L’attuale discussione, in Italia e in Europa, attorno a passaporti vaccinali o Green Pass rappresenta un importante punto di svolta per tornare a interrogarsi sui delicati equilibri, in primis di rango costituzionale, che la pandemia da Covid-19 sta mettendo a dura prova.
Una pandemia di cui un anno fa, esattamente in queste settimane, abbiamo iniziato a conoscere la forza bruta e che ancora oggi ci assedia e ci mortifica. In quegli stessi giorni sono state adottate anche le prime misure restrittive, limitazioni e regole che in buona parte siamo chiamati ancora oggi a rispettare e che in alcuni casi sono ormai divenute delle odiose (ma tuttora necessarie) abitudini.
Proprio in quel periodo, con un articolo scritto per questa testata, rispondevo all’invito del direttore Alessandro Longo provando a prendere posizione sulle delicate sfide giuridiche ed etiche che si prospettavano all’orizzonte. Il quadro che dipinsi era proprio quello di un vero e proprio stress test della nostra Costituzione. Una prova di resistenza manifestatasi (anche) nella dialettica tra diritto alla salute e diritto alla protezione dei dati personali emersa nel dibattito sull’impiego di app per il tracciamento dei contagi.
Covid-19, la Costituzione al primo vero “stress test”: rischi pratici ed etici
“Digital Green Pass” e “pass vaccinali”
Venendo al tema dei pass e dei passaporti vaccinali, a livello europeo, Ursula von der Leyen ha dato notizia dell’imminente presentazione di una proposta legislativa per un “Digital Green Pass” che dovrebbe consentire di provare di essere stati vaccinati, potendo altresì fornire sia il risultato dei test per quanti non abbiano ancora potuto ricevere un vaccino, sia le informazioni sulla guarigione dal virus. All’annuncio della Presidente della Commissione UE – la quale ha altresì precisato che verranno rispettate la protezione dei dati, la sicurezza e la privacy, e ci si augura che non sia solo un auspicio – è seguita anche la presa di posizione del commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni. Sono segnali importanti che testimoniano attenzione ai diritti delle persone anche in momenti difficili della nostra esistenza: esattamente ciò che la politica dovrebbe fare sempre in contesti ad alto quoziente “costituzionale” come è l’Unione Europea.
Quanto all’Italia, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali – con apprezzabile tempismo – è intervenuta sul tema dei “pass vaccinali” con un comunicato stampa dalla valenza quanto mai fondamentale. La parole del Garante (il quale sostiene che “[…] il trattamento dei dati relativi allo stato vaccinale dei cittadini a fini di accesso a determinati locali o di fruizione di determinati servizi, debba essere oggetto di una norma di legge nazionale, conforme ai principi in materia di protezione dei dati personali (in particolare, quelli di proporzionalità, limitazione delle finalità e di minimizzazione dei dati), in modo da realizzare un equo bilanciamento tra l’interesse pubblico che si intende perseguire e l’interesse individuale alla riservatezza”) fanno pendant con le parole della Vice Presidente dell’Autorità, la costituzionalista Ginevra Cerrina Feroni, che ha sottolineato la profonda rilevanza costituzionale del dibattito sui pass vaccinali, chiedendo a voce alta che l’UE legiferi sul punto con lo strumento più potente a sua disposizione, quello del regolamento.
La natura divisiva del dibattito sui passaporti vaccinali
La partita su passaporti e pass vaccinali – è evidente – si caratterizza per un’innata portata divisiva. Sono infatti coinvolti principi e istanze di varia natura, che spesso possono presentarsi in più o meno apparente contraddizione. Alla luce dei più recenti sviluppi nel dibattito politico, la direzione che verrà intrapresa sembra comunque già scritta.
Occorre tuttavia puntualizzare che non è la prima volta in cui, nella storia repubblicana, si parla di patenti vaccinali (basti pensare ai certificati vaccinali per le scuole). A essere del tutto inedito è, invece, il contesto in cui si andrà a adottare una simile soluzione.
E allora presto potremmo trovarci in tasca (o, più presumibilmente, sul nostro smartphone) un documento che sarà una sorta di chiave per accedere di nuovo a tutti quei diritti e libertà che la Costituzione ci garantisce e che, a causa della pandemia, hanno dovuto sopportare più meno marcate compressioni a favore del preminente – di questi tempi – diritto alla salute di ciascuno e di tutti.
Spostarsi liberamente sul territorio dello Stato (ed eventualmente entro i confini dell’Unione Europea), frequentare senza vincoli i luoghi di lavoro, di istruzione e di culto, riunirsi in pubblico, riabbracciare pienamente la libera iniziativa economica sono solo alcune delle porte ad insegna costituzionale che si apriranno ai possessori della chiave vaccinale. Per quanti, invece, non avranno (o non avranno ancora) accesso al vaccino, quelle medesime porte potrebbero restare serrate, con i relativi diritti e libertà che finirebbero col non poter essere nuovamente, pienamente e liberamente esercitati. In altre parole, quella che per alcuni sarebbe una chiave che apre, per altri rischierebbe di diventare una chiave che chiude.
Passaporto vaccinale, vale il principio di non discriminazione
Siamo dunque al cuore del diritto, e nel punto in cui si trova anche il confine con l’etica. A venire in gioco è il principio fondamentale di non discriminazione, scolpito dai Padri Costituenti e di cui lo Stato è chiamato a farsi proattivo garante (riecheggia qui il dettato del secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione, un dogma che vale sempre la pena riportare: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”).
È evidente allora l’ennesimo (e in un certo senso perdurante da quando la pandemia è iniziata) stress test a cui è sottoposta la nostra Carta Costituzionale. Il meccanismo, delicatissimo, di compressione ed espansione di diritti e libertà deve dunque proseguire sulla linea della rigorosa aderenza alle regole costituzionali, evitando di smarrirsi tra pericolose scorciatoie giuridiche.
In tal senso, sarebbe pertanto auspicabile che l’eventuale introduzione nel nostro ordinamento di pass e passaporti vaccinali passasse attraverso il confronto in Parlamento, da concretizzarsi poi in una legge condivisa, accuratamente pesata ed equilibrata. Vista la particolare situazione e dato lo stato attuale della campagna vaccinale, personalmente non intravedo motivi che potrebbero imporre di bypassare il dibattito parlamentare con un decreto-legge o un nuovo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
A queste condizioni, e solo a queste condizioni, ritengo che l’utilità di simili patenti vaccinali possa essere adeguatamente considerata e valorizzata.
Conclusioni
Il rispetto delle garanzie e dei meccanismi costituzionali deve dunque essere il primo e unico faro da seguire nel bilanciamento tra i diritti fondamentali. Una via maestra da non abbandonare mai, neanche per seguire le luci – alle volte abbaglianti – dell’innovazione. Non a caso, anche per pass e passaporti vaccinali, c’è già chi parla di applicazioni ad hoc, sperando che non si abbia però in mente l’ennesima inutile Immuni.
Le capacità di semplificazione e automazione proprie della tecnologia sono infatti delle risorse imprescindibili per la vita moderna. Occorre tuttavia non cedere alla tentazione di abusarne. Ciò vale a maggior ragione in un momento di emergenza come quello che stiamo attraversando, ove i problemi da affrontare sono complessi, e per questo sempre più spesso si ritiene opportuno affidarsi alle soluzioni che la tecnologia è in grado di offrire. L’innovazione, sia chiaro, non deve essere assolutamente né mai demonizzata. Tuttavia, ogni suo uso deve passare attraverso un accurato test di compatibilità etica e costituzionale.