L’applicazione dell’intelligenza artificiale in campo militare cresce sempre di più, anche sulla spinta dell’attuale conflitto in Ucraina. Dai droni capaci di prendere decisioni, fino ai nuovi strumenti usati per raccogliere informazioni, la guerra è sempre più tecnologica. E se alcuni strumenti sono ancora in fase di progettazione, altri sono già realtà.
Intelligenza artificiale e droni in guerra: in Ucraina il dado è tratto
Nuovi modi per affrontare i conflitti
Ciò che sta accadendo in Ucraina ha riacceso i riflettori sul tema della guerra, soprattutto da quando ogni giorno viene presa in considerazione la possibilità che un nuovo conflitto mondiale possa tornare ad interessare l’Europa.
Al di là delle considerazioni geopolitiche e le previsioni sul futuro del conflitto ucraino, sta di fatto che la prima certezza da cui partire è che la guerra non se ne è mai andata, e con lei la corsa agli armamenti, sia come rafforzamento della difesa del proprio Paese, sia come prospettiva economica come nel caso della rivendita ad eserciti stranieri. Ebbene, negli anni sono stati sviluppati nuovi modi per affrontare i conflitti.
L’elemento che accomuna i progressi fatti in campo militare è lo sfruttamento delle nuove tecnologie per progettare armamenti sempre più sofisticati, sfruttando gli algoritmi, il machine learning, fino alla prospettiva concreta di avere, un giorno, anche armi e velivoli militari capaci di prendere decisioni in piena autonomia.
Tuttavia, sarebbe riduttivo pensare che la tecnologia applicata ai conflitti sia ridotta ai soli armamenti. L’AI trova infatti molteplici applicazioni anche in tutti quei settori che sono in qualche modo connessi alla gestione di un conflitto, come le attività di intelligence e la gestione della propaganda.
La tecnologia offre moltissime prospettive, ma occorre tenere presente che ciò che chiamiamo “guerra del futuro” è in parte già presente, e anche il conflitto ucraino ne è testimone.
Guerra e AI: una po’ di futuro è già qui
Negli ultimi anni ci sono state molteplici dimostrazioni dei progressi tecnologici fatti da una parte e dall’altra del Mondo. In particolare, sembra quasi che la corsa allo sviluppo delle migliori tecnologie belliche segua la scia di un’altra corsa, ossia quella che ha come obiettivo la leadership dell’intelligenza artificiale. Infatti, come noto, Stati Uniti e Cina si contendono da ormai diversi anni il primato nel campo delle nuove tecnologie e, naturalmente, non sono escluse le innovazioni belliche. Il recente conflitto in Ucraina ha poi svolto un ruolo fondamentale per il riproporsi di quesiti e timori circa lo stato dell’arte nel campo delle armi all’avanguardia. Difficilmente, però, si può avere una visione completa, anche perché non sempre c’è la volontà di far sapere al Mondo cosa avviene nei laboratori e nei campi di addestramento.
Ciononostante, si può dire con ertezza che, come anticipato in chiusura di introduzione, molte delle cose che possono sembrarci lontane e futuristiche sono in realtà ben presenti nel panorama globale.
I droni kamikaze
Nell’ottobre del 2020, l’Istituto di Scienza e Tecnologia cinese ha rilasciato il filmato di un test risalente a poco più di un mese prima avente ad oggetto uno sciame di droni da attacco intelligenti prodotti da una società di proprietà statale, la China Electronics Technology Group Corporation. Gli apparecchi trasportano testate ad alto esplosivo potenzialmente in grado di distruggere carri armati e altri veicoli corazzati, ragione per cui vengono detti “droni kamikaze”.
Nel video i droni – 48 in tutto – vengono lanciati da un veicolo, aprono le ali volando nell’area bersaglio con un’elica spinta da un motore elettrico e si dispongano in formazione e autonomamente, facendo quindi intendere la presenza di un grado piuttosto elevato di intelligenza artificiale.
Più precisamente, l’AI in questione è del tipo human-in-the-loop, in quanto un operatore, dallo schermo di una consolle portatile touch screen, seleziona il bersaglio che verrà colpito dal singolo drone e dal resto dello sciame, a seconda della necessità. Il controllo finale pertanto è sempre affidato all’uomo, ma ciononostante è evidente lo sviluppo tecnologico delle macchine da guerra.
Peraltro, questo tipo di strumenti non sono una novità cinese. Già nel 2016, a China Lake in California, una squadra della U.S. Navy deputato ai test e alla valutazione di nuovi armamenti, ha rilasciato ben 103 micro-droni che hanno effettuato una missione di ricognizione comportandosi in modo autonomo come uno sciame di insetti.
Più di recente, il tema dei droni super intelligenti è tornato al centro delle cronache quando, ad inizio aprile, il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin ha annunciato l’invio in Ucraina dei famosi droni Switchblade prodotti dall’azienda statunitense AeroVironment in due varianti, la 300 e la 600.
Soprannominati anch’essi “droni kamikaze”, gli Switchblade si caratterizzano per la capacità di percorrere lunghe distanze ed indugiare prima di colpire l’obiettivo.
Più precisamente, un operatore da terra lancia il drone da un tubo. Una volta lanciato, Switchblade dispiega le ali per andare verso il suo obiettivo grazie a un sistema di pilotaggio che gli consente di seguirlo in base ai suoi muove.
La prima variante, il Switchblade 300, è più leggero e progettato essenzialmente per attacchi mirati al personale. Il modello 600 invece è ben più grande in quanto pensato per distruggere carri armati e altri veicoli corazzati. Il 600 è in grado di volare per una distanza di circa 50 miglia, seguire la preda senza perderla di vista e, una volta individuata, è capace di “aspettare” in volo per circa 40 minuti fino al momento giusto per colpire lanciandosi ad una velocità di 180 km/h sul bersaglio. Si tratta quindi, essenzialmente, di vere e proprie bombe intelligenti, dotate di telecamere, sensori, sistemi di guida ed esplosivi.
Anche in questo caso, però, è molto importante l’intervento umano, ragione per cui una parte fondamentale per l’utilizzo di questi strumenti passa dall’addestramento dei soldati ucraini.
Il riconoscimento facciale entra in guerra
Un’altra applicazione dell’intelligenza artificiale in campo militare è il riconoscimento facciale, e questa volta non si parla di armamenti e macchine da combattimento.
Questo tipo di tecnologia, come sappiamo, è già ampiamente utilizzato per la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico in molte grandi città del mondo, specialmente negli Stati Uniti e in Cina, anche con l’ausilio di banche dati private contenenti immagini di persone riprese dalle videocamere e utilizzate per individuare i colpevoli di reati o prevenirne la commissione.
È evidente come uno strumento di questo tipo possa assumere un ruolo importante nell’ambito di un conflitto, e l’esempio è ancora in Ucraina.
A fine marzo, il vice primo ministro e ministro della trasformazione digitale ucraino Mykhailo Fedorov, ha confermato che l’Ucraina sta utilizzando un software di riconoscimento facciale per trovare gli account sui social media dei soldati russi deceduti per permettere alle autorità di contattare le famiglie. Benché inizialmente Fedorov non avesse menzionato nessuna società, era chiaro a tutti che si trattasse della nota Clearview AI, come rivelato in prima battuta da Forbes.
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Secondo il ministro, l’obiettivo dell’uso del riconoscimento facciale sarebbe in primo luogo quello di dissipare la disinformazione sulla guerra e in particolare smentire la propaganda russa secondo la quale il conflitto non sarebbe altro che un’operazione speciale con poche perdite.
Inoltre, è stato messo a disposizione dell’Ucraina anche una sorta di motore di ricerca che permette alle autorità di filtrare le persone che si presentano ai checkpoint. Non solo, il riconoscimento facciale dovrebbe servire anche per identificare gli infiltrati e i militari russi, i rifugiati che sono stati separati dalle proprie famiglie, oltre a anche smascherare post falsi che diffondono fake news, o dare un nome alle vittime non identificate. Sembra che i database di Clearview consentano il riconoscimento anche dei morti che hanno subito danni rilevanti al viso interpretando i cambiamenti.
La vera forza di questi strumenti, però, risiede anche nella necessaria deroga ai principi posti a tutela della riservatezza. Lo stato di guerra consente infatti di chiudere un occhio sul rapporto tra l’uso massiccio del riconoscimento facciale e la privacy, o sui difetti ancora presenti in questa tecnologia, come la drastica perdita di precisione quando occorre riconoscere volti non caucasici e i conseguenti esiti discriminatori. Si tratta di critiche che, in tempo di pace, vengono spesso mosse all’uso del riconoscimento biometrico, contestazioni anche oggetto di iniziative concrete da parte degli Stati e delle associazioni a difesa dei diritti umani, che però, durante un conflitto armato, tendono a passare in secondo piano.
Il futuro della guerra: i progetti della DARPA
Se, come abbiamo visto, un po’ della guerra del futuro è già parte del presente, l’industria bellica non ha alcuna intenzione di accontentarsi e pensa già ai passi successivi. Anzi, è più corretto dire che ci sta già lavorando con grande dedizione
Possiamo quindi affermare che, certamente, le tecnologie già esistenti stanno mostrando un volto inedito della gestione dei conflitti tanto dal punto di vista degli armamenti come nel caso dei droni kamikadze, quanto nell’ambito delle attività di intelligence e di gestione della propaganda come visto parlando del riconoscimento facciale. Al contempo, però, si sta lavorando per rendere i conflitti futuri ancora più tecnologici.
Ebbene, nel contesto dello sviluppo di nuovi strumenti militari basati sull’intelligenza artificiale non si può non fare riferimento alla Defense Advanced Research Projects Agency, più conosciuta con la sigla DARPA. Si tratta dell’’agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, incaricata dello sviluppo di nuove tecnologie per uso militare. Fu fondata nel 1958 da Dwight David Eisenhower, 34º Presidente degli Stati Uniti d’America dal 1953 al 1961 e ancora oggi è con ogni probabilità l’agenzia più attiva al mondo nel campo delle tecnologie militari. In particolare, la DARPA ha contribuito alla creazione di tecnologie rivoluzionarie. Si pensi, ad esempio, al GPS: oggi è utilizzato dalla maggior parte delle app di navigazione come Google Maps, ma le sue radici sono radicate nel programma TRANSIT sviluppato a partire dal 1958 proprio da DARPA. Vediamo quindi come le tecnologie elaborate e sviluppate dall’Agenzia possano, talvolta, essere riutilizzate anche al di fuori del contesto prettamente militare.
I jet a guida autonoma
Uno dei progetti più ambiziosi – se non il più ambizioso – che attualmente sta seguendo la DARPA è quello relativo alla realizzazione di jet a guida autonoma basati sull’AI, di cui sono già stati effettuati diversi test e che, secondo le stime dell’Agenzia, potrebbero essere utilizzabili già a partire dal 2025. In sostanza, si tratta di una tecnologia di nome ALIAS – Aircrew Labor In-Cockpit Automation System – messa a punto dal team Aurora Flight Sciences e che, durante i primi test effettuati già diversi anni fa, ha permesso di pilotare un velivolo senza nessun controllo dei comandi a bordo da parte di un umano, bensì tramite un braccio robotico e un’interfaccia formata essenzialmente da un tablet e da un apparato per il riconoscimento vocale. Questo sistema è stato installato sul velivolo, consentendo di sostituire il pilota. Una volta installato sul velivolo, il sistema ha sostituito in tutto e per tutto il pilota.
L’intelligenza artificiale a supporto dei militari
Un altro progetto sul quale sta lavorando la DARPA consiste nella creazione di algoritmi che aiutino determinate decisioni militari, come la gestione di eventi di massa come assedi o attentati, con lo scopo di estendere questo tipo di supporto anche per l’organizzazione dei soccorsi in caso di calamità come i terremoti. Secondo la DARPA, gli algoritmi saranno in grado di prendere decisioni oculate in situazioni in cui anche gli operatori e i militari più esperti rimarrebbero perplessi.
Ad esempio, l’IA potrebbe aiutare a identificare tutte le risorse di un ospedale vicino, come la disponibilità di farmaci, l’afflusso di sangue e la disponibilità di personale medico, per aiutare nel processo decisionale. O ancora, l’AI potrebbe aiutare le valutazioni dei medici dell’esercito circa i livelli di gravità dei feriti in modo da determinare una sorta di gerarchia per regolare gli interventi, fino all’ipotesi di decidere che è più opportuno curare un soldato che ha possibilità di riprendersi tornare a disposizione, e decidere di non intervenire su un altro condannandolo a morte certa.
Da questo punto di vista, però, molti antropologi e filosofi esperti di etica dell’IA stanno sollevando alcuni interrogatori legati ai problemi che tipicamente si presentano quando agli algoritmi viene chiesto di prendere decisioni sulle persone; in particolare, il timore riguarda altri casi in cui si sono verificate distorsioni del processo decisionale dove gli algoritmi, nell’assistenza sanitaria, hanno dato la priorità a pazienti bianchi rispetto a quelli neri per ricevere cure. In altri termini, lasciare ad una macchina la possibilità di determinare, talvolta, la vita o la morte di qualcuno sembrerebbe essere un passo molto rischioso e poco etico.
Occorre poi ricordare che i medici militari spesso non sono chirurghi professionisti al pari dei colleghi che lavorano ogni giorno nelle sale operatorie, e quindi potrebbero non avere l’esperienza per gestire rapidamente procedure poco utilizzate. Per questo, la DARPA starebbe lavorando ad un progetto chiamato Medical Assistance, Guidance, Instruction, and Correction (MAGIC). Si tratterebbe di un paio di occhiali per realtà aumentata dotati di sensori audio e video che consentirebbero a un assistente di intelligenza artificiale di monitorare la situazione del ferito e consigliare al medico come procedere.
Nello specifico, utilizzando il machine learning, gli occhiali sarebbero in grado di imparare le competenze mediche e la capacità necessarie fare valutazioni ed interventi basandosi su più di 2.500 video e quasi 50 milioni di immagini.
In questo modo, gli occhiali riuscirebbero ad aiutare i medici proiettando negli occhiali le procedure chirurgiche da eseguire, passo dopo passo, in base alla tipologia delle ferite riportate tramite una vasta mole di dati raccolti per addestrare gli algoritmi.
Conclusioni
Parlare di tecnologia applicata alla guerra è sempre molto complicato, poiché lo stupore per i passi da gigante fatti nel campo dell’AI viene smorzato dal timore che tutti questi progressi possano trovare applicazione. Certamente, sarebbe preferibile che strumenti ad alto livello la tecnologia fossero utilizzati soltanto al servizio delle persone in tempo di pace, ma d’altronde la storia ci ha abituati a vede i progressi della scienza e della tecnica al servizio tanto delle truppe quanto dei civili.
Sicuramente ci sono le prospettive di vedere determinate applicazioni della tecnologia transitare dagli ambienti militari alla vita di tutti i giorni come accaduto con il già menzionato GPS, ma questo non cambia il fatto che esse nascono prevalentemente per la gestione dei conflitti.
Peraltro, la guerra in Ucraina ha riacceso i timori per un nuovo conflitto che possa coinvolgere diversi Stati, i quali quindi andranno probabilmente ad aumentare gli investimenti e ad accelerare i progetti per farsi trovare pronti nell’eventualità che le paure si concretizzino.
Nel frattempo, al Pentagono sono già molteplici gli scenari che vengono ipotizzati per la prima possibile “guerra con Intelligenza Artificiale”.
Tutti, però, con un aspetto in comune: per adesso le capacità delle armi e degli strumenti basati sull’AI saranno limitati, e ad oggi nessuno è in grado di prevedere come verranno combattute le guerre del futuro. Certamente si continuerà a lavorare per ridurre il fattore umano in favore delle macchine, le quali sono più sacrificabili degli uomini; questi ultimi, però, sono destinati ad essere i veri protagonisti dei conflitti per diverso tempo ancora. A meno che non venga creata prima un’intelligenza artificiale capace di prevenire e risolvere le guerre senza bisogno di combatterle. Ma nostro malgrado un progetto di questo tipo è – storicamente – assai più utopico di quelli visti fino a qui.