striscia di Gaza

Hamas, il flop della tecnologia: il terrorismo torna al “pizzino”



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I terroristi di Hamas hanno battuto l’intelligence di Israele che troppo si affidava alla tecnologia dimenticando i presidi umani. E loro sono tornati “low tech”. Anche in Europa dobbiamo tornare ai metodi “antichi” fatto di human intelligence, affiancati ma non sostituiti dalla tecnologia su cui comunque investire ancora

Pubblicato il 12 ott 2023

Luisa Franchina

Presidente Associazione Italiana esperti in Infrastrutture Critiche



hamas israele tecnologia

L’esecrabile attacco di Hamas in Israele avvenuto il 7 ottobre ci ha richiamato alla mente il giorno dell’attacco alle Torri Gemelle. Un doveroso ed emozionato pensiero va alle vittime, alle loro famiglie e alle centinaia di ostaggi che in queste ore stanno attraversando un doloroso inferno terreno: l’efferatezza nella scelta delle vittime e la violenza contro i bambini e le famiglie ha colpito tutto il mondo.

Hamas releases video of training session

Molti commenti, in questi giorni, come per l’11 settembre, hanno usato il termine “sconfitta”, attribuendolo a diverse entità, ma soprattutto all’intelligence che in tale situazione, come in tutti gli altri giorni di tutti gli anni dalla fondazione dello Stato di Israele, lavora per la difesa e la protezione del Paese. Il problema è diverso: questo attentato ci racconta la disfatta della tecnologia.

Il nulla tecnologico che ha aiutato Hamas

I terroristi di Hamas sono tornati “al pizzino” e hanno lavorato per mesi, forse per anni, nel silenzio assoluto. Silenzio tecnologico. Lavoro di carriola e passa parola. Un lunghissimo filo informativo è stato tessuto tra individui che hanno meticolosamente preparato questa giornata addirittura in due Stati diversi, senza fare uso di tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

L’intelligence israeliana è nota per essere estremamente attiva, attenta, preparata, “sempre in guardia”. Ed è anche nota per essere una delle intelligence più attive nella creazione di tecnologia di sorveglianza automatizzate nel web, sia esso di superficie o deep e dark, e nei social. E l’attaccante lo sa.

Perciò è semplicemente tornato ai metodi dell’antica criminalità organizzata. Metodi usuali nel mondo della comunicazione non remota, prima delle telecomunicazioni. Difendere e proteggere sono verbi che nascondono una profonda e dura realtà: che si agisce sempre in “reazione” e ci si deve adattare, tempestivamente, ossia il più rapidamente possibile, all’attacco che l’avversario ha deciso di perpetrare. Alla sua fantasia. Alla sua furbizia.

L’assenza di presidi umani

È molto probabile che, nel caso di Israele, l’attaccante avesse osservato una assenza sempre più spinta di presidi umani nelle proprie vicinanze, presidi umani che nell’intelligence definiremmo human intelligence, quella forma di intelligence nella quale, per esempio, sono famosi i nostri servizi.

La humint è stata affiancata e troppo spesso spodestata completamente, dall’osint, opensource intelligence, e dalle piattaforme di analisi dei dati che dichiarano (ma potremmo usare il termine all’inglese “pretendono”) di osservare e cogliere tutti i segnali, deboli e forti, delle comunicazioni umane e artificiali.

Il silenzio di un avversario è sempre sospetto, ma può indurre a sentirsi “troppo” sicuri e ad abbassare non tanto l’attenzione, perché è ovvio che un Paese in assedio costante non lo possa fare, ma la presenza.

È mancato il presidio fisico. L’attacco è tornato ad essere fisico non solo nell’atto di violenza, ma anche nella preparazione. E la sicurezza fisica torna dirompentemente sui nostri schermi di attenzionamento. La tecnologia è stata battuta, ma non da una tecnologia migliore o da una intelligenza artificiale, bensì dalla fisicità umana del passaparola. Il programma sussurrato. E nel caso specifico lo dimostrano i lancia razzi posizionati e preparati per la gestione dell’attacco “prima e dopo” lo scudo, i mezzi usati per superare i confini (persino i deltaplani a motore), e la profondità della ferita inferta a civili e famiglie.

Le direttive europee CER e NIS2

Da pochi mesi l’Europa ha emanato due direttive, la CER e la NIS 2, rispettivamente dedicate alla sicurezza fisica e logica dei nostri assetti sociali organizzati, ricominciando così a guardare alla security nel suo insieme, fisico e logico, o se vogliamo, fisico e tecnologico.

E in un attimo ci troviamo a fronteggiare un mondo dove gli attaccanti, quelli che giocano la prima mossa per definizione, sono diventati esperti di artigianalità. Sono andati “ai materassi”, come dice Mario Puzo ne Il Padrino. E, di contro, gli attaccati si sono “sentiti troppo sicuri”, per usare una citazione filmografica dalla saga di Bourne Identity.

Il pendolo delle scelte operative e tattiche oscilla con continuità tra vecchi e nuovi metodi, tra innovazione tecnologica e capacità artigianale di sopperire con la quantità alla (supposta) qualità (che spesso pensiamo sia solo tecnica e tecnologica). Sapremo tutti imparare anche da questa nuova, vecchissima, tattica di ingaggio. E torneremo a disseminare i nostri territori di presidi di human intelligence, la quale, affiancata dalla tecnologia, può determinare l’esito di una giornata come il 7 ottobre.

D’altra parte, l’attaccante che buca i controlli si fa notare molto e rende notevole anche la “non” protezione. Fintantoché non riesce a passare, nessuno si accorge del lavoro svolto in difesa. Perché la difesa, come la protezione, si notano solo quando non funzionano.

Gli attaccanti avevano abbassato il tasso di tecnologia anche nella seconda ondata di attacchi terroristici di questo millennio: dopo gli attacchi esplosivi ben geolocalizzati per ottenere il massimo blocco delle città colpite in Europa, erano passati all’suo di armi bianche e di tir e mezzi pesanti da scagliare contro civili inermi, armi e mezzi completamente privi di gestioni tecnologiche e quindi usabili in qualsiasi situazione senza tema di oscuramenti o intercettazioni.

Il Prefetto Annamaria D’Ascenzo, una delle due prime donne nominate Prefetto in Italia nel 1990, ha scritto recentemente un libro dal titolo “Prevenire, Prevedere, Provvedere”. La frase era la prima regola di vita (in ambito civile e militare) del Gen. di Cavalleria Elia Rossi Passavanti, due medaglie d’oro al valor militare in vita.

Cosa bisogna fare, allora

In Italia, come ovunque, non saremo sempre in grado di prevedere, e lo sappiamo bene, anche se auspicheremmo il contrario; saremo solo in parte in grado di prevenire, dipendendo da tanti fattori la nostra possibilità di attrezzarci al meglio, e dovremo essere in grado di provvedere, comunque, a mitigare i danni e a migliorare la nostra reazione a un attacco.

In ogni caso sappiamo che dobbiamo restare concentrati, attenti, in guardia, anche e soprattutto nei lunghi momenti di silenzio dell’avversario, e dobbiamo tornare ai metodi “antichi” salvaguardando, oltre agli investimenti in innovazione tecnologica, anche quelli nel nostro know how di human intelligence e nelle nostre tecniche (espletate da umani) di humint.

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