Tralasciando i più noti principi giuridici che sorreggono il nostro sistema amministrativo, quali legalità, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), appare evidente che un ulteriore principio estremamente importante è quello della trasparenza.
Questo diritto può essere declinato come il potere di controllo democratico sullo svolgimento dell’azione amministrativa.
Con particolare riferimento agli organi comunali e provinciali il D.Lgs 18 agosto 2000, n. 267, nel suo articolo 10 precisa che: “Tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del sindaco o del presidente della provincia che ne vieti l’esibizione, conformemente a quanto previsto dal regolamento, in quanto la loro diffusione può pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese. Il regolamento assicura ai cittadini, singoli e associati, il diritto di accesso agli atti amministrativi e disciplina il rilascio di copie di atti previo pagamento dei soli costi; individua, con norme di organizzazione degli uffici e dei servizi, i responsabili dei procedimenti; detta le norme necessarie per assicurare ai cittadini l’informazione sullo stato degli atti e delle procedure e sull’ordine di esame di domande, progetti e provvedimenti che comunque li riguardino; assicura il diritto dei cittadini di accedere, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l’amministrazione”.
Il diritto di accesso per i consiglieri comunali
Tuttavia, è importante evidenziare che tra il diritto di accesso ex art 22 e ss. della L. n. 241 del 1990 concesso al cittadino e quello ex art 43 della L. n. 241 del 1990 concesso al consigliere comunale sussistono rilevanti differenze. Infatti, il primo istituto consente al singolo cittadino di tutelare le proprie posizioni soggettive attraverso la conoscenza degli atti e dei documenti della Pubblica Amministrazione, mentre, per contro, il secondo è diretto a concedere al consigliere comunale il potere di controllo sul comportamento degli organi istituzionali del Comune al fine di poter esercitare il proprio mandato (C.d.S., Sez. II – parere 26 gennaio 2005, n. 8525/2004).
Il diritto di accesso del consigliere comunale e provinciale è assicurato e rinforzato dalla norma speciale di cui all’art. 43 c. 2 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (recante il Testo unico degli enti locali), che testualmente recita “i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato” purché la richiesta d’accesso sia strettamente funzionale all’esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo degli atti degli organi decisionali dell’ente locale (C.d.S., sez. V, 26 settembre 2000, n. 5109, C.d.S. n. 4525 del 2014).
Alla luce della normativa illustrata, il consigliere comunale, quindi, nell’esercitare il diritto d’accesso nello svolgimento delle sue funzioni, e quindi per tutelare degli interessi pubblici, non è sottoposto a limiti, salvo il caso di violazione del principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’articolo 97 della Costituzione.
Inoltre, secondo un indirizzo ormai consolidato, sul consigliere non grava l’obbligo di indicare le ragioni poste alla base delle proprie richieste di accesso, in quanto, lo stesso, può limitarsi ad evidenziare la strumentalità dell’accesso allo svolgimento della propria funzione.
Accesso alle informazioni di aziende o enti partecipati
Per completezza, si rammenta che il diritto di accesso del consigliere comunale si estende a tutte le aziende o enti dipendenti dei Comuni affidatarie della gestione di un pubblico servizio locale (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. V, 28 gennaio 2010 n. 448, Tar Piemonte, Sez. I, Sentenza n. 934/10).
Giurisprudenza maggioritaria ha chiarito che il diritto di accesso del consigliere comunale non può essere compresso da esigenze di tutela di riservatezza, malgrado entrambi i diritti siano interessi di rango primario e quindi meritevoli di tutela e di bilanciamento, in quanto lo stesso è tenuto al segreto ex art. 43 del testo unico sugli enti locali (su tutte Consiglio di Stato n. 2716 del 2004) ed è soggetto a responsabilità personale in caso di divulgazione non autorizzata (Consiglio di Stato sentenza n. 1298 del 2018).
Tuttavia, il consigliere comunale non possiede un diritto generalizzato ed indiscriminato diretto ad ottenere qualsiasi tipo di atto dell’Ente (Commissione per l’accesso ai documenti ed anche C.d.S., sez. V, 8 settembre 1994, n. 976). Infatti, il suo diritto di accesso deve coordinarsi con le norme sulla segretezza delle indagini penali o sulla segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, con quelle che sanciscono il divieto di divulgazione dei dati personali e con il dovere di segreto espressamente determinato dalla legge.
Il bilanciamento tra diritti
Alla luce di quanto espresso, al fine di poter verificare l’accessibilità ai pareri legali da parte del consigliere comunale è necessario addivenire ad una loro profonda analisi al fine di porre in essere un bilanciamento tra il diritto di controllo sul comportamento degli organi istituzionali e il diritto al segreto. Sul punto è intervenuto il Consiglio di Stato (C.d.S del 2 aprile 2001, n. 1893, C.d.S. del 26 settembre 2000, n. 5105.) individuando tre diverse fattispecie di parere legale.
La prima ipotesi è quella di parere legale con funzione endoprocedimentale, cioè quello richiesto nell’ambito di un’istruttoria volta all’adozione di un atto finale nel quale viene anche citato per motivarne l’adozione. Detti atti, risultano assoggettati al diritto di accesso, pur nascendo da un rapporto privatistico caratterizzato dal principio della riservatezza della relazione tra cliente e professionista, in quanto oggettivamente correlati ad un procedimento amministrativo (Cons. St., ord., sez. VI, 24 agosto 2011, n. 4798).
Altra ipotesi è quella in cui il ricorso alla consulenza avvenga a seguito di un procedimento contenzioso (giudiziario, arbitrario o amministrativo) oppure dopo l’avvio di attività precontenziose tipiche (tentativo obbligatorio di conciliazione) e sia, pertanto, finalizzato alla definizione di una strategia difensiva.
La terza ipotesi è quella in cui il parere legale avvenga in una fase intermedia, successiva alla definizione del rapporto amministrativo ma precedente l’instaurazione di un giudizio o l’avvio dell’eventuale procedimento contenzioso, in modo da consentire all’amministrazione di articolare una linea difensiva in ordine ad una potenziale lite.
Conclusioni
Secondo l’orientamento maggioritario del Consiglio di Stato i pareri legali, chiesti a fini difensivi, rientranti in queste due ultime ipotesi, sono sottratti al diritto d’accesso in quanto deve essere tutelata non solo l’opera intellettuale del legale, ma anche la stessa posizione dell’amministrazione. (Cons. St., sez. V, 5 maggio 2016, n. 1761; id., sez. VI, 13 ottobre 2003, n. 6200). Infatti, in quanti casi i pareri non sono destinati a sfociare in una determinazione amministrativa finale, ma mirano a fornire all’ente pubblico tutti gli elementi tecnico–giuridici utili per tutelare i propri interessi ovvero ad articolare le proprie strategie difensive, in ordine ad una lite che, pur non essendo ancora in atto, può considerarsi quanto meno potenziale.
Pertanto, in conclusione, il diritto d’accesso potrà essere esercitato senza vincoli nel caso di parere endoprocedimentale ma prevarrà il segreto professionale negli altri casi, non essendo plausibile la tesi secondo cui il consigliere comunale, in tale veste, possa accedere a tutti i documenti, anche segreti, dell’amministrazione, assumendo solo l’obbligo di non divulgare le relative notizie.