Le piattaforme sul web, ed in particolare i social media, offrono ai milioni di giovanissimi l’opportunità di presentarsi al mondo. Attraverso storie e live streaming su Instagram o TikTok, forniscono ad altri utenti informazioni dettagliate sulla loro vita, mostrano sé stessi. Tuttavia, mostrarsi li rende spesso vulnerabili ai malintenzionati, e i gestori di piattaforme non sembrano fare abbastanza.
Non a caso, nel Regno Unito si fa strada l’idea di vietare l’uso di tutti i social – Instagram, TikTok, Facebook, SnapChat, X e anche Threads – a chi ha meno di 16 anni per tutelarli dai pericoli in essi nascosti.
Giovani sui social: pericoli in aumento, contromisure inadeguate
Degli adescamenti e delle molestie nei confronti dei minori sul web, ed in particolare sui social media, si parla molto spesso. Il fatto di parlarne con questa frequenza fa pensare che probabilmente le stesse piattaforme non stiano facendo abbastanza per ostacolare le condotte illecite, che non sembrano diminuire in modo significativo.
Secondo un sondaggio del Pew Research Center – centro studi statunitense che fornisce informazioni su questioni sociali – il 59% degli adolescenti statunitensi ha avuto personalmente esperienze di harassment online.
Nel corso del tempo, le varie piattaforme di rete hanno promesso interventi più o meno risolutori, dalle implementazioni ai meccanismi di controllo dell’età degli utenti fino a vere e proprie versioni dei social media più conosciuti dedicate ai più giovani.
Naturalmente sarebbe scorretto affermare che l’adescamento e le molestie verso i minori sono un fenomeno nato con la rete internet, ma è anche vero che ampliando gli spazi in modo pressoché illimitato con la diffusione del web e degli smartphone quasi ad ogni età, è stato alimentato l’aggravamento del problema in modo massiccio. E gli interventi fin qui realizzati non sembrano sufficienti a tutelare i giovanissimi.
Cosa si intende per harassment e in quali modi può avvenire
Le potenziali minacce per i bambini sui social media includono contenuti inappropriati per l’età, ma anche rischi legati alle cattive intenzioni di singoli soggetti che cercano di approfittare dell’ingenuità dei malcapitati.
Questo porta quindi alla necessità di individuare, in prima battuta, quali sono le varie tipologie di “harassment” nei confronti di minori in rete, termine che benché tradotto spesso con quello più generico di “molestia”, racchiude in sé una serie di varianti, alcune delle quali particolarmente diffuse specialmente quando si tratta di minori.
Cyberstalking e cyberbullismo
Il cyberstalking avviene quando qualcuno utilizza Internet per molestare, minacciare o intimidire sistematicamente e ripetutamente qualcuno. Ci sono molti modi in cui questo può essere fatto. Alcune forme popolari sono tramite e-mail, social media o chat room.
Il cyberstalking è un naturalmente un reato previsto e punito dal Codice penale italiano, ed è altresì un reato federale negli USA, sede delle principali Big Tech, terreno fertile per i cyberstalkers.
Il cyberbullismo, invece, è la condotta di chi molesta con condotte vessatorie un altro soggetto. Tali comportamenti rientrano nel concetto tradizionale di bullismo, e vanno quindi dagli insulti alle minacce. Ciò che cambia e che rende il fenomeno ancora più pericoloso per i minori è l’utilizzo di strumenti informatici, facendo sì che la vittima sia raggiungibile in qualsiasi luogo ed in qualsiasi momento del giorno e della notte.
Furto d’identità
Il furto d’identità avviene quando qualcuno utilizza il nome o le informazioni di qualcuno online senza il suo consenso con l’intento di danneggiare, intimidire, frodare o minacciare la persona.
Questa condotta, penalmente riconducibile al reato di sostituzione di persona, è diventata popolare sotto forma di creazione account di social media falsi. Ciò avviene spesso quando un adulto, al fine di adescare un minore, si finge un coetaneo sottraendo foto e dati di un altro minore. Questa forma di furto d’identità porta ad un’altra forma di harassment online, il catfishing.
Catfishing
Il catfishing, come anticipato, è quando qualcuno su Internet crea un’identità fittizia allo scopo di avviare una relazione sentimentale con un interlocutore. Questa condotta, che può essere riconducibile ad una truffa quando giunge a determinate conseguenze, è diventata sempre più comune nell’era degli appuntamenti online.
Il caso più popolare – il quale ha contribuito a portare alla ribalta il fenomeno – è quello che ha riguardato l’ex stella del football americano Manti Te’o, il quale instaurò una relazione con una presunta donna mai vista di persona, che poi si rivelò non essere mai esistita.
In Italia, invece, vi fu una importante sentenza pronunciata dal Tribunale di Trieste, la n. 681/2021, con la quale fu condannato un padre che utilizzo immagini e nome del figlio per intrattenere una relazione a distanza con una minorenne adescata sui social.
Doxxing
Il doxxing consiste nel pubblicare online le informazioni personali di qualcuno con l’intenzione di farlo molestare da altri. Ciò potrebbe includere qualsiasi cosa, dall’indirizzo al numero di telefono fino alle informazioni sulla famiglia.
Il doxxing accade spesso nel mondo dei giochi online. L’esempio più famoso è infatti il c.d. Gamergate del 2014, quando Zoe Quinn, una sviluppatrice di videogiochi, fu accusata pubblicamente di essere andata a letto con un giornalista per ottenere una recensione. A quel punto, il suo ex fidanzato, il 15 agosto 2014, pubblicò sul suo blog un testo nel quale la ragazza veniva denigrata e insultata, e i dettagli della loro relazione resi pubblici, compresi messaggi, litigi e dettagli della vita sessuale, suscitando un enorme scandalo.
Swatting
Spesso il doxxing può portare ad un altro tipo di molestia, il c.d. swatting. In realtà, si tratta più precisamente di una conseguenza di una condotta precedente, particolarmente diffuso nel mondo del gaming statunitense. Lo swatting avviene quando le informazioni personali di qualcuno, come un indirizzo, vengono acquisite, e viene poi fatta una chiamata alle forze dell’ordine – generalmente per puro divertimento o per una presunta vendetta – denunciando uno scenario pericoloso inventato. La squadra SWAT arriva sul posto dell’obiettivo a causa di questa falsa chiamata, talvolta facendo irruzione in case del tutto innocue. A tal proposito sono molto famosi i video diffusi in rete di gamers perlopiù minori che, durante sessioni live ai videogiochi, vengono sopraffatti da vere squadre SWAT nella propria cameretta.
Le Big Tech alla prova: cosa stanno davvero facendo per tutelare i minori
Negli anni sono stati molti gli annunci da parte dei giganti del web circa l’adozione di misure volte a rafforzare la tutela dei minori in rete.
Verifica dell’età
Sicuramente, lo strumento sul quale è stato maggiormente posto l’accento è la cosiddetta age verification, un argomento che ha guadagnato molta attenzione negli ultimi anni. L’obiettivo principale di queste misure è, nelle intenzioni, quella di proteggere i bambini dai potenziali pericoli del mondo online. La sfida, quindi, sta nel trovare una soluzione in grado di verificare l’età degli utenti senza compromettere la privacy.
Ora, la verifica dell’età non è del tutto nuova, poiché leggi come il Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA) negli Stati Uniti imponevano già regole speciali per le persone di età inferiore ai 13 anni. Lo stesso vale per il GDPR europeo. Tuttavia, queste misure sono spesso facili da aggirare, vanificando gli obiettivi di tutela dei più piccoli.
Peraltro, esistono diverse categorie di sistemi di verifica dell’età. L’opzione più comune prevede l’affidamento a una terza parte fidata in grado di verificare l’identità degli utenti, ad esempio convalidando una carta di credito o un documento d’identità rilasciato da uno Stato. Un altro approccio, già utilizzato da piattaforme come Facebook e Instagram, utilizza la tecnologia di riconoscimento facciale per stimare l’età di un utente. Alcuni metodi sperimentali propongono di dedurre l’età in base all’attività online, analizzando la cronologia di navigazione o impiegando algoritmi di intelligenza artificiale per rilevare indicazioni anagrafiche.
I problemi
Tuttavia, ciascuno di questi metodi presenta difetti significativi. La verifica della carta di credito o i controlli dell’identità emessa dal governo possono escludere alcuni individui che non possiedono queste forme di identificazione, in particolare quelli con redditi inferiori.
Inoltre, i bambini possono accedere facilmente alle carte sparse per casa per verificare falsamente la loro età. I sistemi di riconoscimento facciale, sebbene convenienti, potrebbero non identificare accuratamente l’età di un individuo e possono presentare pregiudizi basati su fattori quali il sesso, il colore della pelle o le differenze facciali. I metodi che analizzano la cronologia di navigazione sollevano preoccupazioni sulla sorveglianza digitale intrusiva e sull’efficacia della stima accurata dell’età.
Di recente, seguendo la scia di YouTube Kids, anche Instagram aveva tentato la strada della creazione di una piattaforma interamente dedicata ai minori di 13 anni, al fine di garantire i benefici del mondo social anche ai più piccoli, ma in un ambiente sicuro. Tuttavia, anche questo esperimento sembra essere fallito. Poco dopo il lancio, infatti, Instagram ha annunciato la sospensione del progetto sostituendolo con l’adozione di strumenti per rafforzare il controllo genitoriale.
In realtà, anche i meccanismi di parental control sono ricchi di incertezze e facili da aggirare, il più delle volte con le stesse modalità con le quali sono aggirabili gli strumenti di age verification.
Lo stesso giudizio vale per un’altra, flebile, iniziativa, ossia l’impostazione degli account dei minori di 16 come profili privati di default.
Prova non superata: gli Stati chiedono il conto ai giganti del web
Come abbiamo visto, le misure a tutela dei minori adottate dai principali protagonisti del mondo virtuale, i social media (ma non solo), si sono rivelate nel tempo inefficaci. I numeri sulle molestie ai minori in rete, infatti, non accennano a diminuire, al contrario. Un altro dato in costante crescita è quello relativo alle sanzioni imposte alle Big Tech dai vari organi competenti.
Le sanzioni
Nel 2022 è stata comminata una sanzione di 405 milioni a Instagram dal Garante Privacy irlandese per illecito trattamento dei dati dei minori. In particolare, veniva contestata alla piattaforma di Zuckerberg la inaccettabile facilità con cui alcuni dati personali venivano esposti negli account business dei minori dai 13 ai 17 anni, spesso utilizzati per aggirare i sistemi di age verification, nonché come tali account aziendali venissero di default impostati come pubblici, e dunque accessibili e visibili a tutta la comunità online, vanificando i flebili tentativi di tutela.
Ancora, la stessa Autorità ha comminato a TikTok una sanzione di 345 milioni appena pochi mesi fa per la violazione del principio di correttezza nel trattamento dei dati personali concernenti utenti minorenni. Gli utenti più giovani, infatti, avevano visto i loro account essere impostati di default come pubblici, senza che ci fosse una adeguata valutazione dei rischi che questo comporta e senza un monitoraggio del controllo dei genitori sui loro profili, evidenziando come le misure formalmente adottate siano in realtà più una facciata che un vero e proprio meccanismo di protezione effettivamente funzionante.
Non solo social: i pericoli si annidano anche nel gaming
Sarebbe però riduttivo limitare l’analisi delle carenze nella tutela dei minori in rete ai soli social network. Infatti, ha già fatto scuola la sanzione inflitta dalla Federal Trade Commission americana (FTC) ad EpicGames, casa produttrice del famosissimo videogioco Fortnite, uno dei principali fautori del gaming online.
Secondo l’Authority, EpicGames avrebbe raccolto e conservato i dati dei videogiocatori minorenni senza il consenso dei genitori, e li avrebbe altresì indotti a fare acquisti in rete senza verificare, anche in questo caso, se vi fosse l’intervento di un genitore.
Le nuove proposte legislative per la tutela dei minori online
Ebbene, vediamo come il tema della tutela dei minori in rete continui ad essere estremamente delicato. Le piattaforme continuano a proporre sistemi di protezione che col tempo si rivelano inefficaci, più funzionali ad accrescere la fiducia degli utenti che a fornire una vera e propria tutela. I minori continuano a vedere contenuti inappropriati, continuano a subire molestie e tentativi di adescamento poiché gli accessi dei più piccoli non vengono contrastati o limitati, o perché i loro account continuano ad essere visibili – e contattabili – da malintenzionati di ogni età.
In un tale contesto, la sfiducia dei poteri pubblici aumenta, e si manifesta non solo con le sanzioni.
Di recente è stata presentata una nuova proposta negli USA, il Protecting Kids on Social Media Act, un disegno di legge bipartisan introdotto il 26 aprile 2023 dai senatori statunitensi Brian Schatz, Tom Cotton, Chris Murphy e Katie Britt. Il disegno di legge fisserebbe l’età minima richiesta per utilizzare le app di social media a 13 anni, richiederebbe ai minori di 18 anni di ottenere il consenso dei genitori prima di utilizzare una piattaforma e vieterebbe l’uso di algoritmi sugli utenti di età inferiore a 18 anni. Questo progetto mira ad imporre ai di social media di stabilire misure di sicurezza come requisiti di età e consenso dei genitori per controllare chi utilizza le loro piattaforme. Stabilisce inoltre un programma pilota per verificare l’identificazione degli utenti ed elenca le sanzioni per la non conformità di una società di social media.
Naturalmente tali principi mettono tutti d’accordo, tuttavia già esistono norme di legge che impongono un’età minima per l’accesso ai servizi della rete e l’adozione di misure adeguate a garantirne l’applicazione.
Conclusioni
Ma fintanto che non sarà generalizzato un percorso globale di educazione digitale, e fintanto che non si avrà la piena collaborazione – reale e non di facciata – da parte delle Big Tech su questo tema, le norme rischiano di rimanere inapplicate, e la tutela continuerà ad essere puramente successiva e limitata a sanzioni che, apparentemente, non destano particolari preoccupazioni nei giganti della rete.