Per effetto della trasformazione digitale, il mondo digitale interferisce ormai strutturalmente con il mondo fisico tradizionale e determina fatti concreti: si possono rubare soldi e segreti industriali, può manipolare l’opinione pubblica per influenzarne i comportamenti, si possono comprare beni o servizi in modo trasparente ma anche del tutto opaco. Anche per accelerare la costruzione della bomba atomica.
Se il fenomeno fosse limitato alla criminalità organizzata, costituirebbe solo una variante molto grave in uno schema noto di rapporti fra le Istituzioni e le mafie, fra la Giustizia e il crimine.
Il rapporto fra la rete e gli Stati sovrani, emerso da un rapporto sulla Corea del Nord ma anche nella vicenda delle elezioni negli Usa del 2016 e nelle polemiche sul 5G cinese, apre però scenari molto più preoccupanti che riguardano la neutralità politica della rete e dunque, in ultima istanza, la sostenibilità dell’attuale mondo digitale.
Tutte le attività online illecite della Corea del nord
Un rapporto pubblicato da Reported future – un’agenzia di Cambridge, Massachusetts conosciuta per i suoi studi su come gli Stati sfruttano il digitale – rivela come la Corea del nord abbia messo a punto diverse modalità di utilizzo di internet e delle criptovalute per finalità illecite.
Tra queste finalità ci sono l’esecuzione di frodi ai danni del sistema finanziario internazionale, l’accesso illecito a informazioni segrete utili sia per il programma missilistico sia per quello nucleare, l’uso di criptovalute per aggirare le sanzioni a cui il regime di Pyongyang è attualmente sottoposto.
Reported Future basa le sue affermazioni sul monitoraggio sistematico, condotto negli ultimi tre anni, sull’accesso a internet da parte di utenti e aziende nord-coreane e sulle significative variazioni nell’uso di internet che si sono consolidate negli ultimi anni.
In Corea del Nord, Internet è comunque riservato a una elite ristretta, ma il suo utilizzo è triplicato negli ultimi anni, passando, verosimilmente, da un uso personale finalizzato all’intrattenimento e, dunque, confinato in orari non lavorativi, cioè di sera e nei weekend, ad un uso professionale concentrato in giorni e orari lavorativi.
L’incremento è divenuto possibile anche grazie alla disponibilità, accanto al tradizionale canale cinese, di una nuova connessione fornita dalla società di telecomunicazioni russa TransTelekom che nel 2019 ha veicolato il 46% del traffico generato dalla Corea del Nord.
Il rapporto, dal significativo titolo “How North Korea Revolutionized the Internet as a Tool for Rogue Regimes”, conclude che l’iniziativa nordcoreana è stata presa ad esempio da altri Stati oggetto di sanzioni o di limitazioni, come Siria e Iran, per aggirare i controlli internazionali.
L’embargo dunque non solo avrebbe accelerato la propensione della Corea del Nord a sviluppare strumenti alternativi per ridurne gli impatti ma avrebbe creato nuovi modelli di comportamento per tutti gli Stati sottoposti a sanzioni.
Da questo prende spunto il NYT per ironizzare sulle affermazioni roboanti del Presidente Trump che, nel caso della Corea del Nord, promettevano “fire and fury like the world has never seen”.
Gli Stati “canaglia” sulla scia di Pyongyang
E’ però difficile sostenere che la Corea del Nord sia l’unico Stato che abbia deciso di operare in aree grigie del cyberspazio, con iniziative borderline o del tutto illegali, oppure l’unico soggetto a utilizzare criptovalute per transazioni segrete e/o illegali. Certamente, Reported future ha potuto effettuare il monitoraggio del traffico in entrata e in uscita perché si trattava di un Paese sostanzialmente isolato e con un uso di internet assai ridotto, il monitoraggio. In un Paese più evoluto e connesso un’operazione simile sarebbe stata assai più problematica se non impossibile. Questo però non significa che quei comportamenti avvengano solo lì.
Invece, i tanti numeri del rapporto servono a documentare un fatto su cui è necessario riflettere: si può imporre l’embargo sulle attività tradizionali con una qualche efficacia ma è impossibile mettere l’embargo su quegli strumenti digitali che sono disponibili, o possono essere sviluppati, per aggirarlo almeno in parte.
E’, infatti, certamente, improbabile che ciò che ha svelato Reported future non fosse noto ai servizi di intelligence, americani e non solo, eppure, le violazioni sono avvenute lo stesso.
Dunque, le sanzioni e l’embargo a cosa servono?
Il mondo fisico è tuttora meno liquido di quello digitale, quindi, un effetto lo hanno, specialmente sulla popolazione e sulla disponibilità di beni di prima necessità.
Nel mondo digitale, invece, sulla base dei dati pubblicati, pare che abbiano avuto addirittura un effetto accelerante sulla propensione al digitale del regime di Piongyang lungo una direttrice criminale, o almeno illecita, che, stando agli estensori del report, sta diventando un caso di scuola per tutti gli Stati “canaglia”, Siria e Iran compresi.
L’uso della forza nel mondo fisico – l’embargo – ha, dunque, generato una reazione nel mondo digitale volta a mitigarne gli effetti, perché non si tratta più di due mondi separati che rispondono a regole diverse ma di un unico contesto che reagisce complessivamente alle sollecitazioni a cui è sottoposto.
Internet è nato con una vocazione, non dichiarata ma implicita, al superamento dell’idea di confini e dei poteri Statali che li difendono e si è sviluppato e affermato parallelamente all’idea clintoniana della globalizzazione, del villaggio globale organizzato su tecnologia e cultura unificanti made in Usa.
Il presupposto era – ed è – che l’accesso a questa risorsa sarebbe stato sempre libero e facile per tutti.
Finché si è trattato di distribuire film e musica o vendere vestiti on line, nessuno ha visto controindicazioni ma, nel momento in cui il mondo digitale si fonde con quello fisico in un unico in cui le due parti sono sostanzialmente indistinguibili e nella partita entrano la libertà delle elezioni, il controllo della tecnologia di rete e dell’IoT, gli ordigni nucleari e i missili intercontinentali, i problemi iniziano a vedersi.
Subito dopo l’uccisione del generale iraniano Soleimani, il Corriere della Sera ha pubblicato un’intervista ad Anis Nakash, terrorista noto fin dagli anni ’70, amico del generale ucciso. E’ interessante citarne un passo, certamente marginale nel contesto di quei giorni ma non banale. Nel chiudere l’intervista Nakash affronta il tema del dominio occidentale sulla tecnologia digitale e afferma: “Cina e Russia vogliono creare un equilibrio internazionale con sistemi di pagamento e un mercato alternativo a quello occidentale. Ha cominciato Mosca con una carta chiamata Mir accettata anche in Turchia e presto in Iran. Gli Usa non sono gli unici padroni della modernità”
La premessa implicita dell’unicità di internet era che nessuno lo dominasse davvero. Oggi, però, quando la tecnologia digitale consente di interferire con la realtà fisica e con le dinamiche che la governano, appare evidente che invece qualcuno lo governa. Anzi appare evidente che la capacità di governare la rete è la battaglia delle battaglie o come si diceva in un’epoca che sembra lontanissima la madre di tutte le battaglie. E che molti ambiscono a combatterla e a vincerla.
Trump impone a Google di non vendere Android a Huawei? Questo non frena lo sviluppo della società cinese ma evidenzia una vulnerabilità della sua strategia di sviluppo in quanto dipende da tecnologie che non controlla e che rispondono a un potere straniero e non a logiche commerciali. Così, dopo Wechat e Alibaba, nasce un “Android” cinese e l’unitarietà della rete si incrina ulteriormente.
Conclusioni
La frammentazione di internet è una eventualità che non si può più escludere e non se lo nasconde il World Economic Forum che nel Global Risk Report 2020 scrive: “Geopolitical and geo-economic uncertainty— including the possibility of fragmented cyberspace—also threaten to prevent the full potential of next generation technologies from being realized. Respondents to our survey rated “information infrastructure breakdown” as the sixth most impactful risk in the years until 2030.”.
Cosa c’entra tutto ciò con la vicenda nordcoreana? Quando uno Stato adotta condotte criminali come una parte della propria legalità, questo di per sé spezza l’unità della rete. Che lo faccia un piccolo Stato, seppur con grandi e pericolose velleità, rende il fatto in sé meno preoccupante ma è la spia di una tendenza che solo una ingenuità ingiustificabile e poco verosimile può consentire di sottostimare, considerato che incide sulla sostenibilità del nuovo modello di business basato sul digitale verso cui l’economia mondiale si è ormai orientata.