Da principio furono i quotidiani online, con particolare riguardo al Gruppo Gedi e al Gruppo Rizzoli a proporre, a partire dalla metà dello scorso anno, la “scandalosa” alternativa di abbonarsi o accettare i cookie di profilazione.
Cookie di profilazione nei quotidiani online: le motivazioni degli editori
Quelli che si possono definire come i maggiori editori italiani, hanno pertanto deciso di subordinare l’accesso ai siti internet delle loro testate giornalistiche a una scelta dell’utente da compiere su un cookie wall o meglio pay wall: accettare i cookie di profilazione, e quindi navigare gratuitamente tra i contenuti liberi del sito, oppure rifiutare la profilazione e sottoscrivere un abbonamento. Scelta motivata dalla necessità di supportare il lavoro delle redazioni e di fornire una informazione di qualità.
Cookie wall: il ruolo del Garante per la protezione dei dati personali
Molti si sono interrogati sulla legittimità di tale iniziativa e l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha aperto un’istruttoria, che non ha ancora portato a esito definito, per verificarne la conformità, pur dichiarando che, in linea di principio, la normativa europea non esclude che il titolare di un sito web possa subordinare l’accesso al servizio a una scelta tra l’accettazione dei cookie di profilazione o il pagamento di una somma di denaro.
La questione della monetizzazione dei dati personali
Il convitato di pietra in questa discussione è, di fatto, la questione della liceità di una valorizzazione economica (cioè la monetizzazione) dei dati personali. La monetizzazione dei dati può essere definita come la trasformazione del dato personale in un corrispettivo economico per l’accesso a un bene o a un servizio digitale.
In altre parole, è possibile consentire il trattamento dei propri dati personali a un terzo in cambio della fornitura di un servizio che veniva prestato in via gratuita?
Cosa dice il Considerando 4 del GDPR
In merito a tale opportunità ci si dovrebbe tra l’altro rivolgere al Considerando 4 del Reg. 679/2016 “GDPR” che specifica che “Il trattamento dei dati personali dovrebbe essere al servizio dell’uomo, in quanto il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità”.
Dichiarando fin dall’incipit del presente approfondimento la personale visione della scrivente, si ritiene che le valutazioni in merito alla monetizzazione dei dati personali debbano essere bilanciate con il valore intrinseco del diritto che si vuole tutelare e che in merito all’importanza di offrire nello spazio economico europeo una informazione di qualità ci si potrebbe avvalere di deroghe o disposizioni specifiche come previsto dall’art.85 dello stesso GDPR.
Pertanto, a mio parere, pur non sottovalutando i rischi sottesi alla tematica della monetizzazione, la linea di demarcazione tra la liceità della provocatoria proposta dell’editoria online è data dalla correttezza e dalla trasparenza del trattamento oltre che dalla finalità in senso olistico dello scambio.
Il caso Meta e la proposta di abbonamento
Passando dall’editoria ai social, il secondo caso che fa riflettere è stato quello proposto da Meta, la società che controlla Facebook e Istagram nonché Whatsapp che con una nota del 30 ottobre 2023, ha deciso di offrire agli utenti una scelta in merito alla “gratuità” dei propri servizi: dopo la spunta blu a pagamento, tutto l’utilizzo dei servizi social di Meta diventa a pagamento, a meno che non si acconsenta ad essere oggetto di marketing “personalizzato”.
In sostanza Meta ha proposto all’Europa un abbonamento di circa 13 euro al mese per l’accesso a Facebook, Instagram, in alternativa al modello pubblicitario basato su dati personali. A dire di Meta un modo per venire incontro alle richieste privacy dell’Europa, basate su leggi che però valgono per tutte le aziende.
Aspetti consumeristici della questione cookie wall
Quest’opzione di abbonamento rappresenta un cambiamento radicale per l’azienda, visto che l’amministratore delegato di Meta, Mark Zuckerberg, ha sempre insistito sul fatto che i suoi servizi principali dovrebbero rimanere gratuiti e sostenuti dalla pubblicità. Non nascondendo una personale insofferenza per un indirizzo pienamente privacy liberista, desidererei nella valutazione della liceità del trattamento venissero prese in considerazione anche elementi tipici della normativa consumeristica e pertanto perché vi sia una transazione e un corrispettivo è necessario che i dati oggetto della controprestazione siano diversi rispetto a quelli necessari per la fornitura del servizio, con una accurata analisi della proporzionalità dello scambio.
Pertanto come rappresentato da Luca Bolognini in “Follia Artificiale” affermare, come è giusto, che i diritti privacy siano inviolabili e indisponibili non implica necessariamente rifiutare la monetizzazione del trattamento dei dati: la remunerazione del consenso è perfettamente concepibile, se essa lascia intonse sia la sua revocabilità, sia l’esercitabilità piena dei diritti previsti dagli articoli da 15 a 22 del GDPR.
La validità del consenso
Difatti l’art. 6 del GDPR, stabilisce quali sono le basi giuridiche che rendono legittimo un determinato trattamento, e la profilazione è un trattamento che può essere effettuato solo sulla base del consenso. Ma il consenso, per sua natura, deve essere libero, informato e “agilmente” revocabile ed inoltre il GDPR vieta espressamente (art. 7.4) di subordinare un servizio “alla prestazione del consenso al trattamento di dati personali non necessario alla sua esecuzione”.
Quindi un consenso così ottenuto potrebbe non essere pienamente valido e pertanto il trattamento, in assenza di altra base giuridica, potrebbe risultare illegittimo. Conseguentemente dovrebbero infatti essere chiare sia le finalità, che le modalità della profilazione, nonché le categorie di soggetti che tratterebbero i dati o comunque a cui sarebbero trasferiti. Inoltre anche in affinità con i principi della normativa consumeristica, andrebbe valutata la proporzionalità dello scambio, avendo anche riguardo ai potenziali accordi con terze parti spesso locate al di fuori dello spazio SEE o in paesi che non rientrano nella white list della Commissione europea (art. 45 del Regolamento UE 2016/679).
Conclusioni
Per concludere, tornando al caso Meta e alla questione alla base, se è lecito offrire agli utenti l’alternativa del pagamento per poter accedere alla piattaforma ovvero lasciare pienamente campo libero alla profilazione online, in attesa della espressione del dell’EDPB, la risposta sembrerebbe negativa.