norme e competitività

AI, ma l’Europa non deve cedere sulle regole: ecco perché



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Il ritiro della AI Liability Directive solleva dubbi sulla strategia europea. Ma rinunciare alla regolamentazione significherebbe perdere un vantaggio competitivo cruciale

Pubblicato il 17 feb 2025

Rocco Panetta

Partner Panetta Studio Legale e IAPP Country Leader per l’Italia



ia generativa in azienda dematerializzazione

La regolamentazione dei mercati e delle nuove tecnologie non è stata mai una questione semplice. Ce lo insegna la storia nazionale, poi diventata europea. Ce lo dimostra il raffronto con le scelte politiche di altri paesi.

Da quando però si parla di intelligenza artificiale, la partita delle regole ha assunto connotati e significati nuovi e, per certi versi, anche preoccupanti.

La decisione Ue di ritirare la AI Liability Directive e la ePrivacy regulation

È notizia di pochi giorni fa la decisione della Commissione europea di ritirare la proposta di direttiva sulla responsabilità per i danni causati dall’intelligenza artificiale presentata nel 2022 (la AI Liability Directive). Insieme a questa direttiva è stato abbandonato anche un altro progetto di legge, vale a dire l’ePrivacy regulation, progetto che risale addirittura al 2017 e la cui storia è stata effettivamente molto travagliata.

Dati e posizioni contrastanti dall’AI Action Summit di Parigi

Ciò è avvenuto proprio nei giorni in cui le grandi potenze globali, Unione europea compresa, si sono incontrate a Parigi per l’AI Summit Action. Anche in questa occasione sono emersi dati e posizioni in un certo senso contrastanti.

Da un lato, mentre con le parole di Ursula von der Leyen la Commissione ha lanciato un ambizioso piano europeo di investimenti per 200 miliardi di euro, alcune voci si sono alzate per criticare l’approccio unionale alla regolamentazione dell’intelligenza artificiale. E alla fine del summit, Stati Uniti e Regno Unito hanno deciso di non firmare la dichiarazione finale del vertice parigino. Un atto pieno di significati controversi, non condivisibile nel merito e nel metodo.

Una tendenza alla deregolamentazione

Mettendo insieme questi e altri puntini dello scacchiere della politica legislativa europea, sono sempre meno rare le critiche all’approccio che è stato seguito in Ue per regolamentare questa tecnologia. L’Artificial Intelligence Act è stato approvato lo scorso anno e le prime norme sono diventate applicabili all’inizio di febbraio. Eppure, sembra che molti vogliano a tutti i costi considerare questa legge sbagliata fin dal principio, invocando al contrario la via della deregolamentazione.

I motivi dietro queste posizioni sono facili da decifrare. L’Europa continua a restare ampiamente indietro nella corsa tecnologica. Il divario con le altre potenze globali, America e Cina in primis, sembra sempre più difficile da colmare. Ed ecco che allora c’è chi cerca nella divergenza tra le scelte di politica legislativa il motivo di questo ritardo. Da un lato, l’Unione europea con la prima legge al mondo in materia di IA, dall’altro paesi come l’America che hanno seguito la strada della soft regulation verticale.

Le regole sono davvero il problema?

La risposta è naturalmente negativa. Sono ben altri i motivi che spiegano come mai l’Europa non riesce a tenere il passo delle proprie avversarie geopolitiche sui mercati. Investimenti, tassazione, enfocerment, differenze sul piano dell’attuazione nazionale sono tra i principali fattori di questo svantaggio competitivo. Sopra tutto e tutti la debolezza dell’UE è data dal fatto che non è una vera unione, non è uno Stato né unitario né federale, non ha sposato né il modello statunitense, né quello cinese. Non è neanche il Commonwhealth, sia chiaro, è qualcosa di più, ma la identità è sfocata, incompiuta e per questo facilmente attaccabile.

Le regole, allora e in verità, sono la vera arma di competitività dell’Unione europea sui mercati, e per questo devono essere protette, rafforzate e non indebolite.

È la storia che ce lo insegna. Regole come quelle in materia di circolazione e protezione dei dati personali, e in particolare il GDPR, hanno dimostrato e tuttora dimostrano di funzionare, sia in ottica di protezione dei diritti, sia e soprattutto in chiave di competitività. Difatti, grazie a queste norme le aziende europee sono potute diventare più resilienti e attente all’uso e alla valorizzazione dei dati: ciò grazie all’introduzione di istituti come la Data Protection Impact Assessment (DPIA) e alla creazione di funzioni essenziali come il Data Protection Officer (DPO). Tutti presidi fondamentali che hanno permesso e permettono ancora oggi alle imprese europee di competere sui mercati internazionali e di raccogliere la fiducia di utenti, stakeholder e istituzioni pubbliche.

Del resto, non bisogna dimenticare che questi istituti nascono proprio negli Stati Uniti, dove sono stati introdotti con interventi di soft regulation, attecchendo in un terreno fertile alla cultura di impresa funzionale. Ciò in quanto la tradizione imprenditoriale statunitense, di stampo marcatamente avanguardista, non richiedeva un’imposizione tramite leggi di primo grado. Al contrario, il contesto europeo necessita di un intervento diretto e forte sul piano normativo, proprio in virtù del diverso DNA che caratterizza il nostro tessuto economico.

Ecco che allora privarci – oggi o in futuro – di regole come il GDPR o l’AI Act porterebbe l’Unione europea a fare diversi passi indietro in termini di competitività. L’Ue, infatti, a differenza degli Stati Uniti, non è competitiva per natura, ma lo è diventata grazie alla libera circolazione dei dati, che è stata imposta per legge, ed a tutti quegli altri istituti di derivazione normativa che hanno permesso alle aziende europee di presentarsi e competere sui mercati in modo autorevole e riconoscibile.

Una ricetta per il futuro

Ecco allora che per provare a recuperare terreno sui mercati occorre iniziare a puntare di nuovo sui punti di forza dell’Unione europea. Continuare dunque nella stagione di regolamentazione della data economy, perseguendo sempre il giusto equilibrio tra protezione di diritti e libertà fondamentali ed esigenze di crescita economica e del business.

Rimandare o derubricare l’approvazione di nuove leggi nel settore dell’AI ha un senso politico a doppia valenza, interna ed esterna, e in questo momento storico probabilmente “makes sense”. Ma non dobbiamo rincorrere le suggestioni provenienti da Oltreoceano che ci invitano a ritrovare valori comuni, oggi interpretati con disprezzo delle regole e delle istituzioni e con l’introduzione di dazi anticoncorrenziali. I nostri valori sono interpretati dall’azione e dalle parole di uomini come il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal lavoro quotidiano di donne e uomini impegnati in aziende, nelle PA, nei servizi e nell’agricoltura.

Da qui occorre riprendere la corsa, affiancando all’impegno sul piano regolatorio nuove politiche di investimenti e azioni per migliorare ed efficientare la coerenza nelle azioni di esecuzione ed enforcement a livello nazionale e comunitario.

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