Siamo entrati in una fase di “critical transition”: le reti di interdipendenze tra attori individuali e collettivi, i processi economico-produttivi interconnessi e la pervasività di dispositivi smart compongono un mondo fisico-digitale in cui meccanismi di feedback positivi e negativi amplificano gli impulsi. La tecnologia è in grado di scongiurare la crisi sistemica globale? Analizziamo la situazione con un focus sul sistema complesso adattativo social-ecologico.
La crisi sistemica globale: previsioni
Per comprendere la dinamica odierna occorrono nuovi strumenti concettuali e criteri operativi non usuali. A tale fine, dopo aver delineato i processi critici che mettono in discussione la sostenibilità delle attività umane per il Pianeta Terra, in questo articolo viene argomentata la tesi di una possibile crisi sistemica globale, per la cui analisi occorrono nuovi strumenti concettuali e operativi, come quello di sistema complesso adattativo, arricchito dal concetto di sistema complesso adattativo social-ecologico. Dopo aver mostrato come la digitalizzazione di processi e prodotti dalla nano-scala alla scala ordinaria e globale sia assimilabile al paradosso della carta geografica di Borges, viene analizzata la questione se la dinamica tecnologica possa costituire la panacea per governare la transizione critica di un sistema complesso. Nel paragrafo conclusivo sono introdotti spunti di riflessione sull’evoluzione del capitalismo.
Sostenibilità, uno storico tipping point
Il secondo decennio del XXI secolo lascia in eredità al successivo un carico multi-dimensionale molto pesante. L’evento pandemico, che ha investito i Paesi di tutto il mondo, sembra sull’incipit di una seconda fase in molte aree già colpite dalla prima, mentre in altre (USA, Inghilterra) pare acquisire sempre più vigore senza soluzione di continuità. Uno degli effetti più dirompenti della pandemia è stato per molte realtà un grande stress sulle strutture sanitarie, impreparate ad affrontare eventualità di questa natura sia per ritardi culturali strategici, sia per macroscopici errori di visione nel comprendere traiettorie evolutive dei sistemi sociali, sia per una disconnessione profonda tra strutture sistemiche e dinamiche dei contesti socio-economici ed ambientali.
L’evoluzione demografica dei Paesi di più antica industrializzazione (Fig. 1) e le migrazioni di popoli causate in tutti i continenti dal desiderio di sfuggire a fame, guerre, cambiamenti climatici, stanno modificando profondamente gli equilibri demografici, etnici e politico-culturali, con effetti imprevedibili nel breve e nel lungo periodo.
Fig. 1
Fonte: UN 2017 World Population Ageing
Fig. 2
Fonte: UN, 2017, World Population Ageing
I fattori alla base della crisi
Le disuguaglianze socio-economiche, aumentate ovunque nel mondo, hanno innescato e rafforzato i processi indicati, alimentandosi reciprocamente con feedback iterati: povertà e vulnerabilità economico-sociale, conflitti, depauperazione di risorse naturali con la deforestazione e l’abbandono di coltivazioni tradizionali, alterate per seguire la domanda internazionale di particolari output, come è accaduto in Vietnam e Messico. Questi due Paesi hanno in comune con l’Illinois il fatto di essere tra i più grandi produttori mondiali di soia, richiesta da una domanda crescente per alimentazione umana e allevamento di bestiame.
L’evento pandemico si è quindi aggiunto a fenomeni e processi in atto, amplificandone la portata e la profondità, anche a seguito delle misure di lockdown resesi necessarie. In uno scenario globale già caratterizzato da segnali di rallentamento (IMF, Outlook, October 2018), la pandemia ha accentuato i prodromi di una possibile crisi economico-finanziaria: difficoltà nei flussi di pagamenti, volatilità sui mercati finanziari, tassi reali di interesse negativi, rischi crescenti sul mercato del credito (IMF, Global Stability Report, April 2020, Cap. 1,2,3).
Tutto questo avviene mentre il mondo intero deve fronteggiare il rischio di una crisi climatica (McMkinsey Global Institute (MGI), 2020, Climate riskand response. Physical hazards and socioeconomic impacts, January), con il rischio di aver intrapreso un “Hothouse Earth pathway” (W. Steffen et al., 2018, Trajectories of the Earth System in the Anthropocene, PNAS, August 14 ,vol. 115, no. 33, 8252–8259). Pur considerando gli impegni assunti a livello internazionale nel ridurre le emissioni odierne, gli scienziati prevedono che la temperatura media globale aumenterà di 3-4 gradi Celsius rispetto all’era preindustriale. Da questa valutazione deriva l’accordo di Parigi (COP21, 2015) per attuare provvedimenti idonei a limitare l’incremento entro i 2 gradi Celsius.
Ai fini dell’elaborazione delle strategie di contenimento è opportuno tenere presente 7 caratteristiche del rischio climatico (MGI, 2020):
- crescita elevata dello stesso rischio, anche se alcuni Paesi (Canada, Russia) potranno beneficiarne per una maggiore produzione agricola.
- “Specificità locale” delle sue manifestazioni, in quanto esse saranno molto differenziate a livello geografico-territoriale.
- Non stazionarietà, dal momento che i processi geofisici hanno caratteristiche inerziali, per cui – una volta innescato – il ciclo di dispiegamento si sviluppa nell’arco di molti anni, con fenomeni di lock-in (intrappolamento dinamico) non controllabili nel breve periodo.
- Non linearità, perché gli impatti si propagano rapidamente, dopo aver superato una certa soglia di variazione dei parametri di fondo dei processi.
- Natura sistemica. Anche se gli effetti si manifestano a livello locale, l’impatto sarà generalizzato a causa delle interconnessioni tra sistemi economico-produttivi e finanziari. Regioni, popolazioni più povere e intere comunità locali potranno essere colpite in modo significativo e durevole, perché saranno interessate condizioni di vita e di lavoro consolidate da tempi lontani. Si pensi ai programmati spostamenti di capitali dell’Estremo Oriente, oppure alle dinamiche migratorie indotte dalla desertificazione e alle variazioni dei prodotti agricoli in seguito alle perduranti siccità.
- Regressività. Saranno più colpiti i Paesi più poveri, le comunità e gli strati sociali più vulnerabili.
- Impreparazione. La scala degli effetti dei cambiamenti climatici rende problematici la stima e la gestione del rischio, perché coinvolgono prevalentemente molti Paesi e comunità con dinamiche di interessi anche contraddittori.
Clima e dinamiche migratorie
Emergono quindi problemi di coordinamento di una molteplicità di stakeholders, mentre in alcune aree del Pianeta l’aumento di temperatura di 3 gradi Celsius comporta insostenibilità della vita umana, dato il superamento della soglia di sopportabilità corporea. Da ciò possono derivare dinamiche migratorie, cui conseguono enormi implicazioni economico-sociali.
In estrema sintesi, appare fondato ritenere che gli odierni processi biofisici, sociali ed economici siano soggetti ad un forte stress multidimensionale, che richiede un profondo ripensamento dei modelli di vita produzione e consumo.
La traiettoria verso un “Pianeta Serra” è già presente da molti anni negli studi di climatologi, geofisici, ingegneri, economisti non mainstream, mentre dagli inizi degli anni 2000 centri di ricerca internazionali hanno indicato come il nostro Pianeta sia prossimo ad un tipping point dal punto di vista climatico (T.M. Lenton et al, 2008, Tipping elements in the Earth’s climate system, PNAS February 12, vol. 1053). Durante il decennio in atto, nelle analisi e nelle teorie sull’evoluzione dei processi biofisici, a seguito della natura e della morfologia assunta dalle attività economico-produttive umane, sono divenuti temi centrali appunto i concetti di tipping point e critical transition.
Tutto connesso, anche la crisi
La simultanea presenza di più processi critici mette in discussione i presupposti delle tradizionali visioni del mondo e delle impostazioni scientifiche e strategiche. Occorre infatti cambiare regole basilari di funzionamento dei sistemi produttivi e dei modelli di relazioni socio-tecniche: dalle tipologie costruttive delle abitazioni e degli insediamenti urbani alle modalità di consumo e alle forme di impiego del tempo libero.
Un aspetto merita di essere enfatizzato: non si tratta di crisi di sistemi localizzati, di collassi di civiltà per così dire “regionali” (J. Tainter, 1988, The Collapse of Complex Societies, Cambridge University Press). Siamo invece di fronte ad eventi che investono il sistema planetario in tutte le sue articolazioni: climatiche, economiche, sociali, politico-istituzionali, “capitale naturale” di risorse riproducibile solo in un arco temporale molto lungo.
Un approccio multi-stakeholder
Proprio partendo da questa situazione, tutti gli attori odierni, individuali e collettivi, devono modificare regole di comportamento sulla base di visioni strategiche alternative a quelle odierne e ispirate da principi generali e operativi molto differenti. È infatti impensabile che si possa arrivare a risolvere questi problemi in modo isolato (a livello individuale, nazionale); è per contro essenziale cambiare modelli mentali a livello micro, meso e macro, basandosi sul principio della cooperazione, che travalica la sovranità nazionale: “Ecological interdependence poses an insurmountable obstacle to sovereignity, because the threats are transnational” (Joseph S. Nye, 2020, After the Liberal International Order, Project Syndicate, July 6).
Un altro principio operativo rilevante è che ci deve essere un allineamento comportamentale, inteso ovviamente non come omogeneità di azioni, bensì di coerenza individuale e collettiva rispetto a nuovi orientamenti ispirati alle questioni globali poste dalla compresenza di molteplici processi critici, tra i quali si sviluppano feedback loop. Siamo infatti in presenza di strutture interattive globali, che continuamente creano e trasformano flussi multidirezionali di materiali e informazioni. La transizione critica che stiamo attraversando è naturalmente associata ad entropia informativa, in quanto esiste una molteplicità di possibili traiettorie evolutive. Com’è allora possibile superare il caos e il disordine, che alimentano incertezza e imprevedibilità?
Sopravvivere alla transizione critica
Il punto da cui partire è la consapevolezza di 3 proprietà distintive dei sistemi umani (C.S. Holling, 2001, Understanding the Complexity of Economic, Ecological, and Social Systems, Ecosystems): la prima è la lungimiranza (foresight), ovvero l’attitudine a proiettare nel tempo, di cui peraltro i fisici mettono in dubbio l’esistenza, le proprie azioni sulla base di aspirazioni e desiderie intenzionalità, che possono favorire la previsione e l’attitudine a prevenire a reagire in modo adattativo a eventi critici incerti e imprevedibili. La seconda è l’intenzionalità, che significa capacità di agire su basi goal-directed in orizzonti temporali variabili. Lungimiranza e intenzionalità possono favorire la previsione e l’attitudine a prevenire, reagendo in modo adattativo a eventi critici incerti e imprevedibili. La terza è la comunicazione, ovvero la capacità di accumulare esperienze, produrre e verificare ipotesi, rivedere i propri modelli mentali in base all’arrivo di nuove informazioni, come tante volte è avvenuto nella storia dell’umanità.
Uno dei fondamentali meccanismi cognitivi della mente umana è l’individuazione di pattern (configurazioni) associando la propria dotazione cognitiva, che è anche sociale e indiretta, agli input che derivano dall’ambiente con cui si interagisce (Y. Pi et al., 2008, Theory of Cognitive Pattern Recognition, in: Peng-Yeng Yin, Pattern Recognition Techniques, Technology and Applications, I-Tech, Vienna). Essa si è evoluta mediante la ricerca di regolarità sul piano informativo multimodale (visione, udito, olfatto, emozioni, argomentazione razionale).
A questo fine la mente ha creato incessantemente dispositivi ordinatori, che mettessero in condizioni di estrarre informazioni utili alla sopravvivenza. Il foresight e l’intenzionalità sono stati essenziali per superare i tipping point del passato, e lo saranno ancor più in futuro. I dispositivi di ordinamento di processi dall’esito imprevedibile, alimentati da strutture dinamiche complesse come quelle odierne, sono individuabili sulla base delle grandi questioni ora aperte, da cui trarre priorità per orientare l’evoluzione dei sistemi mediante appropriate scelte degli operatori individuali e collettivi.
Le priorità generali che dovrebbero contribuire a definire le direttrici di azione nei sistemi multi-livello sono, alla luce dell’analisi svolta all’inizio, le seguenti:
- affrontare il rischio climatico, sanitario ed economico partendo dalle strette interdipendenze tra sfere di azione a livello globale. Sono sempre più chiari, infatti, i feedback loop tra emissioni inquinanti, riscaldamento terrestre, deterioramento delle condizioni sanitarie collettive, con il rischio elevato di sequenze pandemiche ad intervalli più brevi. Diviene allora fondamentale agire sui feedback loop, una volta individuati, con strategie cooperative a livello internazionale, dato che si tratta di fenomeni globali, per cui non esistono soluzioni “locali”, ma solo soluzioni concertate a scala planetaria, com’è avvenuto per l’accordo di Montreal (1989, poi arricchito in numerosi incontri internazionali nei due decenni successivi) sul contenimento delle emissioni di gas che riducono l’ozono. Osservazioni della NASA a fine 2019 hanno stimato una riduzione del 35% circa del “buco dell’ozono”.
- Ridurre l’incertezza e l’imprevedibilità mediante azioni continue di monitoraggio e foresight, onde captare prontamente segnali e informazioni idonee per far evolvere le strategie degli attori. Ridurre l’incertezza implica anche escogitare misure e strumenti per l’aggiornamento delle competenze di persone sostituite da robot e dall’Intelligenza Artificiale, insieme a molteplici ed efficaci forme di sostegno per la transizione tra posizioni lavorative. Occorre quindi pensare i fondamenti di un nuovo contratto sociale, sostitutivo di quello post-bellico, reso obsoleto dalla dinamica tecno-economica e dalle strategie neo-liberiste, che hanno peraltro creato le condizioni per la creazione di mercati oligopolistici di nuovo tipo (Petit N., 2016 Technology Giants, The “Moligopoly” Hypothesis and Holistic Competition: A Primer, WP, LCII, Liege Competition and Innovation Institute).
Salvaguardia dei Global Commons
In particolare diviene fondamentale comprendere che nei sistemi complessi i feedback, positivi o negativi, possono innescare processi bottom-up. Di qui deriva l’importanza di tenere sotto controllo meccanismi destabilizzanti che, in forza delle interdipendenze globali, possono portare alla luce la necessità di affrontare il problema di quelli che Levin chiama global commons, cioè beni comuni globali (S. Levin, 2007, intervento in National Research Council NRC, 2007, New Directions for Understanding Systemic Risk: A Report on a Conference Cosponsored by the Federal Reserve Bank of New York and the National Academy of Sciences. Washington, DC, 33-34.).
I beni comuni globali richiedono azioni collettive per la loro tutela rispetto a fattori deleteri, quali inquinamento, distruzione di eco-sistemi, perdita di diversità delle specie naturali, distruzione del cosiddetto “capitale naturale” (S. Levin, 1999, Fragile Dominion. Complexity and the Commons, Perseus Publishing, cap. 9). Il fatto è che l’orizzonte temporale dei processi decisionali individuali è molto più breve (pochi anni) di quello (decenni) del verificarsi degli eventi critici tali da determinare un potenziale collasso sistemico.
Di conseguenza i decisori umani attribuiscono maggior valore al futuro più vicino rispetto a quello più lontano nel tempo, mentre sono portati a non pensare in modo sistemico e con un orizzonte temporale troppo lungo, salvo poi trovarsi impreparati di fronte alla crisi come quella odierna, quelle del 2007 e del 2001, e così via nei due secoli passati. Ecco allora che bisogna riflettere sugli avvenimenti odierni e trarne alcuni insegnamenti.
Imperativi teorici e criteri applicativi
Sulla base delle considerazioni sviluppate finora si impone un primo imperativo da seguire: adottare una visione sistemica e diffondere a molti livelli una corrispondente cultura. Ciò significa introdurre nei processi formativi, sia in ambito scolastico che nel contesto del management pubblico e privato, input tecnico-scientifici e concetti innovativi quali: teoria dei sistemi complessi, interdipendenze e feedback loop, approccio multi-livello, sistema complesso adattativo (vedi oltre). Questi concetti sono rilevanti sul piano teorico ed applicato, come dimostra l’ampio numero di discipline che li impiegano (fisica, chimica, biologia, ecologia, filosofia, computer science).
La complessità degli scenari e dei sistemi che interagiscono al loro interno fanno emergere un secondo imperativo: data la natura globale dei problemi, la loro risoluzione non è possibile senza la collaborazione internazionale, quindi senza un nuovo multilateralismo (C. Lagarde, 2014, A New Multilateralism for the 21st Century, The Richard Dimbleby Lectur, London), anche se è necessario non nascondersi le difficoltà nel realizzare scenari di questo tipo in un contesto di radicali mutamenti geopolitici, denso di confitti locali con elevate possibilità di un loro ampliamento.
A fronte della elevata problematicità evidenziata, vi è però un enorme potenziale tecnico-scientifico a diposizione dell’umanità per l’accumulazione di conoscenze sistemiche e per interventi strategici di lungo periodo. Uno dei tanti segnali positivi viene proprio da uno dei continenti con maggiori problemi, l’Africa, dove il Progetto Great Green Wall, grande muraglia verde di alberi da costa a costa all’altezza del Sahel, avviato nel 2007 è oggi realizzato al 15%, grazie ad accordi tra tutti gli Stati interessati.
Resilienza e robustezza pilastri della svolta
I problemi emergenti in tutto il mondo impongono inoltre di rendere i sistemi capaci di resistere a shock temporanei e shock strutturali mediante l’acquisizione di resilienza e robustezza. Esistono in letteratura varie definizioni di resilienza. In questa sede facciamo propria quella di Folke et al (2004): “The capacity of a system to absorb disturbance and reorganize while undergoing change so as to retain essentially the same function, structure, identity, and feedbacks“ (Folke et al., 2004, Regime Shifts, Resilience, and Biodiversity in Ecosystem Management, Annu. Rev. Ecol. Evol. Syst., 35:557–81).
La robustezza indica invece la flessibilità decisionale e strutturale idonea a far assorbire nel lungo periodo mutamenti indotti da ambienti che fluttuano (NRC, 2007, cit., p.34). Gli studi in materia mostrano due proprietà che favoriscono entrambe: ridondanza e modularità. La prima (“the property of one component to perform another’s function”, NRC, 2007, p. 49) può evitare effetti catastrofici conseguenti alla perdita di componenti specifiche, tali da generare effetti a cascata in caso di interdipendenze sistemiche.
La seconda significa “compartimentazione, ovvero la scomposizione di un sistema in unità discrete, in sotto-insiemi di entità con interazioni ad alta frequenza tra loro e a bassa frequenza tra sotto-insiemi (H.A. Simon, 1962, The Architecture of Complexity, Proceedings of the American Philosophical Society, Vol. 106, No. 6, 467-482). La modularità conferisce robustezza, perché riduce la possibilità di diffusione degli impulsi negativi, analogamente al “distanziamento sociale” di cui stiamo facendo esperienza.
Traballa il “command and control”
A fronte di questi principi strategici vi sono criteri operativi non meno importanti a cui attenersi in uno scenario caratterizzato da incertezza e imprevedibilità. Innanzitutto è emersa in tutta evidenza la fragilità del sistema cosiddetto “command and control”, ovvero perseguimento della massima efficienza secondo schemi mentali e organizzativi pianificati in condizioni di stabilità e conoscenza completa dell’ambiente operativo. La sovra-capacità e la ridondanza, ritenute inefficienti, sono diventate invece essenziali per garantire condizioni di operabilità quando sorgono shock più o meno improvvisi, insieme a problemi di sicurezza e blocchi dei flussi di approvvigionamento, ad es. nelle sequenze produttive globali, come sta accadendo ora (B. Schneier, We Need to Embrace Inefficiency to Save Our Economy, Belfer Center, Harvard Kennedy School, June 20).
Connesso al precedente è un secondo criterio: l’orizzonte temporale di ogni operatore non deve essere incentrato solo su prospettive a breve termine, bensì orientato al lungo termine e con focus sulle interdipendenze, sui cicli di feedback multi-dimensionali all’interno di sistemi complessi sociali-ecologici. In un mondo iperconnesso, infatti, la complessità delle interrelazioni rende i contesti altamente variabili e meno prevedibili negli esiti, quindi i processi di apprendimento diventano cruciali e l’applicazione di meccanica di modelli di management basati su set delimitati di scelte da massimizzare perdono valore, perché bisogna tenere conto della variabilità dei parametri utili per le decisioni. Ecco quindi che l’adaptive strategic thinking (M. Lombardi, 2020, Un frame strategico per le politiche dell’innovazione, Creative Commons, Giugno, Cap. 3) e l’adattatività divengono fondamentali in quanto basati su un’incessante attività di ricerca in tre direzioni:
- esplorazione delle potenzialità tecnico-scientifiche.
- Analisi delle interrelazioni sistemiche e dei molteplici rischi.
- Trasformazione dei modelli operativi a seconda delle traiettorie individuate.
Tutto questo logicamente comporta l’impiego non di una dotazione fissa di strumenti, ma il contrario, la ricerca continua di nuovi, tenendo presente che i processi economici sono interconnessi con l’ambiente sociale e naturale.
Passaggio al Biological Thinking
Nell’orizzonte appena descritto appare suggestiva l’indicazione del passaggio dal “mechanical management”, basato sulla ricerca di soluzioni permanenti e definitive di problemi complessi, al “biological thinking”, incentrato su principi molto differenti: sperimentazione, resilienza invece di efficienza, visione olistica sistemica, pluralità delle scelte, degli strumenti e delle competenze per sviluppare potenzialità adattative (M. Reeves, S. Levin, 2017, Think Biologically. Messy Management for a Complex world, Boston Consulting Group Henderson Institute, July 17).
Proprio l’odierna compresenza di crisi originate da cause differenti ed interconnesse, induce a riflettere su un punto decisivo: può il grande potenziale tecnico-scientifico odierno aiutare l’umanità nell’affrontare i problemi relativi alla sostenibilità sistemica del Pianeta Terra?
La “mappa cibernetica” del mondo
L’iperconnessione globale è dovuta alla pervasività generalizzata di dispositivi di information processing e quindi alla possibilità di elaborare una rappresentazione digitale di processi e prodotti dalla nano-scala alla scala ordinaria e globale. Ciò significa che la sfera fisica del Pianeta è strettamente compenetrata ad una sfera digitale, che può influire e controllare, almeno parzialmente, le dinamiche dei processi interni alla prima.
Balza allora in primo piano la questione del controllo del cyberspace e delle entità più e meno potenti che in esso operano. La simultanea presenza di differenti tipologie di crisi e la questione del cyberspace rafforzano la convinzione che potremmo essere in una forma peculiare di “transizione critica”, com’è accaduto più volte nella storia umana (M. Scheffer et al, 2012, Anticipating Critical Transitions, Science, vol. 338, 19, 344-348). Cerchiamo di motivare ulteriormente questa tesi.
È chiaro che stiamo vivendo una crisi del sistema globale, dato che le reti di interdipendenze a scala planetaria non solo favoriscono rapide dinamiche di propagazione di eventi critici, ma sono anche esse stesse fonte di eventi. Il motivo è presto detto: un mondo iperconnesso costituisce un unico sistema di interdipendenze, composto a sua volta di sotto-sistemi interdipendenti, anch’essi scomponibili in ulteriori sotto-sistemi, analogamente a quanto accade nelle procure ricorsive in linguistica e matematica, ovvero scomponibilità delle reti sulla base di regole tecnico-scientifiche e tecno-economiche, le quali strutturano anche le relazioni tra gli attori.
Il ritorno della mappa di Borges
Per sviluppare questo punto vale la pena riflettere sul paradosso descritto da Jorge Luis Borges attraverso il tentativo infruttuoso di costruire la mappa 1:1 dell’Impero, nonostante la perfezione raggiunta dall’Arte della Cartografia (Borges, 1998, On Exactitude in Science, in Collected Fictions, Penguin Books, p. 100). L’immaginario mondo di Borges viene in mente se si pensa all’odierna compenetrazione tra sfera fisica terrestre e sfera digitale, che a loro volta costituiscono un sotto-insieme fisico-cibernetico dell’intero universo fisico digitale. Siamo sempre più immersi in enormi e crescenti volumi di dati (Fig. 3) e coinvolti nelle operazioni dei Techno-Giants in grado di organizzare ed elaborare quello che è stato definito data-rich world (V. Mayer_Schönberger e, T. Ramge, 2018, Reinventare il Capitalismo nell’era dei Big Data, Egea).
Fig. 3
Prendiamo ad esempio Amazon, ma il discorso vale per GAFA, acronimo per Google, Amazon, Facebook, Apple. Jeff Bezos, presidente amministratore delegato di Amazon ha intuito immediatamente anni or sono che “Business Architecture is a strategic variable not a given”.
Fig. 4
(fonte BCG, 2015)
I dati sono trattati da “strati di software modulari e interoperabili”. L’interazione dinamica tra evoluzione del software (IA) e dell’hardware (crescente potenza computazionale) accelera i processi innovativi, riducendo il ciclo di vita dei prodotti e servizi, praticamente nel tempo sempre più breve di aggiornamento del software, laddove “The asymptote is where sensing, connectivity, and data merge into a single system” (Boston Consulting Group, Henderson Institute, 2015, p. 5).
Il controllo del cyberspazio
I dati divengono l’infrastruttura di questo unito mondo asintotico, in cui le strutture organizzative e inferenziali su volumi imponenti di dati si polarizzano: è il mondo dell’hyperscale informativa e delle hyperstructures. Il problema del controllo del cyberspace sta emergendo in tutta la sua rilevanza, come si evince anche dalle recenti audizione presso il Congresso Usa dei massimi esponenti di Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet e Facebook, (R. Henderson, 2020, Big tech presents a problem for investors as well as Congress, Financial Times, August 1).
Occorre porre l’attenzione su un aspetto peculiare: mappa 1:1 non implica in questo caso perfetta omogeneità tra sfera fisica e quella digitale. Se nella seconda emergono hyperstructures, nella prima il sistema di interconnessioni distribuite genera situazioni variabili tra un numero imprecisato di sotto-insiemi e sotto-sistemi, determinando così una configurazione che nella letteratura scientifica è denominata complex adaptive system, così definito da John H. Holland (1992, Adaptation in Natural and Artifical Systems, The Mit Press, p. IX): “A collective designation for non linear systems defined by the interaction of large numbers of adaptive agents (economies, political systems, ecologies, immune systems, developing embryos, brains, and the like)” Holland, 1992: IX).
“Economies, ecologies, immune systems, developing embryos, and the brain are all examples of complex adaptive systems” (Holland, 1992: 184), che presentano caratteristiche comuni:
- sono composte da un gran numero di componenti, che possono interagire simultaneamente a più livelli, nell’ambito di processi multi-scala.
- L’impatto nelle vicende umane si sviluppa a livello aggregato, sistemico.
- Le interazioni evolvono nel corso del tempo, in parte grazie ad adattamenti ad un ambiente costituito da ciò che fanno le altre componenti.
Principio dei sistemi complessi adattativi
Il concetto di CAS è stato arricchito dalla considerazione Premio Nobel per la Fisica Murray Gell-Mann che le componenti possono essere a loro volta sistemi complessi adattativi, dando per questa via origine a configurazioni/pattern di livelli intermedi (Gell-Mann, 1995, The Quark and the Jaguar. Adventures in the Simple and the Complex, Freeman and Company). Il concetto è stato inoltre applicato in molti campi disciplinari, ad esempio nelle scienze sociali e nel computational modeling, dove si assume che i CAS siano composti da “interacting, thoughtful (but perhaps not brilliant) agents”, le cui interazioni generano proprietà globali del sistema stesso (J.H. Miller, S.E. Page, 2007, Complex Adaptive Systems. An introduction to computational modes of social life, Princeton University Press, p. 97).
In breve, “macroscopic patterns emerge from the dynamic and nonlinear interactions of the systems low-level (microscopic) adaptive agents” (J. Brownleee, 2007, Complex Adaptive Systems, 2007, March: 3).
Il frame teorico ed applicato, incentrato sui CAS, è stato progressivamente impiegato negli studi degli eco-sistemi a livello locale e globale, per esempio Janssen associa il concetto di sviluppo sostenibile, definito “as sustaining the ability of systems to adapt to a changing environment”, con quello di CAS applicato all’intera biosfera, perché “its components adapt and reorganize themselves in response to interventions. Complex adaptive systems research provides us with modeling tools that enable us to study the co-evolutionary development of humankind and our environment” (M. Janssen, 1998, Use of Complex Adaptive Systems for Modeling Global Change, Ecosystems, 1: 457–463). La biosfera come CAS è al centro dei lavori di Simon Levin, direttore del Center for bio-complexity di Princeton (S.A. Levin, 1998, Ecosystems and the Biosphere as Complex Adaptive Systems, Ecosystems, I: 431-436.
Nel suo libro Fragile Dominion. Complexity and the Commons (Perseus Publishing) Levin riprende e sviluppa elementi teorici e applicativi introdotti da John Holland (J.H. Holland, 1995, Hidden Order. How Adaptation Builds Complexity, Helix Book). Di particolare importanza sono le peculiarità distintive dei CAS: eterogeneità delle componenti, interazioni non lineari tra di esse (relazioni causa-effetto sono più che proporzionali), organizzazione gerarchica di sistemi e flussi (materiali, energetici, informativi).
Risposte flessibili alle variazioni esterne
In realtà nel corso degli ultimi decenni sono diventati sempre più evidenti le molteplici connessioni tra sistemi naturali e sistemi umani, fino a costituire social ecological systems (C. Folke et al., 1998, Ecological practices and social mechanisms for building resilience and sustainability. In: F. Berkes, C. Folke, editors, Cambridge University Press, UK), i quali evolvono “in never-ending adaptive cycles of growth, accumulation, restructuring, and renewal. These transformational cycles take place in nested sets at scales ranging from a leaf to the biosphere over periods from days to geologic epochs, and from the scales of a family to a sociopolitical region over periods from years to centuries” (Holling, 2001: 392).
I concetti chiave sono sistemi scomponibili in unità discrete, insiemi annidati di dati e cicli adattativi, che descrivono la fenomenologia dei processi dinamici multi-scala. I cicli adattativi si basano sull’evoluzione dei potenziali di azione possibili, cioè degli spazi di azione da poter attivare, quindi dei futuri accessibili ai sistemi e sotto-sistemi e dalla capacità di questi ultimi di controllare variabili di processo, in modo tale da elaborare risposte flessibili alle variazioni dell’ambiente.
Gli aspetti appena indicati sono alla base della capacità adattativa, intesa come misura della vulnerabilità rispetto a shock inattesi e imprevedibili. Bisogna però tenere presente che si possono avere shock prevedibili, ma non attesi, come è accaduto per l’evento pandemico in corso. Potenziale di azione, controllabilità e capacità adattativa sono le proprietà generali, che influenzano le risposte alla crisi da parte di eco-sistemi organismi naturali e sociali, popolazioni.
In un mondo iperconnesso come l’attuale, acquista una pregnanza indiscutibile la visione del Premio Nobel per l’Economia Elinor Ostrom, secondo la quale “All humanly used resources are embedded in complex social-ecological systems (SESs). SESs are composed of multiple subsystems and internal variables within these subsystems at multiple levels analogous to organisms composed of organs, organs of tissues, tissues of cells, cells of proteins, etc.” (Ostrom E., 2009, A general framework for Analyzing Sustainability of Social-ecological Systems, Science, July, 419-422). La complessità dei processi e delle interazioni cross-scale tra componenti “annidate” è ben illustrata dalla Fig. 5 (Fonte: Ostrom, 2009) e dalle sue argomentazioni circa i sotto-insiemi e le variabili rilevanti per ciascuno di essi.
Fig. 5
Verso un Adaptive Management
La complessità dei processi e delle interazioni multi-scala tra componenti annidate fa sì che non esistano “panacee”, soluzioni valide una volta per tutte (E. Ostrom, 2007, A diagnostic approach for going beyond panaceas, Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A. 104, 15181). Non esistono soluzioni semplici per sistemi sociali-ecologici complessi, tanto meno sono efficaci piani strategici top-down. Occorre invece adottare metodologie che coniughino un approccio sistemico multi-livello, sviluppo di capacità cumulative di diagnosi dei problemi e delle potenzialità in sistemi annidati, insieme all’accettazione dell’incertezza e l’imprevedibilità (le sorprese), cioè shock dovuti a feedback cumulativi interni e di origine esterna.
In breve, è necessario adottare un frame strategico adattativo sul piano strategico ed operativo (C. Walter, 1986, Adaptive Management of Renewable Resources, MacMillan); M. Lombardi, 2020). L’Adaptive management si basa, quindi, su apprendimento, sperimentazione, test e verifiche, analisi sistematica e visione sistemica, tenendo presente un’assunzione fondamentale: i complex social ecological systems possono misurarsi con problemi più e meno grandi solo se si adotta il principio della cooperazione tra molti stakeholder, entità interessate alla vitalità del sistema. Ciò vale ancor di più nella fase storica odierna, caratterizzata dalla simultanea presenza di crisi, che investono aspetti basilari del Pianeta Terra e del gran numero di sotto-sistemi che lo compongono e ne condizionano l’evoluzione attraverso l’estrema varietà delle strutture interattive, le quali evolvono senza sosta.
Le riflessioni proposte inducono a porre alcuni interrogativi di fondo, sui quali effettuare considerazioni preliminari ad un’analisi più approfondita.
Capitalismo di shareholder e stakeholder
Il punto di partenza, che è anche quello di arrivo delle pagine precedenti, è che il mondo viva una “transizione critica” (tipping point), un punto di svolta nell’evoluzione del Pianeta Terra e della storia dell’umanità. Non esiste, però, una sola via di uscita e le traiettorie possibili sono in gran parte ignote, con molte incognite che influenzano i processi decisionali individuali e collettivi.
A vantaggio degli umani c’è l’esistenza di un potenziale tecnico-scientifico senza precedenti, ma esso da solo non indica la strada migliore, che peraltro non esiste, se accettiamo la visione che siamo dentro sistemi social-ecologici complessi, la cui dinamica dipende dalle decisioni prese a tutti i livelli. L’elaborazione di una quantità stratosferica di dati non è la panacea per risolvere problemi complessi, né sarà lo strumento salvifico rispetto a punti critici, anche se può aiutare. Il dato cruciale è che molto dipende da quali e da come verranno prese decisioni.
Possiamo intanto trarre dalle riflessioni svolte degli spunti interessanti in merito a quali orientamenti assumere per effettuare scelte congruenti con un ambiente ad alta variabilità e incertezza. Cerchiamo allora di indicare uno schema generale, un frame o struttura concettuale, basata su un set preciso di idee basilari.
Stop alle decisioni di breve periodo
È innanzitutto necessario essere consapevoli che l’orizzonte temporale delle decisioni non può essere di breve periodo, perché nell’odierno mondo fisico-digitale ogni atto ha implicazioni sistemiche globali, che si manifestano nel medio- lungo termine, dando origine a processi irreversibili. In tale quadro il perseguimento della profittabilità nel breve termine, perno economico-culturale (per così dire) dell’ultimo trentennio, rischia di essere un meccanismo distruttivo del sistema capitalistico. Le implicazioni di questo mutamento di fondo sono enormi sia a livello di psicologia individuale e collettiva, sia a livello politico-istituzionale, sia in ambito economico-produttivo. Non sarà agevole per molti, soprattutto per determinati portatori di interessi legati alla tradizionale visione del mondo e dei modelli operativi, condividere nuovi principi e criteri comportamentali.
A tutto questo bisogna aggiungere fattori di inerzia culturale, politica, istituzionale, in trasformazioni strutturali così estese incontrano necessariamente barriere mentali, gerarchiche (di potere in senso ampio), ostative per timori di perdere posizioni di potere e status sociale, altre ancora dovute a nuove simmetrie sociali, che insorgeranno.
Il cambiamento dell’orizzonte temporale delle decisioni, unito alla consapevolezza dell’esistenza di sistemi social-ecologici complessi adattativi, ha una seconda implicazione: i modelli consolidati di gestione delle imprese devono superare i limiti della concezione privatistica e quelli della corporate social responsibility, perché i parametri decisionali più rilevanti non possono più essere concentrati sulla profittabilità, ma devono incorporare fattori di ordine socialr ed ecologico.
Un nuovo mindset imprenditoriale dovrà emergere in un ambiente competitivo con le caratteristiche descritte: sarà fondamentale connettere due elementi finora sconnessi “sustainability and sustainable competitive advantage”, situazione definita “S-world” da Young et al., , 2019, Optimize for Both Social and Business Value, Boston Consulting Group-Henderson Institute), che rappresentano molto efficacemente una nuova agenda per i modelli di business (Fig. 6)
La prospettiva delineata contiene un mutamento nel potere decisionale, che è difficile da realizzare e andrà sicuramente incontro a forti resistenze, anche perché implica un cambiamento paradigmatico “over others” all’esercizio del potere “with others” (J. Nye, 2020, An Abysmal Failure of Leadership, Project Sybdicate, May 7). Non si tratterebbe, dunque, di una variante di capitalismo, che amplierebbe la varietà dei capitalismi (P.A. Hall, D. Soskice, eds, 2004, Varieties of Capitalism. The Institutional Foundations of Comparative Advantage , Oxford University Press; D. Coates, ed.,2005, Varieties of Capitalism,Varieties of Approaches, Palgrave MacMillan).
Gli scricchiolii del capitalismo
Forse dovranno cambiare principi fondanti del capitalismo. La questione merita di essere ulteriormente approfondita in un prossimo contributo, tenendo anche presente l’eventualità, suggerita da J. Bremmer (2012, Every Nation for Itself. Winners and Losers in a G-Zero World, Penguin Group), di uno scenario di G-zero world, un mondo senza superpotenze, ma con numerose aspirante potenze regionali e più di una con malcelate aspirazioni globali (aggiungiamo noi). Anche sul terreno geo-politico, quindi, andiamo verso una critical transition, il che dovrebbe responsabilizzare sempre più decisori ad ogni livello, in primo luogo le leadership, che sembrano afflitte da quella che J. Nye chiama abysmal failure.