Nonostante i molteplici tentativi di inquadrare in maniera chiara ed esaustiva la figura del medico competente[1] tra quelle istituzionalmente previste dalla disciplina in materia di trattamento di dati personali, permangono ancora molti dubbi e perplessità su quale possa effettivamente essere la migliore e più corretta interpretazione delle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR) e del Codice Privacy, come aggiornato dal D.Lgs. 101/2018.
Una figura, quella del medico competente, che – come accade per soggetti professionalmente simili o comunque in ambiti contigui – oscilla e vacilla nelle diverse interpretazioni tra titolare autonomo e responsabile del trattamento. È doveroso, per meglio comprendere la posizione del medico del lavoro, soffermarsi sul trattamento dei dati relativi alla salute.
Dati relativi alla salute: i chiarimenti del garante
In risposta all’esigenza di alcuni operatori del settore, soggetti istituzionali, responsabili della protezione dei dati e interessati al trattamento, che hanno sollevato l’esigenza di avere precisazioni in merito al mutato assetto di tale ambito della disciplina, il 7 marzo 2019 il Garante per la protezione dei dati personali ha emesso il provvedimento n. 55 per fornire “Chiarimenti sull’applicazione della disciplina per il trattamento dei dati relativi alla salute in ambito sanitario”.
Il Garante ha inteso promuovere la consapevolezza e favorire la comprensione ad un vasto pubblico dei rischi, delle norme, delle garanzie e dei diritti connessi ai trattamenti, nonché degli obblighi imposti ai titolari e ai responsabili del trattamento[2].
Ebbene, come sappiamo, il legislatore europeo ha prestato una specifica attenzione ai dati relativi alla salute e li ha inseriti tra le “categorie particolari di dati personali” ai sensi dell’art. 9, par. 1, GDPR. In particolare il consenso non è obbligatorio per legittimare il trattamento di questa tipologia dei dati “se necessario per finalità di medicina preventiva o di medicina del lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente, diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione dei sistemi e servizi sanitari o sociali sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri o conformemente al contratto con un professionista della sanità”[3].
È bene specificare che per le finalità di cura i dati sanitari possono essere trattati esclusivamente da un professionista soggetto al segreto professionale, ovvero sotto la sua responsabilità, o ancora da persone in ogni caso soggette all’obbligo di segretezza[4].
Il ruolo del medico competente
Ed è qui che entra, appunto, in gioco il ruolo del medico competente: un professionista in possesso di titoli e dei requisiti previsti dal TUSL, che collabora con il datore di lavoro. Il TUSL obbliga i lavoratori, nell’adempimento dell’obbligo generale di prendersi cura della propria salute e sicurezza, a sottoporsi ai controlli sanitari previsti per legge o comunque disposti dal medico competente.
Tali controlli costituiscono la cosiddetta “sorveglianza sanitaria”, definita in maniera consolidata un obbligo in capo al datore di lavoro che partecipa e collabora con il medico competente, ma non si può sostituire a quest’ultimo.
In altre parole, il datore di lavoro deve solo invitare i propri lavoratori a visita medica.
La sorveglianza sanitaria è un trattamento effettuato dal medico secondo disposizioni di legge ed è finalizzato alla tutela della salute del lavoratore.
Inoltre, il D.Lgs. 81/08 assegna al medico competente l’obbligo della tenuta delle cartelle sanitarie per ciascun dipendente in locali concordati con il datore, avendo pieno e assoluto controllo delle stesse (di fatto il datore di lavoro non ha alcuna autorità sulla visibilità della documentazione dei dipendenti, non avendo alcuna base giuridica che legittimi il trattamento in chiaro dei dati sanitari, se non verificare l’idoneità a svolgere la mansione lavorativa assegnata).
Al termine del periodo lavorativo, il D.Lgs. 81/08 assegna al medico competente il compito di consegnare una copia della cartella al dipendente e l’originale sigillato al datore di lavoro. È quest’ultimo che dovrà garantire la conservazione della cartella sanitaria del dipendente per ulteriori 10 anni.
Medico competente: solo un semplice responsabile del trattamento?
A questo punto sorge il dubbio che si ritrova in alcuni commenti pur ben argomentati: il fatto che il titolare del trattamento deleghi al medico competente delle attività a cui è obbligato ex lege può implicare che si possa considerare quest’ultimo (che opera con un particolare dovere di riservatezza, segreto professionale e tutela della sicurezza dei dati personali) come un semplice responsabile del trattamento?
In realtà, dovrebbe essere chiaro che il medico competente, per le sue caratteristiche e il suo ruolo disciplinato da disposizioni di legge, non si limiti a effettuare un’attività meramente esecutiva di trattamento, ma anzi deve trattare i dati in piena autonomia professionale e secondo una propria deontologia, quindi andrebbe, a nostro avviso, considerato pienamente come un titolare autonomo nell’organizzazione e distribuzione dei ruoli, in ottica di accountability.
Il fatto che un medico o un altro professionista possa lavorare su accordo o contratto per altro soggetto non implica di certo la perdita di indipendenza e professionalità del ruolo.
Di fondamentale importanza è, infatti, la finalità del trattamento che non viene, in alcun modo, indicata dal datore di lavoro al medico competente: quest’ultimo può agire in totale autonomia. Non occorre perciò confondere l’obbligo contrattuale di svolgere una mansione professionale con la piena autonomia nel finalizzarla anche nel rispetto del trattamento dei dati personali, tant’è che l’insieme degli atti medici finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, sono di competenza esclusiva del medico del lavoro.
A questo si aggiunga che la consegna dell’esito degli accertamenti medici (i quali rimangono e devono rimanere sconosciuti al datore di lavoro) non può essere qualificata come subordinazione o semplice esecuzione di un’istruzione. Ininfluente appare, inoltre, sdoppiare i ruoli del medico competente a seconda si tratti di soggetto interno o esterno all’organizzazione lavorativa stessa. Si tratta, ad ogni modo, di una posizione che non è mai quella di un semplice operatore; egli svolge sempre (e deve svolgere) le sue funzioni e i suoi compiti in maniera del tutto indipendente.
Infine, questa lettura interpretativa non ha nulla a che vedere – perché la figura del medico del lavoro non è assolutamente paragonabile a quella dei consulenti del lavoro – con la risposta al quesito del Garante del 22 Gennaio 2019, nella quale si indica che la base normativa che legittima il trattamento da parte del consulente del lavoro dei dati personali (riguardanti i dati dei dipendenti e dei clienti del consulente del lavoro) vada individuata in capo al suo cliente (il datore di lavoro/titolare) ai sensi dell’art. 9, par. 2, lett. b), del Regolamento e, quindi, la legittimità del trattamento stesso viene trasferita in capo al consulente in virtù di un contratto di designazione a responsabile del trattamento, ma ciò vale solo – come sottolineato dallo stesso Garante – per quelle attività di carattere esecutivo/operativo come l’elaborazione di buste paga.
Del resto, apparirebbe quanto meno riduttivo considerare, ai fini privacy, l’attività di elaborazione di buste paga paragonabile ad una diagnosi studiata e preceduta da atti medici.
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- Secondo la definizione dell’articolo 2, comma 1, lettera h), del Decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008. ↑
- Secondo gli artt. 57, par. 1, lett. b) e d), GDPR e 154, comma 1, lett. g), Cod. Privacy). ↑
- Art.. 9, par. 2, lett. h). ↑
- Come previsto dall’art. 9, par. 3, GDPR e Cons. 53; art. 75 del Codice per la protezione dei dati personali. ↑