Humane. Un nome che ai più non dirà molto, è invece il nome della startup californiana che ha appena presentato ufficialmente AI Pin, uno dei primi dispositivi wearable interamente finalizzato al “trasporto” dell’intelligenza artificiale. L’azienda californiana, il cui CEO e founder è Imran Chaudri, veterano di Apple dove ha trascorso più di vent’anni come Design director, ha passato quasi cinque anni per progettare il suo – finora unico – prodotto.
Si tratta di un dispositivo sicuramente innovativo, di certo il primo del suo genere. Non ci si può non interrogare, dunque, non solo sugli scenari che aprirà nel mercato dei dispositivi indossabili, ma anche sui risvolti privacy.
Descrizione del prodotto: hardware e sistema operativo
Prima di addentrarci negli aspetti legati alla privacy, soffermiamoci sulle caratteristiche del dispositivo: Ai Pin, che, come suggerisce il nome, si tratta di una sorta di spilla, è costituito da un punto di vista hardware da due parti separate ma complementari:
- una parte frontale (computer) in cui sono presenti la telecamera, il proiettore laser e una spia per tutelare la privacy segnalando – quando accesa – che il dispositivo sta registrando o fotografando. Nella parte inferiore del frontale è inoltre presente una sorta di sensore touch che serve – da quanto è stato mostrato – a dare gli input al dispositivo mentre nella parte superiore è presente un microfono e una luce (beacon) che ha la funzione di segnalare l’arrivo di notifiche o altre segnalazioni
- una parte posteriore in cui è racchiusa la batteria e che funge anche da clip di chiusura del pin per mezzo di due potenti magneti, proprio come fosse una vera e propria spilla che si attacca ai vestiti. Il magnete emette una sorta di segnale acustico nel momento in cui il pin è correttamente fissato alla batteria al fine di evitare che possa cadere in quanto non fissato correttamente
Lato software, l’ai pin implementa un sistema operativo (Cosmos), sviluppato da Humane e completamente integrato con un algoritmo di intelligenza artificiale in grado, in base a quanto mostrato finora dall’azienda, di fornire un feedback simile – e per alcuni aspetti anche superiore – a quella di uno smartphone, senza ovviamente la necessità di un display e con comandi che possono essere impartiti attraverso la voce oppure attraverso il display laser che proietta le varie schermate (come il calendario, il meteo o il lettore musicale) direttamente sulla mano dell’utente, il quale potrà governare il dispositivo semplicemente muovendo la propria mano. Insomma, roba da film di fantascienza.
Il pin è quindi indossabile, opera grazie ad un sistema operativo con IA integrata e replica alcune funzioni degli smartphone (e smartwatch) senza la necessità di averne uno. Viene quindi da chiedersi: cosa c’è di innovativo in tutto questo? A tale quesito Humane prova a dare risposta nel video di presentazione – molto in stile Apple – in cui vengono mostrate alcune caratteristiche uniche del prodotto come, ad esempio, il fatto che attraverso la telecamera di cui è dotato sia in grado di scansionare ed analizzare qualsiasi oggetto gli si pari davanti – nel video Chaudri chiede di scansionare una manciata di mandorle per rilevarne il contenuto calorico – oppure il fatto che sia in grado di tradurre quasi simultaneamente una conversazione da una lingua all’altra, feature che sarebbe abbastanza clamorosa se funzionasse quasi in tempo reale come è stato mostrato.
Quali implicazioni per la privacy?
Uno dei primi aspetti che lo stesso CEO di Humane tiene a precisare appena iniziata la presentazione del prodotto è proprio inerente alla privacy. Il pin, viene spiegato, non sarà “always on” ma, per interagire con esso, occorrerà sempre un input da parte di chi lo indossa. Che sia un tocco oppure un comando vocale (il dispositivo pare riconosca solo ed esclusivamente la voce del proprietario), se non verrà azionato manualmente il dispositivo non ascolterà né compirà alcun tipo di altra azione. Tale aspetto, resosi necessario per poter creare un dispositivo “rispettoso” delle norme che tutelano la privacy – quantomeno negli USA – rappresenta un compromesso necessario ma senza dubbio anche uno dei punti di debolezza del prodotto.
Il fatto di dover costantemente toccare o parlare con il pin per poterlo attivare rappresenta un indubbio fattore di discomfort per l’utilizzatore finale. Immaginiamo di essere in pubblico o per strada e di dover continuamente toccare il dispositivo o, peggio ancora di dover impartire comandi vocali in mezzo alla gente. Un conto è compiere tali azioni con dispostivi domestici come Alexa o Google Nest, all’interno delle mura domestiche, altro conto è doverlo fare in mezzo a sconosciuti che ti guardano.
Altro elemento di particolare rilievo è quello relativo alla presenza di un indicatore luminoso, in questo caso posto, come già detto, in una posizione ben visibile sulla parte frontale del dispositivo, che indica quando il pin sta registrando un video o quando sta scattando una foto. In tal senso si rammenta quanto è accaduto qualche anno fa in merito alla messa in commercio degli allora Ray-Ban stories (ora Ray-Ban Meta), proprio su questa questione.
L’AI-pin e il GDPR
Il problema che aveva sollevato l’Autorità, e che sicuramente si ripresenterà anche nei confronti dell’ai pin se e quando approderà in Europa, non è tuttavia relativo al fatto che eventuali terzi siano più o meno informati rispetto al fatto che una persona sta scattando foto o registrando video attraverso una spilla o un paio di occhiali ricordando, a tal proposito, che se un privato effettua una ripresa per uso domestico, anche se riprende altre persone, quelle immagini non rientrano nell’ambito applicativo del GDPR poiché il Regolamento non si applica ai c.d. “usi domestici”, così come previsto dal considerando 18 del GDPR: “Il presente regolamento non si applica al trattamento di dati personali effettuato da una persona fisica nell’ambito di attività a carattere esclusivamente personale o domestico e quindi senza una connessione con un’attività commerciale o professionale.”.
Il punto, o meglio i punti veramente critici, così come è stato per i Ray-Ban stories, sono altri. Il Garante aveva infatti, in collaborazione con il Garante Irlandese (DPC) – in quanto Meta ha la propria sede europea in Irlanda – richiesto chiarimenti a Facebook (Meta) in merito a: “in particolare, di conoscere la base giuridica in relazione alla quale Facebook tratta i dati personali; le misure messe in atto per tutelare le persone occasionalmente riprese, in particolare i minori; gli eventuali sistemi adottati per anonimizzare i dati raccolti; le caratteristiche dell’assistente vocale collegato agli occhiali.”
Raccolta e trattamento dati: tutte le incognite di AI-pin
È evidente, infatti, che Humane entrerà automaticamente in possesso di un numero enorme di informazioni riferite agli utenti che indossano il pin, e non si sa cosa ne farà. Non si sa se utilizzerà i tali dati per alimentare e perfezionare il proprio algoritmo di AI, così come accadde per ChatGPT, oppure no; ricordando che proprio per questo motivo il servizio offerto da Open AI era stato limitatamente sospeso in Italia lo scorso marzo dal Garante.
Bisognerà quindi capire quali dati effettivamente raccoglierà Humane per mezzo del pin, dove li tratterà, cosa ne farà e quale base giuridica utilizzerà per il trattamento. Risulta infatti molto difficile credere che non verranno utilizzati i dati degli utenti per migliorare il funzionamento dell’algoritmo di AI che sta alla base di un dispositivo che trova la sua essenza proprio nel fatto di “possedere” una AI integrata. Il funzionamento degli algoritmi di intelligenza artificiale si basa infatti su un sistema di apprendimento di tipo euristico tale per cui, similmente a quanto accade per gli esseri umani, l’intelligenza artificiale impara attraverso le proprie esperienze o, in questo caso, la propria memoria.
Il termine “addestramento”, riferito all’intelligenza artificiale non è usato a caso: una AI ha un bisogno vitale della propria memoria per poter essere rapida e precisa nelle proprie risposte. Per questo motivo, se Humane raccogliesse un numero limitato di dati da poter utilizzare per l’addestramento della propria IA o non ne raccogliesse affatto, l’algoritmo sarebbe più impreciso, meno attendibile e soprattutto estremamente lento nel formulare le risposte, cosa che per un dispositivo wearable che si pone come obiettivo quello di superare e sostituire gli smartphone “tradizionali” ne decreterebbe la pressoché totale inutilità.
Altra questione riguarda l’accesso al dispositivo da parte dei minori. Non è stato specificato infatti se siano previsti dei filtri per impedirne l’utilizzo da parte di minori che potrebbero farne un uso errato nonché pericoloso. Anche in questo caso il Garante si è già espresso, adottando una linea di pensiero chiara, sia nei confronti di Open AI che di Replika.
Conclusioni
L’ai pin, come era prevedibile, lascia molti più dubbi che certezze.
Il dispositivo è stato mostrato e dato in prova ad una ristrettissima fetta di stampa selezionata e ciò che emerso dalle prime impressioni non è entusiasmante, così come testimonia la recensione non esattamente lusinghiera – per usare un eufemismo – che ha fatto Mark Wilson su “Fast Company” in cui evidenzia come “[…] Chaudhri ha creato un telefono senza schermo, ma le funzionalità che abbiamo perso in questo processo sono superiori a quelle che abbiamo guadagnato. Avendo visto l’AI Pin in azione, un progetto che ha raccolto centinaia di milioni di dollari per il suo mezzo decennio di sviluppo, sembra che Humane non abbia sbloccato il potenziale dell’AI di oggi, per non parlare di quella di domani, né abbia risolto in modo sostanziale alcun problema significativo che abbiamo con la tecnologia. Li ha solo spostati di due piedi, dalla tasca alla camicia.”.
Ciò che emerge è quindi un prodotto ancora estremamente grezzo da un punto di vista tecnologico, di dubbia utilità ma che forse, con i dovuti sviluppi, potrà fungere da apripista indirizzando gli investimenti delle big tech su queste tipologie di device; non dimenticandoci che, sebbene sottoforma di smartphone “tradizionale”, Google ha imperniato il lancio del suo ultimo Pixel 8 proprio sul fatto che sarà il primo smartphone con un sistema di AI integrato.
Al momento, Humane ha reso disponibile l’ai pin in pre-order solo negli USA (con prezzi a partire da 699 dollari) a partire dal 16 novembre, lasciando però intendere che l’intenzione dell’azienda è chiaramente quella di allargare il mercato il più possibile. Nel caso in cui dovesse arrivare in Europa è immaginabile che l’ai pin verrà passato sotto i raggi X dal Garante Europeo per la protezione dei dati (EDPS) nonché da parte delle varie autorità Garanti privacy dei singoli stati, per esaminarne ogni possibile criticità per quanto riguarda le possibili criticità in merito alla privacy.
La sensazione, in termini più generali, è tuttavia che prima di poter vedere prodotti simili distribuiti su larga scala all’interno del mercato europeo sarà necessario attendere una soluzione definitiva sull’AI Act, in modo che le aziende abbiano un quadro normativo di riferimento, che ad oggi manca. Solo allora sarà possibile immaginare un ingresso massiccio delle big tech all’interno di questo mercato. Non è certamente un caso, infatti, che Apple abbia lasciato che un suo ex dirigente creasse un dispositivo di questo tipo: se l’ai pin avrà successo è probabile che Apple acquisisca Humane e faccia rientrare Chaudri dalla porta sul retro, se invece il dispositivo rimarrà un prodotto di nicchia senza incidere sul mercato significherà che il mercato non è ancora pronto per questo “salto” e che quindi occorrerà aspettare ancora un po’.