sicurezza e libertà

Mayer: “Non c’è democrazia senza cyber security: ecco le sfide degli Stati”

Per proteggere il cittadino (e la democrazia) ed evitare nuovi totalitarismi è necessario estendere al mondo digitale i paradigmi della sicurezza. Questo richiede un serio impegno da parte degli Stati, ma anche la stretta collaborazione tra Istituzioni, Università e imprese. Una sfida impegnativa ma imprescindibile

Pubblicato il 19 Set 2018

Marco Mayer

Professore straordinario di storia dell'intelligence, corso di laurea magistrale in studi internazionali, Link Campus University

sicurezza

Nell’epoca pionieristica di Internet (e nei due decenni successivi) nelle Scienze Sociali ha prevalso una visione decisamente ottimistica se non utopica sul futuro tecnologico (A. Giddens, J. Nye, U.Beck, etc.). Nell’arco degli ultimi anni, tuttavia, la crescente consapevolezza dei rischi in materia di cyber security ha spinto numerosi scienziati sociali a rivedere drasticamente le proprie posizioni. Hanno inciso su questo ripensamento critico le minacce connesse alla Cyber Warfare, i conflitti digitali che si sono manifestati a livello internazionale (Estonia 2007, Georgia 2008, ecc.), nonché il dilagare dell’uso criminale di reti e tecnologie digitali a livello transnazionale.

Il rapporto tra tecnologia e democrazia

Senza cancellare i grandi benefici delle interconnessioni e delle infosharing, nuovi studi (I. Ben Israel, L. Tabansky, N. Crouchi, M. Libicki, Melissa Hathaway, et al.) hanno acceso i riflettori sui lati oscuri del Web, di Internet e del Cyberspace nel suo insieme.[1]

Le analisi si soffermano sui conflitti connessi all’universo digitale: dalla digital dependence individuale ai suicidi indotti ai traffici illeciti di fake drugs, dalle Crypto-valute utilizzate per il riciclaggio, dai nuovi rischi fisici connessi all’Internet of Things (IoT) quali dighe centrali elettriche, sale operatorie, ecc.

In questo momento le crescenti tensioni sotterranee tra i big tech (Amazon, Google, Alibaba, ecc.), telecom carriers e grandi banche allarmano le banche centrali e possono costituire potenziali minacce sistemiche in campo economico e finanziario. Tuttavia, solo in tempi molto recenti al centro dell’attenzione degli studiosi si colloca un tema cruciale e che si manifesta in forme assolutamente inedite nella società contemporanee: il rapporto tra tecnologia e potere o, per essere più precisi, tra tecnologia e democrazia. Qual è l’impatto della rivoluzione digitale sul concreto esercizio delle libertà politiche e civili dei cittadini, sull’indipendenza dei media, sulla separazione dei poteri, sul diritto alla riservatezza, sulla tutela delle minoranze? Quali sono le conseguenze rispetto ai valori fondamentali e le norme proprie dello Stato di diritto? La verità è che non è ancora chiaro se e in che misura, la rivoluzione digitale sia pienamente compatibile con questi valori.

Oggi, per esempio, la fisiologica tensione tra libertà (e privacy in particolare) e sicurezza si manifesta in nuove e complesse declinazioni in una società dominata da performances inedite, in termini di iper-velocità, iper-memoria, iper-connettività, iper-automazione, iper-influenza comunicativa, iper-capacità mimetiche e di camuffamento, iper-capacità magnetica, ecc.[2] Queste proprietà caratteristiche della società digitale interagiscono tra di loro dando vita ad un ambiente sociale spesso dominato dall’insicurezza ( e/o dalla percezione di insicurezza) anche per l’eclissi del pensiero strategico e una produzione culturale sempre più dominata dalla “tirannia del presente” che crea “incertezza e ansia strutturale”.

Le nuove “protesi tecnologiche” che potenziano le capacità dell’intelligenza umana condizionano profondamente percezioni e comportamenti ponendo continuamente interrogativi politici ed etici di rilevanza primaria. La società digitale in una democrazia moderna presenta pertanto una sua intrinseca fragilità perché oscilla continuamente tra poli opposti in cui si alternano grandi opportunità e gravi minacce, prospettive di liberazione e processi di alienazione, occasioni di crescita e pesanti dipendenze.

La stessa rappresentazione binaria del mondo reale e virtuale (oggi estesa anche all’olfatto) induce inconsapevolmente a oscurare profili vitali quali passioni, speranze, progetti ovvero il mix affettivo/razionale su cui si fondano i progetti di vita delle persone e la convivenza delle comunità. Il benessere individuale e sociale non è riducibile all’orizzonte limitato del “problem solving” e tantomeno dei tipici dilemmi infantili (buono/cattivo, bianco/nero).

Le due facce della società digitale

Al di là di questa polarizzazione binaria è stata soprattutto la velocità e la pervasività del mutamento tecnologico che ha “spiazzato” le scienze sociali provocando una tardiva riflessione sull’impatto della rivoluzione digitale sulle democrazie contemporanee. Le recentissime sperimentazioni della tecnologia blockchain illustrano in modo emblematico le due facce della società digitale. Da un lato – come “un inchiostro indelebile” – questa tecnologia garantisce la tracciabilità massima di tutti i passaggi (con un’infinita possibilità di applicazioni dalla logistica industriale alla sharing economy, dalle disposizioni del codice civile all’organizzazione della giustizia penale, dal catasto dei terreni sino alla protezione dei siti militari più sensibili, ecc.). Dall’altro – quando mettono in connessione una catena di nodi e di transazioni protette dall’anonimato – le tecnologie blockchain possono creare canali di comunicazione e transazione finanziaria utilizzati dalle grandi organizzazioni criminali nazionali e transnazionali.

Come evitare gli opposti: da un lato “troppo anonimato”, dall’altro troppa trasparenza? Per quanto riguarda l’attenzione ai temi della sicurezza digitale in relazione alla cultura politica delle diverse nazioni si può osservare che le reazioni più favorevoli si riscontrano nelle società caratterizzate da una scarsa sensibilità verso il pluralismo. Un esempio eclatante in questa direzione è Singapore, peraltro peculiare città-Stato da sempre oggetto di attenzione da parte degli studi politologici. L’isola è il “paradiso” della cyber security oltre che uno dei modelli più avanzati al mondo di smart city. In nome di ordine, igiene, benessere, efficienza e soprattutto armonia (sociale, multietnica e religiosa) la sorveglianza è praticamente totale. Smartphone, videocamere, sensori, droni, dispositivi A.I. controllano h 24 la vita dei cittadini. È un po’ come vivere tutta la vita sottoponendosi alle misure di sicurezza proprie di un aeroporto intercontinentale dotato delle più avanzate “diavolerie” tecnologiche per proteggere i passeggeri.

Ma ha senso una vita talmente “trasparente” in cui il cittadino è sempre sotto osservazione? È evidente che la domanda solleva un tema gigantesco: una persona che sa di essere sempre osservata dall’esterno non è solo pesantemente condizionata nei suoi comportamenti, ma nella profondità del suo spazio interiore. Le conseguenze di queste intrusioni (paradossali proprio perché in nome della trasparenza) minacciano la libertà cognitiva delle persone e la loro stessa capacità di pensare e di sentire.

Chi controlla i controllori?

Il discorso sulla dimensione esistenziale ci porterebbe lontano, ma in un simile contesto sorge poi spontanea la domanda di carattere politico: chi controlla i controllori? Ancora una volta la risposta la troviamo nelle parole di Karl Popper: “Troppo Stato conduce alla non libertà. Ma esiste anche un ‘troppo’ di libertà (…); abbiamo bisogno della libertà per impedire che lo Stato abusi del suo potere e abbiamo bisogno dello Stato per impedire l’abuso della libertà.”

Tuttavia, lo scenario di oggi è più complicato e non si esaurisce nel rapporto Stato/cittadino. Nella società digitale – o meglio in una “società digitale aperta” – c’è anche bisogno dello Stato per impedire gli abusi delle imprese digitali private così come sono necessarie le imprese digitali per impedire gli abusi dello Stato, in primis nei regimi autoritari.

Garantire sicurezza pubblica nella sfera digitale riveste, dunque, una rilevanza politica primaria per la salvaguardia delle democrazie contemporanee. Occorre tuttavia impedire un’impostazione squilibrata del binomio libertà-sicurezza per evitare scenari non dissimili da quelli di Singapore, per taluni aspetti decisamente inquietanti. Un ragionamento analogo vale per le aziende Big Tech. In sintesi, per chi crede nei valori della libertà e dello Stato di diritto, proteggere il cittadino in ambito cyber non può significare condannarlo a vivere in un regime di “totalitarismo digitale” (pubblico e/o privato che sia)[3].

In verità pochi hanno riflettuto sull’intrinseca ambivalenza del termine trasparenza e dei rischi connessi a suo potenziale abuso. I processi di digitalizzazione possono agevolmente accrescere i livelli di trasparenza, e questa è sicuramente una opportunità positiva. Ma sino a che punto? Quale può essere l’effetto di “troppa” trasparenza? Oggi la parola chiave politicamente corretta è “open”: open access, open source, open system, open data, open software ecc. Ma nessuno si chiede fino a che punto trasparenza è compatibile con libertà (di cui il diritto alla privacy è un evidente presupposto). Non si tratta di negare specifici e virtuosi doveri di trasparenza, quali ad esempio quelli di un’azienda quotata in borsa nei confronti dei propri azionisti oppure quelli di un Sindaco che deve spiegare ai cittadini come intende spendere i soldi delle loro tasse.

Il corto circuito tra massima libertà e massima trasparenza

Il punto è comprendere che l’effetto combinato delle misure necessarie per garantire simultaneamente massimi livelli di trasparenza e massimi livelli di sicurezza può creare un vero e proprio corto-circuito. L’articolo 15 della Costituzione sancisce che “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”, ma nella realtà contemporanea trovare il giusto equilibrio tra diritto individuale alla riservatezza , libertà di espressione e diritto alla sicurezza è un’impresa difficile: probabilmente la maggiore sfida della rivoluzione digitale al mondo del diritto.

Voto elettronico e interferenze indebite nelle elezioni

Non possiamo, inoltre, dimenticare che uno dei pilastri fondamentali della democrazia costituzionale (il diritto di voto) si fonda sul segreto. Sarebbe immaginabile concepire ed attuare i valori della libertà politica senza il segreto nell’urna elettorale? Non è un caso che nella società digitale in cui siamo immersi, uno dei temi politicamente più caldi in materia di cyber security è proprio la tutela delle libere elezioni e delle campagne elettorali, dalle vulnerabilità dei sistemi informatici dalle intrusioni degli hacker e dalle interferenze indebite di agenzie straniere tramite social media ed altri strumenti del Web.

Le polemiche politiche non risparmiano il voto elettronico e gli eventuali brogli ad esso connessi. Nell’ottobre del 2017 il Dipartimento Affari Politici dell’ONU ha elaborato un interessante documento sui rischi e le opportunità del voto elettronico[4]. Sul piano empirico, inoltre, l’esperienza di e-voting promossa da un decennio in Estonia meriterebbe di essere valutata più accuratamente nelle sue luci e nelle sue ombre[5]. I più recenti studi segnalano che l’applicazione della tecnologia emergente blockchain, cui abbiamo già accennato, potrebbe offrire in futuro le soluzioni giuste per affrontare le vulnerabilità che caratterizzano gli attuali meccanismi di e-voting.[6] Tuttavia ancora non ci siamo e l’imminente scadenza elettorale con modalità elettroniche nella Repubblica Democratica del Congo è fonte di enormi preoccupazioni[7].

Per quanto riguarda specificatamente le interferenze indebite nell’esercizio del voto la legislazione italiana contiene una norma che disciplina questa materia. L’articolo 294 del Codice Penale cosi recita: “Chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l’esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme alla sua volontà è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. Il problema è che l’inganno (o la disinformazione) capace di spingere un cittadino ad esercitare un diritto politico in senso difforme alla propria volontà non è affatto facile da identificare, definire e dimostrare. Non a caso per evitare interpretazioni estensive in una materia sin troppo fluida la Corte di Cassazione ha cercato di circoscrivere l’eventuale reato all’interno di alcune circostanze specifiche[8].

Esperienza vs. influenza

In un’epoca caratterizzata da una miriade di fake news, information operations, propaganda e dal protagonismo di influencer ben pagati, alcuni studiosi hanno coniato l’ambigua – o forse semplicemente vuota – espressione “post verità”. Tom Nichols nel suo libro The Death of Expertise mette bene in evidenza il punto. Sul web gli esperti sono mal visti, generano sospetti, e sono ormai meno credibili degli influencer che appunto influenzano il pubblico e i consumatori, promuovendo brand e se stessi[9]. Questo fenomeno produce anche un indebolimento della autorevolezza delle Istituzioni ampiamente dimostrato dalle polemiche sui vaccini. In questo clima dominato dalla propaganda i tentativi di attori esterni di influenzare tramite i social le campagne elettorali nazionali è qualcosa di cui non possiamo sorprenderci.

A questo proposito è sintomatico che Mark Zuckerberg abbia sentito il bisogno di rispondere pubblicamente ai crescenti sospetti sulle connessioni tra Facebook e le presunte interferenze russe sulla campagna presidenziale americana.

Elezioni, proteggerle dalla disinformazione online: ecco le contromisure in Europa e Usa

Il 21 settembre 2017 ha scritto un lungo post sulla sua piattaforma in cui ha ammesso che i controlli sulla pubblicità politica a pagamento non erano stati adeguati e ha raccontato come la sua azienda stia collaborando attivamente con le autorità inquirenti e con il Congresso.[10]

Facebook ha inoltre annunciato l’assunzione di 1.000 nuovi dipendenti allo scopo di migliorare le attività di revisione e rimozione di post e pubblicità che violano le regole, incitano alla violenza al fine di rafforzare la difesa della democrazia americana dagli attacchi informatici e dalle interferenze estere; (per inciso si tratta una implicita ammissione che i meccanismi automatici di controllo, A.I., machine learning, ecc. producono risultati insufficienti). Sempre in settembre il Comitato per l’intelligence del Senato americano ha, inoltre, ascoltato i rappresentanti di Facebook, Twitter e Google in relazione alle presunte interferenze; in seguito all’incontro, Google ha deciso di rimuovere il canale Russian Today (RT) dalla selezione premium per i video su You Tube mentre Tim Cook il CEO di Apple si è rifiutato di presentarsi suscitando le ire dal senatore McCain per aver disertato l’incontro[11], mentre sempre al senato è stato accusato di essere troppo arrendevole con le autorità cinesi[12].

Da questo punto di vista i costituzionalisti, politologi, filosofi del diritto, economisti, diplomatici, sociologi, esperti di diritto amministrativo, ecc. avranno una molteplicità di sfide intellettuali e pratiche da affrontare a “stretto contatto di gomito” con ingegneri, computer e data scientists. Si veda in proposito la nuova dimensione della “Lex Cryptographia” coniata da alcuni ricercatori per indicare i rapporti giuridici che non necessitano garanzie di terze parti: “rules administered through self-executing smart contracts and decentralized (autonomous) organizations.”[13]

Tutto ciò presuppone una difficile collaborazione tra scienziati e studiosi di scienze sociali rompendo un muro di diffidenza che ha radici profonde. Il discorso ci porterebbe lontano, ma ci sia consentita una battuta. Invece di litigare se è stato più “scomodo” il pensiero di Galileo o quello di Machiavelli è l’ora di fare un patto per la creazione di un linguaggio comune. Gli scienziati sociali dovrebbero promettere di non utilizzare espressioni e concetti troppo indeterminati (natura umana, comunità internazionale, destino, populismo, ecc..), gli scienziati dovrebbero accettare l’idea che è utile tener conto (e studiare con metodi qualitativi) di fenomeni storici, politici e sociali rilevanti anche in assenza di modelli, metodologie quantitative e di unità di misura. In proposito basti ricordare ciò che ha scritto John Kenneth Galbraith a proposito del potere nei modelli degli economisti: “Il paradosso del potere nella tradizione classica è ancora una volta che, benché tutti siano d’accordo che il potere esiste, esso non esiste in linea di principio”.[14]

Stato vs. multinazionali

Un altro tema centrale che spesso viene dimenticato è che nelle società digitali lo Stato è sfidato, messo in crisi, marginalizzato dai grandi gruppi tecnologici e finanziari multinazionali, ma resta un pilastro della convivenza umana. Forse il caos Somalia è l’esempio più adatto a descrivere gli effetti della sua assenza. Nonostante la globalizzazione digitale abbia fatto cadere i confini tra pericoli interni ed esterni, la libertá del cittadino presuppone, infatti un rilevante grado di protezione da parte dello Stato (tuttora il principale provider di sicurezza e unico titolare del monopolio legittimo della forza e dell’intelligence) che a sua volta costringe i governi a muoversi – tra mille difficoltà – in un’ottica internazionale senza disporre dei poteri e degli strumenti di law enforcement tipici del diritto interno[15] in grado di garantire legalità e sicurezza.

D’altronde la sofisticata architettura giuridica dello Stato di diritto si regge ancora sulle solide fondamenta storiche dei poteri sovrani (monopolio della forza, dell’intelligence e del prelievo fiscale, gerarchie istituzionali, mediazione dei conflitti tra gruppi sociali, controllo fisico dei confini di Stato).

Questi pilastri della sicurezza non spariscono nelle democrazie contemporanee. Lungi dal cancellare il valore fondante della sicurezza, la democrazia costituzionale ne estende il diritto alla generalità dei cittadini limitandone comunque le modalità entro spazi e regole definite da un articolato bilanciamento dei poteri. Il binomio – diritto alla sicurezza e diritto alla libertà – per tutti i cittadini è un binomio non negoziabile; e tuttavia nelle società digitali attuare questo binomio si presenta come una sfida piena di incognite.

A questo radicale cambiamento se n’è aggiunto un altro forse ancora più rilevante. Le tecnologie e le connessioni digitali tendono a coinvolgere, avvolgere[16] e talora sconvolgere (disrupt) tutta la società nel suo insieme: sotto questo profilo le classiche definizioni accademiche e dottrinali di “quinto dominio”, “cyber space”, arena digitale o infosfera (l. Floridi) appaiono riduttive perché non colgono la trasversale capillarità dei processi in atto che connettono tutti e cinque i domini..

Nella società digitale in cui viviamo oggi (e ancor più quella in cui sono destinati a vivere i nostri figli e nipoti) “cyber is the World of Everything“.[17] Questo significa che non si tratta solo di proteggere dati sensibili e identità; le tecnologie digitali si diffondono a macchia d’olio penetrando nel mondo fisico e coinvolgendo vari aspetti della vita quotidiana dei cittadini, dai trasporti ai servizi sanitari, all’ambiente, alle banche, al sistema formativo, al sistema elettorale, e ad altri servizi essenziali dalla pubblica amministrazione.

Cyber security per democrazia e crescita economia: i doveri di uno Stato

È pertanto indispensabile per uno Stato democratico garantire un buon livello di “cyber security” sia per proteggere la sicurezza nazionale (inclusa la tutela delle libere elezioni e delle campagne elettorali da interferenze esterne) che il benessere economico e crescita del Paese. Questo richiede un serio impegno da parte degli Stati per sviluppare strategie nazionali di cyber security che allineino i bisogni di sicurezza nazionale con quelli di crescita economica, che promuovano una sicurezza maggiormente proattiva sin dalla progettazione di tutte le politiche digitali (cyber security by design), e che aumentino la capacità dello Stato di prevenire, dissuadere e individuare gli attacchi informatici e di rispondere ad essi in maniera coordinata con le varie istituzioni coinvolte nell’architettura di cyber security.[18]

La sensibilizzazione dei cittadini ai molteplici rischi connessi alla rivoluzione tecnologica (cyber security awareness) – dalle intrusioni nei computer alla dipendenza digitale, dal furto di dati ai riscatti, dal sabotaggio alle truffe, dalle fake news all’incitamento all’odio online – è un altro aspetto importante.

La sfida cyber è molto impegnativa perché le minacce connesse alla rivoluzione digitale corrono più veloci delle politiche pubbliche; per questo è particolarmente importante coinvolgere in modo sempre più intenso governo, Università e centri di ricerca, e imprese. Il triangolo virtuoso tra Istituzioni, Università e mondo imprenditoriale è la precondizione per affrontare le nuove sfide tecnologiche e dare una risposta efficace in ogni democrazia.[19]

Disporre di Stati nazionali ben funzionanti tuttavia non basta ad assicurare la sicurezza dei cittadini. Tutte le grandi potenze hanno bisogno di alleati e di amici a livello internazionale. Persino i “sovranisti” come Steve Bannon promuovono movimenti internazionalisti che talora appaiono una contraddizione in termini e che spesso non tengono conto che in alcune realtà politiche europee la dimensione e identità subnazionale si lega ad una vocazione europeista come in Scozia, Baviera e Catalogna. Non a caso la Scozia, l’Irlanda del Nord e persino la Cornovaglia sono in allarme per la Brexit.

Come rafforzare la cooperazione tra Stati democratici

Come rafforzare strumenti di cooperazione tra Stati democratici nella dimensione europea che in quella internazionale? I leader politici dei paesi democratici dovrebbero trovare un minimo comune denominatore partendo dalla piena consapevolezza che la società digitali sono in realtà molto più fragili e vulnerabili di quanto generalmente si pensi. Per inquadrare il rapporto libertà e sicurezza nelle società digitali dovremmo, infatti, ispirarci alla logica dei “two level games” cosi come elaborata da Robert Putnam. Occorre saper agire simultaneamente su due fronti: nazionale e sovranazionale. Si tratta di un compito complesso a cui le autorità deputate e i legislatori devono rispondere osservando attentamente i global trend avendo bene in mente una visione europea, ma al tempo stesso dando molta attenzione alle specificità di ogni paese e alle priorità di ciascuna agenda nazionale.

L’impatto della rivoluzione digitale si presenta, infatti, assai differenziato tra nazione e nazione. In alcuni casi come Israele esso rappresenta un fattore di crescita economica e di vivacità culturale, ma nella maggioranza dei casi nonostante i roboanti richiami alla democrazia digitale i cittadini possono trasformarsi in sudditi senza rendersene conto.

L’autore è stato consigliere alla cyber security per l’ex ministro Minniti

________________________________________________________  Note bibliografiche

  1. Mayer, M.:http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/alle-radici-della-societa-digitale-17132, Mayer, M.https://www.academia.edu/37142299/THE_8_PROPERTIES_OF_THE_NEW_DIGITAL_SOCIETY
  2. Per chi volesse approfondire i profili autoritari di Internet segnaliamo che sta per uscire un nuovo volume di Jaron Lanier, uno dei più feroci critici delle patologie del web: https://www.amazon.com/Dawn-New-Everything-Encounters-Reality/dp/1627794093/tag=thneyo0f-20/no-follow, http://24ilmagazine.ilsole24ore.com/2017/10/contro-il-nuovo-totalitarismo/
  3. https://dpa-ps.atavist.com/harnessing-elections-technology
  4. https://www.valimised.ee/en/news/many-thanks-all-our-beta-testing-voters
  5. http://www.nasdaq.com/article/how-blockchain-technology-can-improve-the-democratic-electoral-process-cm833172, http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/ATAG/2016/581918/EPRS_ATA%282016%29581918_EN.pdf
  6. Il riferimento è alla sentenza della Corte di Cassazione penale sez. I  26 giugno 1989: “Ad integrare l’inganno necessario alla configurabilità del delitto di cui all’art. 294 c.p. non basta la semplice suggestione e neanche le promesse chimeriche, le forzature dialettiche, le prospettazioni incomplete o tendenziose di situazioni nazionali o locali, le interpretazioni faziose di eventi, ma occorre una condotta che faccia ricorso a qualsiasi mezzo fraudolento idoneo ad esercitare sull’elettore una passione di tale intensità da indurlo a determinarsi, nell’esercizio di un diritto politico, in modo contrario alla sua reale volontà”.
  7. Nichols T., The Death of Expertise, Oxford, 2017.
  8. https://www.facebook.com/zuck/posts/10104052907253171; http://www.zdnet.com/article/facebook-microsoft-twitter-youtube-up-the-ante-on-curbing-terrorist-propaganda/
  9. http://www.washingtontimes.com/news/2016/jul/15/mccain-threatens-subpoena-apple-ceo-senate-revives/
  10. https://www.appleglory.com/bipartisan-senate-team-demands-an-apple-answer-on-why-it-removed-vpn-apps-from-chinese-app-store/ http://www.reuters.com/article/us-china-apple/apple-sets-up-china-data-center-to-meet-new-cyber-security-rules-idUSKBN19X0D6?mc_cid=3023f75b69&mc_eid=699116acce
  11. http://www.theblockchain.com/docs/Decentralized%20Blockchain%20Technology%20And%20The%20Rise%20Of%20Lex%20Cryptographia.pdf
  12. L’analisi di Galbraith è parte di una riflessione assai più ampia contenuta nel suo celebre libro del 1967, The New Industrial State. Una buona sintesi è contenuta nel sito: http://www.economictheories.org/2008/08/galbraith-power-of-technostructure.html.
  13. Per quanto riguarda il rapporto libertà, sicurezza e poteri sovrani nell’era della globalizzazione vedasi “Globalizzazione immaginaria, le sirene del pensiero analogico”, pag.13-15.
  14. Vedasi: Mayer M., Carfagna B. (Tel Aviv University, ennaio 2017). http://www.academia.edu/30992305/Is_there_room_for_Democracy_in_the_Digital_Society_presented_at_Cyber_Politics_and_Elections_Conference_Tel_Aviv_University_1_17_2017
  15. Cyber Week, Tel Aviv, giugno 2017: https://www.youtube.com/watch?v=la5r-nGU7qs
  16. Questi sono tutti aspetti della metodologia internazionale del Cyber Readiness Index 2.0. Vedasi: Hathaway, M. e Spidalieri, F., “Cyber Readiness Index 2.0,” Potomac Institute for Policy Studies, http://www.potomacinstitute.org/images/CRIndex2.0.pdf
  17. “The remarkable opportunities associated with being connected and participating in the Internet economy (including increased economic growth, digital innovation, and better access to the free flow of digital goods, data, services, and capital across borders) are enticing countries to further expand their digital footprint and accelerate access to Internet, broadband networks, IT services, software and hardware”.Spidalieri, F.: http://www.ispionline.it/en/pubblicazione/italy-building-cyber-resilient-society-18229

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