendendo di fatto impossibile comprendere se la proposta non sia stata accettata perché eccessivamente onerosa, perché non gradita o, semplicemente, perché è già stata reperita sul mercato un’altra più valida alternativa.
Sino a quando, dunque, il dealer potrà continuare a inviare proposte commerciali, mosso dal proprio interesse a concludere una vendita? Queste potranno considerarsi sempre lecite in quanto ricomprese negli adempimenti precontrattuali? È in quest’ottica, dunque, che vuole essere analizzata la base giuridica del legittimo interesse, così da soppesarne pregi e limiti.
Quante email può inviare il dealer?
Affinché possa trovare applicazione il legittimo interesse, va ricordato che dovrà essere preliminarmente effettuato un attento giudizio di bilanciamento tra gli interessi legittimi del titolare e gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell’interessato che richiedono la protezione dei dati personali.
La valutazione del bilanciamento di interessi, infatti, viene oggi rimessa interamente in capo al titolare del trattamento, con onere di documentazione nel rispetto del principio di accountability: il trattamento sarà, dunque, precluso ogniqualvolta lo stesso risulti iniquo e contrastante con i principi sanciti dall’impianto normativo europeo.
Il GDPR, tuttavia, non fornisce precise ed esaustive indicazioni circa il contenuto ed i limiti applicativi del legittimo interesse, limitandosi a fornire alcune indicazioni utili per comprenderne i contorni e le ipotesi applicative nei Considerando da 47 a 49.
Per il legislatore europeo è sicuramente doverosa “un’attenta valutazione anche in merito all’eventualità che l’interessato, al momento e nell’ambito della raccolta dei dati personali, possa ragionevolmente attendersi che abbia luogo un trattamento a tal fine”, escludendo di fatto l’applicabilità del legittimo interesse in caso contrario.
Dovranno, dunque, essere attentamente soppesate le ragionevoli aspettative nutrite dall’interessato in base alla sua relazione con il titolare del trattamento, talché l’esito del giudizio di bilanciamento potrà variare a seconda delle specificità del singolo caso concreto (si pensi, ad esempio, alle modalità di contatto, quali form on-line o contatto diretto mediante passaggio in sede, al grado di analiticità dei dati forniti e/o delle esigenze espresse, al comportamento successivo, etc.), essendo questi tutti elementi decisivi per comprendere se l’interessato possa ragionevolmente aspettarsi di ricevere proposte ulteriori e di contenuto magari non perfettamente coincidente con quanto specificamente richiesto.
Il Considerando 47, inoltre, indica la possibilità di considerare come legittimo interesse il trattamento di dati personali per “finalità di marketing diretto”.
Marketing: dove agisce il “legittimo interesse”
Si potrebbe pensare, dunque, che l’invio di una pluralità di offerte mediante comunicazioni dilazionate nel tempo, quand’anche dovessero sconfinare dal campo della prestazione precontrattuale per entrare in quello del marketing, possa trovare fondamento proprio nel legittimo interesse del titolare.
A sostegno di tale tesi si potrebbe anche argomentare valorizzando, mutatis mutandis, la ratio posta a fondamento del cd. “soft spam” – che, com’è noto, riguarda il possibile utilizzo senza consenso delle coordinate di posta elettronica fornite dall’interessato nel contesto della vendita di un prodotto o di un servizio, a condizione che si tratti di servizi analoghi a quelli oggetto della vendita e l’interessato, adeguatamente informato, non abbia rifiutato tale uso, inizialmente o in un secondo momento.
Come già accennato in premessa, deve inoltre considerarsi che spesso la formulazione e veicolazione di proposte commerciali trascende la singola e specifica richiesta avanzata dall’interessato, avendo ad oggetto beni dalle caratteristiche analoghe a quelli per i quali è stato manifestato l’interesse.
Ove i dati acquisiti siano sufficienti a determinare una prima analisi dei gusti o delle esigenze del potenziale cliente, in considerazione delle modalità di trattamento dovrà concludersi necessariamente per la sussistenza di un’attività di profilazione, sia pur non particolarmente spinta.
Va ricordato che il Gruppo di lavoro “Articolo 29” (Art. 29 WP) nelle proprie “Linee guida sul processo decisionale automatizzato relativo alle persone fisiche e sulla profilazione ai fini del regolamento 2016/679”, aggiornate al 6 febbraio 2018, ha previsto la possibilità di legittimare l’attività di profilazione sulla base dell’interesse legittimo, purché vengano rispettate determinate condizioni.
In particolare, il titolare è chiamato a considerare:
- il livello di dettaglio del profilo, dovendosi considerare se le informazioni raccolte dall’interessato possano riferirsi a categorie ampie di individui o siano più segmentate e granulari;
- la completezza del profilo;
- l’impatto della profilazione sull’interessato;
- le misure implementate per assicurare la correttezza, la non discriminazione e l’esattezza nel processo di profilazione.
Ove, all’esito di un giudizio di bilanciamento che consideri anche gli aspetti sopra indicati, il titolare non ritenga l’invio di offerte commerciali, anche se profilate in modo “leggero”, lesivo degli interessi o dei diritti e delle libertà fondamentali dell’interessato – e sia in grado di dimostrarlo -, il trattamento potrà essere fondato sul legittimo interesse, che diverrebbe così una base giuridica alternativa rispetto al consenso comunemente richiesto.