In nome del diritto all’oblio si rischia non solo di eliminare tracce di reati, ma anche la democrazia e il fondamentale diritto alla “memoria”. Quello della reputazione online è infatti diventato un business fiorente, che rischia di travalicare il sacrosanto diritto a ottenere la rimozione dei link e dei riferimenti che rimandano ad un contenuto online ritenuto lesivo.
Diritto all’oblio e democrazia
Parallelamente all’avvento del diritto all’oblio e all’incremento dell’utilizzo di internet e dei social media sono nati, infatti, anche numerosi studi professionali e società specializzate nella tutela della reputazione online; è nato, insomma, un business per garantire la reputazione di società e privati nel web.
Navigando in rete capita di trovare società che nel pubblicizzare i propri servizi scrivono “rimuoviamo qualsiasi tipo di link negativo”; “individuiamo eventuali notizie lesive e attiviamo la procedura di eliminazione immediata”; “tutelare la tua immagine e il tuo brand significa monitorare continuamente quanto viene detto e scritto di te sul web”; “eliminiamo notizie negative che danneggiano la tua figura professionale o privata”; “soluzioni in 24 ore”.
Il rischio è che con il business e il proliferare di queste società, ormai specializzate, sorga lo spauracchio per gli editori dei relativi costi e delle sanzioni. Invero in molti casi sarà un rischio infondato ma, come spesso capita, qualcuno potrebbe decidere di cancellare piuttosto che affrontare il rischio di una causa, le lungaggini di un procedimento ed i relativi costi. Vi è poi la possibilità di un provvedimento, una ispezione o una sanzione rilevante del Garante Privacy, eventualità remota ma pur sempre un rischio da mettere sulla bilancia costi-opportunità.
Del resto, si sa, la violazione del diritto all’oblio comporta il rischio di una sanzione che può essere anche molto rilevante. Molti ricordano che nel recente passato l’autorità belga per la protezione dei dati personali ha sanzionato Google per 600.000 euro per il mancato rispetto del diritto all’oblio di un cittadino belga.
Pertanto, il privato cittadino (ad esempio il proprietario di un blog) e la piccola testata giornalistica, molto spesso potrebbero dar seguito ad una richiesta di rimozione per evitare il rischio di un costo considerato per lui spropositato.
Cos’è il diritto all’ oblio
Il diritto all’oblio è il diritto dell’individuo ad essere “dimenticato”. Nella formulazione originale del GDPR: right to be forgotten. È un diritto che mira a salvaguardare il riserbo imposto dal tempo ad un notizia che inevitabilmente diventa obsoleta, non più attuale.
È un diritto relativamente recente che ha avuto rilevanza mediatica a seguito di una nota Sentenza della Corte di Giustizia Ue del 2014 (C-131/12 del 13 maggio 2014). La Corte ha condannato Google alla deindicizzazione di alcune notizie lesive della sfera privata e della dignità di un cittadino spagnolo, Costeja Gonzalez, che aveva proposto un reclamo dinanzi all’AEPD (Agencia Espanola de Proteccion de Datos) ovvero il Garante Privacy spagnolo. Nell’indice del motore di ricerca di Google erano presenti infatti link risalenti al 1998 nei quali figurava un annuncio, con i relativi dati personali del soggetto, per la vendita all’asta di alcuni immobili a seguito di un’azione di pignoramento per la riscossione di crediti previdenziali.
Ma qual è il periodo oltre il quale la notizia diventa obsoleta? La norma (art 17 del GDPR) non lo dice e si limita a stabilire che: “L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali, se (…) i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati”.
Inoltre, l’ormai abrogato art 11 del Codice Privacy prevedeva che i dati personali devono essere conservati “in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati”.
La non necessarietà di una notizia
Il presupposto del diritto all’oblio è la non necessarietà di una notizia ovvero il decorso di un periodo di tempo che fa venir meno l’interesse pubblico alla conoscenza di un fatto. La mancanza di un interesse sociale fa venir meno la necessità della pubblicazione della notizia stessa.
Bisognerà valutare caso per caso per stabilire qual è il periodo di tempo che genera l’obsolescenza della notizia. La verifica andrà valutata anche in base all’interessato e la sua notorietà.
Inoltre, nel caso delle testate giornalistiche, è necessario considerare il Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell´esercizio dell´attività giornalistica che all’art. 6 parla di essenzialità dell’informazione e stabilisce che “la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l´informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell´originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti.
Maggiore sarà la notorietà dei protagonisti e maggiore sarà il relativo interesse sociale e dunque il periodo di conservazione della notizia online.
A dirla tutta vi sono notizie che non dovranno mai essere cancellate perché faranno parte della vita del personaggio pubblico ed altre che perderanno interesse con la fine della notorietà. Vi sono poi i casi nei quali l’interesse sociale permane per sempre, a causa per esempio della gravità dei fatti: si pensi ai crimini contro l’umanità o ai casi di cronaca nera che hanno fatto la storia.
In altri casi invece è giusto rimuovere prima possibile le notizie lesive dell’onore o della reputazione (per esempio ritenute infondate) e che impediscono al soggetto la possibilità di rifarsi una vita.
Il rischio
Il paradosso è che in nome del diritto all’oblio l’immagine degli interessati sia pilotata da qualche società senza scrupoli, andando a rimuovere chirurgicamente le notizie online non gradite e lasciando alla collettività solo gli articoli che ne decantano la gloria, (magari) notizie create ad hoc…
Se oggi in nome della libertà sono disponibili notizie positive e negative, avvocati e società specializzati nella reputazione online, potrebbero chiedere la rimozione della notizia negativa con l’obbiettivo di creare lo “stinco di santo”.
Non c’è solo il rischio di eliminare le tracce dei reati ma è a rischio la democrazia stessa. Pezzi di diritto di cronaca sono un patrimonio che rischia di scomparire se non vi sarà maggiore certezza sull’applicabilità del diritto all’oblio, sui termini da prendere in considerazione.
Con il diritto all’oblio deve essere valutato parimenti il cosiddetto diritto alla memoria, alla storia. In nome dell’interesse del singolo non può essere sempre ammessa la rimozione, a distanza di tempo, di un’informazione che allorché è stata pubblicata rispondeva ai criteri di “verità, pertinenza e continenza”. Se ognuno di noi potesse, ovviamente, rimuoverebbe dal web ogni traccia sconveniente per la propria reputazione. Eppure, non sono pochi i casi di personaggi della storia macchiati da vicende che poco hanno a che fare con i meriti.
Conclusioni
La memoria ha del resto un forte valore sociale e un grosso potenziale che non può essere spazzato via dal diritto del singolo di cancellare il passato. Servono dei distinguo ancor più netti, delle regole certe per evitare che nasca il business della reputazione online positiva ad ogni costo. Il diritto all’oblio è un diritto prezioso e va tutelato adeguatamente, è necessario salvaguardare la sua natura nobile. Al tempo stesso la dicotomia “memoria e oblio” è troppo importante per non essere presa in considerazione.