Internet ha rappresentato e rappresenta una delle innovazioni tecnologiche a più ampio impatto nella società, comportando forti elementi di pervasività e interconnessione tra luoghi differenti, dagli ambienti di lavoro agli istituti scolastici, ai luoghi dedicati al tempo libero. In tale contesto il bullismo, da comportamento di prevaricazione in ambienti fisici e più circoscritti, è diventato anche un fenomeno virtuale.
Sempre più i comportamenti di prevaricazione travalicano la dimensione fisica per diventare virtuali sfruttando i social media. Per affrontare questo fenomeno esistono sufficienti strumenti di tutela legale a tutela del minore? Stando anche ai recenti fatti di cronaca la risposta sembra essere negativa.
Infatti, per rispondere ad un’esigenza di tutela del minore, da oltre tre anni in Senato è stato depositato un disegno di legge volto a offrire un quadro normativo più completo.
Il disegno di legge sul cyberbullismo durante il suo iter di approvazione, non ancora concluso, ha subito diversi emendamenti, prevedendo sia lo stanziamento di una somma annuale su un fondo per la formazione specifica, sia una procedura di ammonimento nei confronti dei minori ultraquattordicenni, ma soprattutto merita particolare attenzione il procedimento amministrativo volto a fornire una tutela immediata al minore.
Tale proposta dopo essere stata approvata al Senato in secondo lettura è attualmente in attesa di approvazione alla Camera dei Deputati.
Passando all’esame del ddl (A.C. 3139-B), questo fenomeno viene descritto in base all’art. 1 comma 2: per “cyberbullismo” si intende “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”. Da tale definizione sul piano giuridico si ricava pertanto che il cyberbullismo consiste in un comportamento ovvero un’azione commessa tramite strumenti telematici che si possa configurare come aggressione, volontà di prevaricazione sull’altro e che ingeneri nell’altro timore, ansia, isolamento.
In questo contesto la disciplina fornita dal ddl, secondo quanto previsto dall’art. 2, appare piuttosto sintetica e mirata essenzialmente a garantire in via preventiva una tutela immediata alla vittima, al minore vittima di cyberbullismo e a chi è incaricato della responsabilità genitoriale, garantendo la possibilità di presentare un’istanza di accesso alla quale il titolare del trattamento dovrà fornire riscontro entro 48 ore dalla ricezione della segnalazione.
Tale segnalazione sarà mirata all’oscuramento, rimozione o blocco di qualsiasi dato personale del minore ultraquattordicenne diffuso nella rete e sarà indirizzata al titolare del trattamento o gestore del sito internet.
Sotto il profilo dei destinatari ci si interroga se questa impostazione comporterà nuovi obblighi ed oneri per chi opera su internet, il gestore di un sito internet o del social media è un termine generico atto a ricomprendere chiunque gestisca anche per scopi di svago un semplice blog o sito internet.
Infatti, l’art. 1 comma 3 richiama esplicitamente il d.lgs. 70/2003 sui servizi nella società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico.
Come è noto, il decreto menzionato differenzia tre figure di prestatori di servizi:
– prestatori di semplice trasporto (mere conduit);
– prestatori di servizi di memorizzazione temporanea (caching);
– prestatori di servizi di memorizzazione di informazione (hosting).
In base al citato decreto sul commercio elettronico, per le tre ipotesi sopra richiamate si applica il principio generale di esclusione di un obbligo generale di sorveglianza sui contenuti per il prestatore di servizi. Principio in base al quale i cosiddetti webmaster o i proprietari dei siti web non sono responsabili per i contenuti immessi dagli utenti, salvo che gli stessi vengano a conoscenza di contenuti illeciti (attività illecite o informazioni illecite riguardanti l’utente) o comunque che non intervengano in alcun modo sul contenuto.
In riferimento al ddl, data l’ampiezza della definizione, si ricomprendono nei destinatari della segnalazione chiunque gestisca un sito o un blog, onerando gli stessi di mettere in campo costose procedure spesso impossibili da implementare soprattutto quando il sito web viene gestito non professionalmente ma per mero scopo amatoriale o per svago.
D’altra parte, anche tenuto conto della giurisprudenza più recente come per esempio la Cass. 27 dicembre 2016, n. 54946 sulla responsabilità del gestore relativa al commento a contenuto diffamatorio, il gestore del sito dovrebbe essere in grado di effettuare una valutazione spesso difficile.
Salvo, infatti, i casi in cui il contenuto di un commento o di un post sia chiaramente illecito, sarà difficile per un gestore qualsiasi capire se il contenuto è illecito o meno con la concreta possibilità per lo stesso o di dare di disattendere le aspettative/interessi dell’utente oppure la richiesta del minore.
Invero, la questione posta rimanda da una parte ad un problema aperto relativo all’affidabilità e alla qualificazione dei soggetti legittimati ad inoltrare le segnalazioni di contenuti apparentemente illeciti su internet, ma dall’altra costituirà certamente un nuovo ed oneroso adempimento per i gestori dei siti web sui quali già incombono rischi e responsabilità individuate dalla giurisprudenza.
Tornando adesso al disegno di legge occorre analizzare la circostanza che quando il soggetto responsabile del sito non fornisca un riscontro o fornisca un riscontro parziale inidoneo, l’interessato potrà adire il Garante per la protezione dei dati personali il quale avrà a disposizione 48 ore a sua volta per provvedere con proprio provvedimento.
Il Garante privacy in tale contesto si pronuncerà con un provvedimento amministrativo, cosiddetto procedimento su reclamo che può essere attivato anche tramite una segnalazione, il procedimento sarà tuttavia estremamente accelerato seconda una tempistica imposta per legge (48 ore). L’Autorità dovrà pertanto necessariamente raccogliere il materiale istruttorio disponibile e pronunciarsi per l’accogliemento delle ragioni del segnalante/reclamante oppure rigettare motivando il provvedimento.
In conclusione, il procedimento su reclamo semplificato proposto nel ddl implica necessariamente una sommarietà della valutazione anche in termini di materiale istruttorio che mal si concilia con le situazioni più complesse che possono presentarsi nella realtà, questo farebbe propendere per far relegare questa procedura ai casi che appaiono prima facie illeciti o in cui l’illiceità è altamente probabile.
Da quanto sopra, ne segue che particolare attenzione dovrà essere posta all’istanza di accesso che verrà formulata dall’interessato (minore ultraquattordicenne o genitore), infatti, tenuto conto che l’Autorità Garante avrà solo quarantotto ore per valutare la sussistenza degli elementi di fatto e di diritto, occorrerà che l’istanza sia sufficientemente circostanziata raccogliendo quanto più documentazione possibile sia in ordine ai fatti lesivi (comportamento di cyberbullismo) sia in ordine ai soggetti nei cui confronti dovrà essere pronunciato il provvedimento amministrativo.
A tal riguardo appare doveroso rilevare che la scelta nelle precedenti versioni del ddl di limitare al minore ultraquattordicenne la tutela sul cyberbullismo sembrava contrastare con alcuni dati. Se, infatti, da una parte può essere rilevato che anche gli infraquattordicenni soprattutto dopo aver terminato la scuola primaria, essendo oramai dei nativi di internet utilizzano già i social network e le principali app di comunicazione, sono esposti ad atti bullismo anche online tramite questi sistemi informatici e telematici, alcuni studi mostrano che al contrario gli infraquattrodicenni sono persino più soggetti a tale atti.
Sotto questo aspetto del ddl è pertanto apprezzabile la recente modifica ad opera del Senato che prevede per disciplinare la materia offrendo strumenti di tutela più efficaci anche a fasce di minori ancora più fragili e quindi anche agli infraquattordicenni, il primo comma dell’articolo 1 recita che l’obiettivo è di “di contrastare il fenomeno del cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni, con azioni a carattere preventivo e con una strategia di attenzione, tutela ed educazione nei confronti dei minori coinvolti, sia nella posizione di vittime sia in quella di responsabili di illeciti, assicurando l’attuazione degli interventi senza distinzione di età nell’ambito delle istituzioni scolastiche.
L’articolo 2 comma 1 recita anche che “Ciascun minore ultraquattordicenne, nonché ciascun genitore o soggetto esercente la responsabilità del minore che abbia subìto taluno degli atti di cui all’articolo 1, comma 2, della presente legge, può inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media un’istanza per l’oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato personale del minore, diffuso nella rete internet, previa conservazione dei dati originali, anche qualora le condotte di cui all’articolo 1, comma 2”.
Sebbene il testo della proposta di legge non sia estremamente chiara sul punto, da un’interpretazione letterale e complessiva del testo appare chiara finalmente la volontà di estendere a tutti i minori la tutela, infatti, da una parte c’è l’ultraquattordicenne e dall’altra i minori comunque lesi per quali dovranno intervenire coloro che hanno in carico la responsabilità genitoriale del minore.
D’altro canto, le indagini statistiche pubblicate mostravano già da alcuni anni ed almeno sin dal 2015 (Telefono Azzurro) che il cyberbullismo colpiva per circa il 60% infraquattordicenni, di cui il 55,2 % di è tra gli 11 e il 14 anni (Dossier sul Cyberbullismo a cura di S.O.S. Telefono Azzurro ONLUS) e 4,6% entro i 10 anni. Dati che dimostrano ancora di più l’esigenza di estendere la tutela anche a fasce di età più basse, tenuto conto di una capillare diffusione di nuove tecnologie incluso l’utilizzo di social network e app di comunicazione sin almeno dall’inizio della scuola secondaria.