La volontà di potenza e la forza di accelerazione della tecnologia che caratterizza le molteplici interazioni con il medium tecnologico è all’origine di ansie e timori ma soprattutto sta facendo nascere nuovi e impellenti bisogni.
Le ansie non nascono soltanto dal timore di vedere violata la propria privacy o la riservatezza di dati e informazioni personali e sensibili. I timori non dipendono soltanto dal rischio crescente di essere vittime di furti di identità, attacchi cybercriminali e altre forme di violenza digitale come il cyberbullismo o il sexting, il deep faking e le fake news.
I bisogni nascono dal disincanto che sempre accompagna chi è capace di una riflessione critica finalizzata alla maggiore consapevolezza. Nascono dalla necessità di riconquistare spazi privati di libertà personale, non mediati tecnologicamente o determinati da algoritmi binari e dalle scelte di chi li ha implementati. Spazi nei quali esercitare la propria capacità di scelta e il diritto alla verità, anche se illusoria. Spazi nei quali tornare a sperimentare una libertà che non sia negativa e subita, come quella che nasce dal consumismo e dalla costante variabilità di messaggi, prodotti e opinioni. Una libertà non fasulla e ipocrita come quella suggerita da cookie, bot, assistenti personali e algoritmi, reale e non automatizzata, vaccinata contro ogni tentativo di condizionarla algoritmicamente. Una libertà che nasca dalla volontà di liberarsi dalla schiavitù dei social network, per esercitare il libero arbitrio, assumendosi tutta la responsabilità che ogni scelta impone. Una libertà che rifiuta la protezione e il controllo, le gratificazioni che li rendono accattivanti e accettabili, per lasciare emergere nuove idee, elaborare nuovi pensieri e nuove opinioni, per sperimentare nuovi spazi di consapevolezza e possibilità.
Nell’era del disincanto e stanchi di false notizie, falsi contenuti e inganni digitali cosa faranno gli internauti? Si attrezzeranno con nuovi strumenti per ricercare vie di fuga e alternative possibili? Cercheranno nuovi itinerari di viaggio con destinazioni diverse da quelle suggerite dai soliti Tripadvisor, Booking, Google Search e dai loro clienti paganti?
Cos’è la tecnoconsapevolezza
La tecnoconsapevolezza è un modo per trovare le risposte giuste a queste e altre domande, il primo passo verso la libertà. Non deve essere finalizzata a staccare la spina o a rinunciare alle tante opportunità e vantaggi offerti dalla tecnologia. Serve a disvelare l’inganno che sorregge strumenti, piattaforme, modelli di business, algoritmi e soluzioni. Può aiutare a comprendere meglio il ruolo di coloro che, con il possesso delle principali piattaforme tecnologiche impongono i loro modelli di business monopolistici, guidati dalla volontà di potenza e di dominio del mondo. Diventare tecnocosnapevoli serve a comprendere quanto i nostri comportamenti e le nostre vite siano oggi manipolate e tecno-guidate con l’obiettivo di ingaggiarci, addestrarci e renderci tecno-dipendenti, in modo da poterci trasformare in merce e in semplici consumatori.
Dalla fase attuale di sviluppo tecnologico non si torna indietro ma il futuro può ancora essere nelle mani di tutti. Per determinarlo bisogna però impegnarsi nella ricerca di una soluzione. Il primo passo è acquistare maggiore libertà di scelta per riconquistare il controllo della propria vita. La tecnoconsapevolezza ne è lo strumento. Si concretizza attraverso la conoscenza, la riflessione, l’elaborazione di pensiero, la dissidenza nei confronti del conformismo diffuso, la fuga dall’apatia e dall’isolamento digitale, e con il ritorno a nuove forme umane ed empatiche di socialità. Le scelte tecnoconsapevoli di ognuno faranno la differenza e costruiranno gli scenari futuri per tutti.
Tutto questo ho cercato di raccontarlo in un libro (Tecnoconsapevolezza e libertà di scelta – Alla ricerca di senso nell’era tecnologica e digitale, Edizioni Delos Digital, l’editore con il quale ho pubblicato 19 e-book), senza pretese o certezze, pensato per condividere pensieri, idee e riflessioni che mi auguro possano aiutare a pensare, a riflettere criticamente sull’uso che facciamo della tecnologia, a comprendere che qualcosa si è rotto e non funziona più nell’evoluzione di quello che ancora chiamiamo Homo sapiens ma che per molti è diventato Homo stupidus, insipiens e insapienes e destinato ad estinguersi se non saprà riprendere in mano il controllo del suo destino per un futuro dominato sempre più dalla tecnologia.
Andare oltre la tecnologia
Più che navigare è necessario mettersi in viaggio per andare oltre la tecnologia, bisogna impegnarsi in narrazioni diverse da quelle conformistiche diffuse, è utile provare a resistere alle scelte binarie, tipiche delle realtà virtuali che frequentiamo, per ritornare a sperimentare il il timore e tremore che sempre accompagna la libertà di scelta.
I tempi moderni nei quali viviamo sono reali e virtuali insieme. Viviamo in un multiverso fatto da tanti universi paralleli che ci suggeriscono di sviluppare nuovi memi, diversi da quelli diventati virali e molto conformistici pur nella loro pretesa di essere politicamente scorretti. In questi tempi moderni e tecnologici, nei quali nulla è fermo e tutto è in movimento e tutti sperimentiamo la leggerezza del vivere virtuale con la sua componente ludica, potrebbe servire riscoprire la pesantezza del reale e la concretezza di bisogni che nessuna macchina tecnologica o digitale potrà mai soddisfare, in termini di interazioni umane, conversazioni dialogiche, emozioni, relazioni sociali e opportunità di lavoro. La realtà non è un gioco, è complessa e obbliga a rimettersi in cammino ogni volta, in assenza di aiuti come quelli che molte piattaforme tecnologiche sono oggi generose nell’offrire.
La tecnologia ci fa andare veloci e ci illude di essere sempre in gara, proiettati verso traguardi vittoriosi, ma il tempo tecnologico è viscoso e agitato perché tutto centrato sul presente e sull’immediatezza. Nella vita reale serve invece la lentezza, utile a comprendere meglio le proprie emozioni, comprese quelle che generano sofferenza, a evitare deleghe in bianco come quelle che si danno a Facebook o Google Search e ad elaborare scelte individuali fuori dal coro e proiettate anche sui tempi lunghi di una vita intera, individuale, sociale e/o di coppia.
La tecnoconsapevolezza permette di coltivare gli orti del pensiero, di scoprire sapere di non sapere (non basta una ricerca in Google o in Wikipedia), di riflettere su quanto siano illusorie e simulate tante realtà sperimentate online e di percepire al contempo quante siano le libertà perdute. Può servire a comprendere se e quanto siamo ancora umani o semplici scimmioni intelligenti, ammaestrati e trasformati cognitivamente da interazioni uomo-macchina che rischi di trasformare tanti in semplici burattini, scimmie allevata principalmente per consumare, non soltanto dati e informazioni ma anche merci e prodotti. A consumare anche sé stessi dopo essersi trasformati in merce, l’obiettivo pervicacemente perseguito dai Signori del Silicio con le loro piattaforme, Big Data, algoritmi e macchine analitiche.
L’arte di porsi delle domande
Lo strumento cardine della tecnoconsapevolezza è l’arte di porsi delle domande (dubitare ora dubitare sempre). Un’arte da coltivare nel silenzio e con tempi lenti, predisponendosi a immettersi su sentieri (le potenziali risposte) accidentate e che richiedono molto coraggio. Porsi delle domande può servire a scoprire di essere diventati tanti pesci in un acquario virtuale ma molto reale come Facebook, tanti canarini in gabbia incapaci di spiccare il volo perché incapaci di pensare a forme di comunicazione diversa da quella a cui ci siamo ormai abituati. Acquari e gabbie sono riscaldati, piacevoli ma non impediscono di aspirare a cambiare aria, a superare barriere e porticine varie, così come farebbe qualsiasi gatto domestico stanco di stare chiuso in casa. Agendo come gatti ma anche come asini, testardi nella loro saggezza, pazienza e capacità di sopportare la fatica. Una personalità che si esprime nel non fidarsi delle apparenze, nella capacità di ascolto (le orecchie dell’asino sono grandi) e saggezza. Domande bisognerebbe porsi anche sul ruolo dei mille schermi che ci hanno imprigionato con la potenza delle loro immagini, sulla solitudine che non scompare neppure quando si hanno reti di contatti numerosi capaci di regalare Like e gratificazioni in continuazione, sul ruolo invisibile degli algoritmi e sulla loro pretesa di indicarci la via verso la soddisfazione di ogni bisogno o necessità, e infine sui poteri forti e monopolistici che stanno dietro le piattaforme tecnologiche (le nuove chiese del terzo millennio) e da qualcuno identificati con l’acronimo di G-MAFIA (Google, Microsoft, Amazon, Facebook, IBM e Apple). Poteri forti che puntano al dominio del mondo e come tali potrebbero mettere a rischio libertà e democrazie.
A chi fosse interessato al mio ultimo libro (Tecnoconsapevolezza e libertà di scelta – Alla ricerca di senso nell’era tecnologica e digitale, Edizioni Delos Digital, disponibile sia in versione cartacea sia digitale) devo chiarire che esso non nasce da alcun tipo di visione tecnofobica. La tecnologia non è più neutrale ma le direzioni e gli scenari futuri verso cui sembra indirizzata non sono destinazioni obbligatorie e neppure distopiche. Il futuro non è prevedibile ma tutti possiamo in qualche modo contribuire ad anticiparlo e plasmarlo. I fenomeni emergenti sono innumerevoli, sta a noi, con le nostre scelte, contribuire a dare forma a quelli che alla fine emergeranno.
Una (necessaria) riflessione sul ruolo della tecnologia
Tutti i progressi e tutte le innovazioni tecnologiche, con i loro numerosi benefici e vantaggi, non possono diventare la scusante per evitare una riflessione complessiva sul ruolo che la tecnologia sta avendo nel determinare molti dei fenomeni negativi con cui siamo chiamati a fare i conti, a partire da quelli economici, politici (l’emergere di forme politiche che sembrano riportare al passato, totalitarie e reazionarie) e sociali (solitudini, relazioni, fenomeni di cyberbullismo, ecc.).
Staccare la spina, allontanarsi da Internet, non affidarsi al GPS, non acquistare online, sono tutte scelte utili a vivere diversamente il mondo tecnologico attuale. Il problema non è chiudere Internet, ridimensionare e mettere sotto controllo i social network o lanciare una petizione globale contro lo strapotere di Amazon. Serve di più la capacità di sviluppare una riflessione critica sulla tecnologia per un suo utilizzo diverso e consapevole e di partecipare, anche politicamente, a definirne insieme le direzioni, le destinazioni d’uso, le regole e l’etica, gli sviluppi futuri e i modelli sociali e di business. In senso democratico, egualitario, pubblico, umano, rispettoso della libertà e dei diritti di tutti, recuperando il controllo dei nostri dati e difendendo la nostra privacy.
Interrogarsi sulla tecnologia non basta. Farlo significa porsi delle domande anche sul complesso della realtà attuale e le sue numerose faglie critiche in movimento. Come stanno facendo di questi tempi illustri intellettuali italiani come Massimo Cacciari, Marco Revelli, Alberto Asor Rosa e molti altri. Insufficiente cercare soluzioni le risposte semplici per affrontare le problematiche insorgenti dall’uso delle piattaforme tecnologiche, senza impegnarsi anche per obiettivi politici quali la democrazia, la libertà, l’ambiente, il lavoro, l’uguaglianza e i diritti per i beni comuni. In tutto questo le domande servono a comprendere meglio fenomeni che esulano dalle realtà virtuali di Internet perché non sono ad esse riducibili, quali quelli legati al controllo e alla sorveglianza, alla bio-ingegneria, alla genetica e alla finanza.
La tecnologia non è il male
Internet, i social network, i Big Data non sono il male e neppure un problema di tipo etico. Sono solo strumenti sempre più potenti che, nelle mani di pochi monopolisti, sultani digitali, agenzie governative, politici senza scrupoli e detentori del potere, possono determinare il benessere o l’infelicità futura di miliardi di persone, così come scenari futuri migliori o distopici per il pianeta che ci accoglie. Interrogarsi su questo è un primo passo per dare un contributo di conoscenza che porti a un impegno sociale e politico dettato dalla maggiore consapevolezza della posta in gioco.
Il futuro non è prevedibile ma meglio non lasciarselo dipingere e anticipare come una grande nuvola digitale, artificiale e intelligente. Meglio non credere acriticamente ai numerosi messaggi tecnofili e tecno-entusiasti, spesso espressione della visione libertaria, tecno-anarchica e tecno-centrica di poche aziende tecnologiche, capitalistiche e monopolistiche, impegnate nella conquista del mondo con l’aiuto compiaciuto di governi, politica e media. All’orizzonte non ci sono distopie tecnologiche ma realtà tecnologiche future culturalmente costruite e come tali dal destino ancora indeterminato e plasmabile.
Non bisogna temere le macchine ma che a comandarle ci vada chi oggi è impegnato nella costruzione di narrazioni che lasciano intravedere un solo futuro possibile, eliminando tutti gli altri. Sono in genere narrazioni intelligenti, persistenti, soluzioniste e studiate ad arte. Capaci di sfruttare al meglio le tante informazioni disponibili sul funzionamento della mente, sulle emozioni e sul comportamento degli esseri umani. Usate per trasformarci tutti in esseri manipolati cognitivamente, in consumatori felici dei prodotti da esse prodotti, in cittadini soddisfatti di seguire le gesta del leader cinguettante di turno, in semplici prodotti di consumo e merci.
Chi detiene il potere tecnologico usa lo storytelling, la propaganda, la misinformazione e la disinformazione come armi. Algoritmi, intelligenze artificiali, piattaforme sociali, Reti degli Oggetti e sensori sono gli strumenti preferiti, che si aggiungono a quelli del Cloud Computing, dei Big Data, delle applicazioni analitiche e predittive. Non ha però ancora vinto la battaglia per il predominio assoluto e mai la vincerà se un numero crescente di persone si impegnerà in una riflessione critica capace di generare maggiore tecnoconsapevolezza, da cui far nascere scenari futuri diversi da quelli oggi dati per scontati.
Chi usa gli algoritmi per praticare il controllo
Più che temere il controllo di algoritmi fuori controllo bisogna oggi interrogarsi sul ruolo di chi li usa per praticarlo. Capitani d’industria della Silicon Valley, guru e nerd tecnologici che stanno plasmando il mondo a loro immagine e somiglianza, attraverso trasformazioni e rivoluzioni che la tecnologia rende oggi praticabili. Non siamo obbligati a dare loro retta, a condividere la loro visione e le loro narrazioni avvincenti del mondo, neppure a quelle dei loro numerosi evangelisti, apologeti, biografi, storyteller e social media marketer. Possiamo invece impegnarci per acquisire la conoscenza necessaria alla comprensione di strategie, segreti, politiche, e iniziative di queste aziende, analizzarne i prodotti, le destinazioni d’uso, le funzionalità e finalità.
L’analisi è tanto più necessaria quanto maggiore è la carica disruptive percepita, grandi i cambiamenti emergenti e sentita la necessità di contribuire al formarsi di una nuova cultura condivisa. La riflessione e l’analisi devono fare da piattaforma per le azioni da intraprendere, da strumento potente di consenso intorno a una visione del mondo, diversa da quella oggi emergente dalle pratiche tecnologiche correnti e condivisa da moltitudini di persone che forse non colgono l’urgenza di liberarsene per recuperare autonomia e libertà. I membri di queste moltitudini non se ne accorgono, forse perché assomigliano ai dormienti di Eraclito ai quali “rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo di quanto non sono coscienti di quel che fanno dormendo”. Uscire dal sonno digitale può sembrare oggi una scelta aristocratica e radical chic nella realtà è un semplice modo per indagare la propria anima e il mondo, passare dall’ignoranza alla conoscenza, contribuire a costruire comunità umane e collettività
I tempi critici e interessanti che stiamo vivendo impongono a tutti un imperativo esistenziale: impegnarsi nella riflessione critica imposta dalle circostanze per far emergere elementi utili a contrastare il pensiero dominante o l’assenza di pensiero, per elaborare argomenti da usare nel discorso pubblico, per riuscire a cogliere i processi in atto che sembrano irreversibili e che sembrano favorire soltanto l’interesse di pochi.
La criticità del momento è grande, in particolare per noi occidentali, scivolati alla periferia del mondo e forse senza più le energie necessarie (“Fate presto, fate sesso” il titolo de Il Foglio all’indomani del congresso reazionario e medievale di Verona) per imporre una visione del mondo. Diventati semplici attori di modelli esperienziali creati da altri, stiamo perdendo la capacità di influenzare il futuro che verrà. Più che pensiero stiamo producendo solo tanto brusio, quello che diffondiamo tenendo i nostri terminali tecnologici sempre accesi. La percezione persistente negativa della realtà che ci accompagna, ci fa sentire spaventati, incerti sul da farsi, indeboliti nelle nostre capacità di analisi e di visione, preoccupati per il nostro stato sociale e di benessere. Queste preoccupazioni ci impediscono di capire che i temi veri su cui dovremmo riflettere e discutere sono quelli climatici (l’acqua sarà il problema più grande del prossimo futuro), quelli del lavoro non più produttore di ricchezza, diventato precario anche per la presenza di molti colleghi robotizzati, quelli del tempo libero, della famiglia e dei nuovi poteri politici ed economici mondiali.
Riflettere e acquisire maggiore consapevolezza della tecnologia è un modo per affrontare le tante rivoluzioni più grandi in fase di formazione, superando i saperi del passato, aggiornandoli, aprendosi a quelli dei tempi tecnologici attuali, superando pregiudizi ideologici e aprendosi al nuovo, e soprattutto leggendo tanto e studiando. Il percorso non è facile, sempre in grado sin dall’inizio di complicarsi, tutto da costruire e interpretare, facendo appello alle proprie intuizioni e idee personali, usando il pensiero e il lavoro di altri come strumenti speculativi e di cambiamento, puntando sulla condivisione fiduciosa con altri viaggiatori. Compagni di viaggio con cui dialogare, non con l’intenzione di convincerli della giustezza delle proprie idee, ma per condividere un approccio critico, fatto di falsificazioni e pensieri (non fatti o verità) alternativi, rimanendo sempre disponibili a idee diverse e a ricredersi sulle proprie. Imparare a dialogare è importante perché implica curiosità antropologica e una disponibilità, il saper tacere, il sapere ascoltare, la capacità di far pensare e parlare.
La riflessione sulla tecnologia e sui suoi effetti in ambiti diversi come quelli dell’informazione, della genetica, della biologia e delle neuroscienze, della chimica e dell’ingegneria, della mobilità ecc., è diventata urgente e necessaria. Ogni persona può dare il suo contributo ma deve essere fatta insieme e in condivisione con altri, esercitando un sano pessimismo intelligente, capace di opporsi sia all’ottimismo conformistico e superficiale sia al nichilismo dilagante. Uno approccio perseguibile comporta l’esercizio del pessimismo intelligente (non basta quello della volontà), critico e creativo, rivolto al futuro pensando alle nuove generazioni che abiteranno i molteplici paralleli nei quali si manifesterà. La riflessione servirà a superare le inquietudini correnti e regalare loro strumenti cognitivi utili per viverlo con armi più adeguate, umane anche se ibridate tecnologicamente.
La singolarità del futuro che arriverà potrà anche essere molto tecnologica ma per essere una nuova fase di evoluzione del genere umano dovrà far prevalere la sua dimensione e caratteristica umana.